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Il bisogno di fumare: la nicotina ha i suoi effetti ma sta davvero dietro a tutti i meccanismi psicologici del problema?

Sigaretta e salute pubblica

Il fumo di tabacco è un problema chiave per la salute pubblica mondiale che aumenta il rischio di condizioni mediche croniche come la broncopatia cronica, le malattie cardiovascolari e diversi tumori maligni, abbassando in tal modo sia la qualità che l’aspettativa della vita. Il fumo di tabacco è stato collegato a un minore funzionamento fisico, funzionamento sociale, vitalità, salute generale, salute mentale e ai punteggi di sintesi dei componenti relativi al benessere mentale e fisico. I consumatori di tabacco possono provare dolori inspiegati al corpo poiché la nicotina riduce il flusso sanguigno anche alla colonna vertebrale.

Senza contare che il fumo è un fattore che i ricercatori sembrano dimostrare ricerca dopo ricerca che possa influenzare la degenerazione dei dischi vertebrali. Assieme allo stile alimentare, il fumo di sigaretta è un fattore di rischio per la comparsa postuma di osteoartrosi al ginocchio, all’anca e alla colonna, a causa degli effetti tossici dell’ossido di carbonio sulle cellule cartilaginee. Tuttavia, il fumo di tabacco è un fattore di rischio modificabile e limitarne o evitarne l’uso può prevenire molte malattie. Ma il punto che si discuterà nel presente articolo è un altro: perché si comincia e perché si continua?

La psicologia dietro la dipendenza

Tutti sanno che il fumo fa male alla salute; non c’è giustificazione di ignoranza come nel passato quando l’informazione pubblica era limitata a radio e televisore. La diffusione dell’informazione da quando è nato Internet ha reso le nozioni mediche alla portata di chiunque, oggi facilitata ancor di più dagli smartphones e dai social media. Ma nonostante ciò, la dipendenza dal tabacco condiziona pesantemente la sanità pubblica e continua a mietere le sue milioni di vittime annue per le più svariate condizioni mediche derivanti. Sebbene tutto questo sembra ovvio, forse non tutti sanno che il fumatore molto raramente ha una reale percezione dei rischi per la salute legati al tabagismo. Esso si comporta in modo compulsivo e reiterato, una condizione che affonda le sue radici nella neurobiologia.

Oltre agli effetti fisici conosciuti, la dipendenza dalla sigaretta può divenire una profonda sfida psicologica, sotto la quale possono covare molti fattori che agiscono da soli o in concerto. Più essi coesistono in numero, maggiore è la difficoltà a smettere. Ed oltre ad esserci fattori che conducono una persona a cominciare a fumare, ci sono anche gli effetti del fumo di sigaretta sulla salute mentale, che possono diventare “benzina sul fuoco”. Una delle ragioni che in passato si additava come “innesco” per l’inizio era l’emulazione adolescenziale verso gli adulti. L’adolescente imitava i suoi pari o i genitori o altri parenti e conoscenti e, per sentirsi adulto e fare parte di quella cerchia, cominciava l’approccio alla sigaretta. Ma era davvero una ragione reale?

Se ci rivolge alla neurobiologia c’è molto di più da scoprire: la nicotina causa una forte dipendenza psicologica perché agisce sui circuiti cerebrali che regolano il piacere e la ricompensa (reward). In queste aree cerebrali definite mesolimbiche essa stimola il rilascio neuronale di dopamina, lo stesso neurotrasmettitore che comanda fenomeni come la determinazione, l’iniziativa, il piacere e la gratificazione. Come prima esperienza, ciò può creare un senso di gratificazione immediata che il cervello associa all’atto di inspirare la boccata di sigaretta. Secondo alcuni studiosi, dietro ci sarebbero anche fenomeni di condizionamento psicologico, per il quale l’individuo associa la sigaretta a situazioni o stimoli che ritiene piacevoli, come una pausa-relax o una chiacchiera davanti ad un caffè.

Non regge molto come giustificazione (anche se resta un parere di questa redazione scientifica): se ci si ricorda che la medicina ha provato quali e quanti danni fa il fumo di sigaretta alla salute, non sarebbe molto logico associare qualcosa di pericoloso per la salute con momenti di svago e relax. E’ più verosimile una causa aggiuntiva che è stata discussa: quella dell’uso della sigaretta come mezzo di sfogo contro lo stress e la rabbia. Può darsi che una fetta di fumatori percepisca il fumare come metodo per ridurre l’ansia. E c’è anche una curiosa iconografia immaginativa che si realizza all’atto della “boccata”: ovvero una sorta di voler “mandare in fumo” le preoccupazioni, i problemi della vita quotidiana, i dispiaceri, o anche semplicemente la noia o altri sentimenti sgradevoli.

Come se si volesse che il fuoco dell’accendino, che si continua con il tizzone incandescente ad ogni boccata, bruciasse col fuoco tutto ciò che di negativo affligge la mente del fumatore. Ma se è vero che la sigaretta causa tutti i problemi di salute (qui accennati e non), oltre a causare parodontite, tosse persistente, bronchiti, fatica muscolare ed altre manifestazioni fisiche dipendenti da caso a caso, perché il fumatore non riesce a “realizzare” quanto si sta facendo male e continua? Per questa risposta si ritorna al meccanismo neurobiologico discusso sopra: la dopamina è il neurotrasmettitore che media la dipendenza non solo dal fumo, ma anche dalla cocaina, dall’eroina, dagli alcolici e persino dalla cioccolata. E’ un vero “bomber” neurochimico che “non molla la presa pur di continuare a fare goal”.

Questo gli scienziati esperti di neuroscienze lo sanno benissimo ed infatti catalogano la dipendenza dal fumo al pari di quella di un cocainomane o un alcolizzato. Cosa determina la scelta della droga potrebbe essere un puro fattore individuale o dettato dalle sue esperienze passate o predisposizioni emotive. A questo punto potrebbe essere avvalorata più delle altre l’ipotesi che, davvero, chi fuma cerca di gestire lo stress quotidiano e l’ansia in questo modo. Per smettere si parla di forza di volontà: chi è determinato può smettere di fumare più facilmente rispetto ad altri. Anche questo è possibile: moltissime persone non hanno nemmeno la cognizione di causa di cosa possa essere la forza di volontà, o cosa sia possibile realizzare tramite essa. Lo dimostrerebbe il fatto che molti, all’invito a smettere di fumare, rispondono: “Nooo, non ce la faccio, è più forte di me”.

È come un volersi arrendere in partenza ancora prima di affrontare la battaglia. Perché è vero, ognuno di noi ha le sue battaglie, con la società, sul lavoro, con la propria vita privata, col passato, con i suoi traumi e chi più ne ha più ne metta. Non sappiamo se chi fuma ha invece una consapevolezza che chi lo osserva da fuori non riesce a percepire: egli sa che non potrà mai risolvere i problemi che lo attanagliano e, fumando, si illude di poter dimenticare e cerca di compensare fumando. Forse, invece di non avere consapevolezza di farsi del male, ce l’ha benissimo e, per senso di colpa verso sé stesso, si vuole autopunire per non essere riuscito a trovare una soluzione o per rendersi conto di essere debole. Allora chi lo guarda lo giudica un egoista che persevera nell’errore, senza sapere mai cosa alberga nella mente e nel cuore di costui.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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