Nel contesto della crescente prevalenza di malattie croniche legate a stili di vita non salutari, come l’obesità, le malattie cardiovascolari e il diabete, la ricerca scientifica continua a esplorare nuove soluzioni per mitigare i rischi associati. Recentemente, l’attenzione si è focalizzata sul potenziale ruolo di un analgesico comune, l’aspirina, nel compensare gli effetti negativi di abitudini di vita poco salutari. Questo articolo esamina le evidenze scientifiche riguardanti l’uso dell’aspirina come strumento per ridurre i rischi associati a uno stile di vita non salutare. L’aspirina è nota per le sue proprietà antinfiammatorie, analgesiche e antipiretiche. Inoltre, l’aspirina è spesso prescritta in dosi basse per la prevenzione degli eventi cardiovascolari grazie alla sua capacità di inibire l’aggregazione piastrinica, riducendo così il rischio di infarto e ictus (Patrono et al., 2005).
Tuttavia, la domanda se l’aspirina possa realmente mitigare i danni causati da uno stile di vita non salutare rimane oggetto di dibattito. Uno stile di vita non salutare, caratterizzato da una dieta ricca di grassi saturi e zuccheri, sedentarietà, fumo e consumo eccessivo di alcol, è un noto fattore di rischio per lo sviluppo di numerose malattie croniche. L’infiammazione cronica è un meccanismo patogenetico comune a molte di queste condizioni e l’aspirina, con le sue proprietà antinfiammatorie, potrebbe teoricamente svolgere un ruolo nel ridurre l’infiammazione sistemica (Ridker, 2014). Studi epidemiologici hanno suggerito che l’uso regolare di aspirina può ridurre l’incidenza di alcuni tipi di cancro, in particolare il cancro del colon-retto. Questo effetto protettivo è stato attribuito in parte alla capacità dell’aspirina di ridurre l’infiammazione e l’attività delle ciclossigenasi, enzimi coinvolti nella sintesi delle prostaglandine infiammatorie (Thun et al., 2012).
Tuttavia, è importante considerare che l’uso prolungato di aspirina non è privo di rischi, in quanto può aumentare il rischio di emorragie gastrointestinali e ictus emorragico. Nonostante le potenziali proprietà benefiche dell’aspirina, essa non dovrebbe essere vista come un sostituto di uno stile di vita salutare. La modifica dei fattori di rischio attraverso cambiamenti comportamentali, come l’adozione di una dieta equilibrata, l’incremento dell’attività fisica e la cessazione del fumo, rimane fondamentale per la prevenzione primaria delle malattie croniche (Ezzati & Riboli, 2013). L’aspirina può, al massimo, essere considerata un complemento alla prevenzione tradizionale, da utilizzarsi con cautela e sotto la supervisione medica. Il razionale del suo uso per quanto discusso qui non è sbagliato: è sbagliato, invece, considerare l’aspirina come una protezione o uno scudo che possa evitare di farci ammalare di tante cose.
Ma non è così. E’ lo stesso principio che prendere la statina e la cardioaspirina a cena da parte di un soggetto iperteso, sovrappeso e fumatore, possa impedire che non gli spunti l’ictus cerebrale. Non è affatto vero. Per quanto scoagulare con la cardioaspirina e abbassare il colesterolo con la statina eviti alle placche arteriose di complicarsi, lo stile di vita di questo “fantomatico” soggetto che magia a volontà, non cura l’ipertensione e fuma un pacchetto di sigarette al giorno, lo metterà sempre a rischio. In sintesi, mentre l’aspirina potrebbe offrire alcuni benefici nella riduzione dei rischi associati a uno stile di vita non salutare, essa non sostituisce la necessità di adottare abitudini di vita sane. La prevenzione delle malattie croniche richiede un approccio multifattoriale che includa interventi comportamentali, dietetici e farmacologici, se necessari. Poi, oltre alle conoscenze, è necessaria anche una buona dose di buon senso e responsabilità.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Ridker PM. Journal of Internal Medicine 2014; 276(6):550-561.
Ezzati M, Riboli E. New Engl J Medicine 2013; 369(10):954-964.
Thun MJ et al. Nature Reviews Clin Oncol. 2012; 9(5):259-267.
Patrono C et al. New Engl J Medicine 2005; 353(22):2373-2383.