La depressione è tra i disturbi di salute mentale più diffusi e potenzialmente gravi, responsabile fino a 800.000 suicidi all’anno. La depressione è associata ad un aumento della mortalità e della morbilità, all’assenteismo, a gravi diminuzioni della qualità della vita e a una ridotta produttività. I fattori di rischio per la depressione sono stati, quindi, sottoposti a molte esplorazioni. I disturbi depressivi comprendono diverse categorie, tra cui il disturbo depressivo persistente (distimia), il disturbo disforico premestruale, nonché la depressione indotta da droghe o farmaci che creano dipendenza o da condizioni mediche. L’effetto è una qualità della vita ridotta e un funzionalità compromessa. Inoltre, è noto che la depressione aumenta il rischio di numerose malattie metaboliche, come il diabete, l’obesità e la cardiopatia ischemica. Al contrario, i modelli alimentari sono collegati alla salute mentale: ad esempio, un’eccessivo introito di grassi porta a infiammazioni croniche e obesità.
L’obesità ha anche profondi impatti sulla salute personale e sociale. Riduce la fertilità femminile, favorisce la perdita delle capacità cognitive, riduce la durata della vita e può aumentare le difficoltà lavorative. L’obesità e la depressione spesso colpiscono lo stesso individuo, insieme ai disturbi d’ansia. Hanno un meccanismo d’azione comune, come si vede dalla loro associazione bidirezionale. Le persone depresse spesso si abbandonano a cibi di conforto, che possono aumentare il peso corporeo, soprattutto se la persona è anche inattiva. Il rischio di obesità nelle persone sottoposte a stress emotivo è quasi del 40% più alto. Allo stesso modo, le persone obese hanno quasi il 20% in più di probabilità di diventare ansiose o depresse, a causa dell’immagine negativa di sé e della percezione sociale avversa di essere troppo pigri o indisciplinati per regolare la propria dieta e il proprio peso. Il trattamento della depressione con antidepressivi è efficace ma può causare un aumento di peso.
Sfortunatamente, sia l’obesità che la depressione sono tra i disturbi più diffusi a livello globale e hanno un alto tasso di mortalità, suscitando un forte interesse scientifico per le loro interrelazioni. Alcuni scienziati sottolineano la necessità di una dieta razionale insieme a terapie come la psicoterapia e i farmaci per curare i pazienti affetti da depressione. I ricercatori hanno cercato di capire come i microbi intestinali possano essere utili nel trattamento sia dell’obesità che della depressione, tramite probiotici e prebiotici. Gli esperti ritengono che almeno il 55% della composizione del microbiota intestinale risponde a modelli alimentari. I probiotici rafforzano la barriera intestinale e modulano il sistema immunitario locale. Il loro utilizzo è associato al miglioramento dei sintomi depressivi, forse tramite le azioni degli acidi grassi a catena corta (propionico, butirrico, ecc.), che combattono l’infiammazione. Alcuni ceppi di batteri probiotici influenzano direttamente le vie neurali.
Inibiscono l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA) che induce la depressione e promuovono la secrezione del neurotrasmettitore antistress GABA. Altri producono neurotrasmettitori intestinali che influenzano anche il cervello, influenzando in meglio l’umore. Alcuni studi clinici sull’uomo suggeriscono un effetto positivo dei probiotici sui disturbi depressivi, nonché sull’obesità e sulle condizioni metaboliche correlate come la resistenza all’insulina, il diabete di tipo 2 e il fegato grasso. I ceppi batterici legati al miglioramento dei percorsi neurali, a volte chiamati psicobiotici, includono più ceppi di Lactobacillus come L. casei Shirota, L. gasseri OLL2809, L. rhamnosus JB-1 e L. fermentum NS8 e NS9, nonché ceppi bifidus come B. longum Rosell-175, B. longum 1714 e B. longum NCC3001. Inoltre, gli psicobiotici aumentano la concentrazione di ossitocina nel cervello, riducendo l’attività dell’asse HPA e contribuendo alla regolazione della risposta allo stress e alla riduzione dell’ansia.
Questi includono i ceppi di Lactobacillus plantarum 299V e PS128; il loro utilizzo a lungo termine ha un effetto benefico sull’umore nella depressione. Anche il Bifidobacterium infantis ha un effetto benefico sulla regolazione dell’asse HPA. Risultati simili, anche se osservati solo nei topi, sono stati ottenuti con batteri come Faecalibacterium prausnitzii e Clostridium butyricum. Tuttavia, anche l’alimentazione ha il suo contributo per una buona salute mentale. La dieta mediterranea, la dieta DASH o le diete vegetariane sono state spesso valutate per il loro rapporto con la salute fisica e mentale. Il potenziale rischio di depressione associato alle diete vegetariane e vegane deriva dalle loro carenze intrinseche di nutrienti essenziali, come la vitamina B12 e gli omega-3. Tuttavia, queste diete possono anche offrire benefici protettivi contro la depressione grazie al maggiore apporto di frutta e verdura, ricche di antiossidanti come vitamina C, vitamina E e beta-carotene.
Inoltre, è stato suggerito che l’integrazione con magnesio, acido folico e vitamine D ed E sia utile nel contrastare o mitigare la depressione grave e ridurre la neuroinfiammazione. Gli studi clinici hanno esplorato l’efficacia delle modifiche dietetiche come approccio terapeutico per la depressione. Inoltre, alcuni integratori nutrizionali possono offrire benefici nella gestione delle condizioni psichiatriche, come la N-acetilcisteina, la S-adenosilmetionina, lo zinco e gli acidi grassi omega-3 che hanno diversi effetti, partecipano alla sinaptogenesi, modulano l’attività dei recettori cellulari, esercitano proprietà antinfiammatorie e influenzano la chimica dei neurotrasmettitori. La carenza di zinco è stata collegata a sintomi depressivi più gravi e l’integrazione di zinco insieme alla terapia antidepressiva aiuta nella stabilizzazione dell’umore, regolando la funzione delle citochine e la neurogenesi modulando i livelli di fattore neurotrofico BDNF.
Questo crescente interesse di ricerca sulla relazione tra nutrizione e malattie mentali deriva in parte dall’evoluzione della comprensione dei loro fondamenti neurobiologici, suggerendo alcuni nutrienti come potenziali trattamenti supplementari per diverse ragioni. In primo luogo, recenti indagini cliniche hanno rivelato che molti disturbi mentali coincidono con livelli elevati di stress ossidativo e markers di infiammazione nel sistema nervoso. Gli studi hanno indicato una correlazione tra l’efficacia degli interventi farmacologici e sullo stile di vita per la malattia mentale e i cambiamenti in questi biomarkers. Pertanto, le proprietà di alcuni nutrienti suggeriscono la loro potenziale efficacia nel trattamento di condizioni psichiatriche esacerbate da elevata infiammazione e stress ossidativo. In secondo luogo, dati provenienti da studi su larga scala indicano che i disturbi psicotici e dell’umore hanno livelli sierici di nutrienti essenziali significativamente ridotti.
Non ultimo, anche l’acido folico è entrato in lista come potenziale fattore di contribuzione della salute cerebrale, nonostante il suo popolare utilizzo relagato esclusivamente in campo ematologico (per la cura delle anemie) e riproduttivo (prevenzione della spina bifida e malformazioni fetali). La sua biochimica gira intorna al metabolismo delle basi del DNA, anche se esiste un dialogo con il metabolismo delle unità monocarbonio (metile, metilene, formimile, ecc.), che servono alla sintesi di metaboliti azotati utili alla salute cerebrale. Senza contare il dialogo con la vitamina B6 e la vitamina B12 che esso instaura, che servono alla sintesi dei neurotrasmettitori cerebrali più conosciuti come la noradrenalina e la dopamina. Da queste informazioni si può dedurre benissimo che esiste il potenziale per l’integrazione nutrizionale per migliorare il decorso clinico e la qualità di vita per coloro affetti da questi disturbi dell’umore o comportamentali.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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