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Il costo reale degli alimenti trasformati

Al di fuori di nazioni come gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, è stato osservato in tutto il mondo un aumento del consumo di prodotti alimentari trasformati ricchi di zuccheri raffinati, grassi e sali. Questo cambiamento nelle abitudini alimentari, spesso definito “occidentalizzazione delle diete”, è stato ampiamente attribuito all’accessibilità economica e alla reperibilità di questi prodotti alimentari. Nonostante i benefici economici associati al consumo di una dieta occidentale, il consumo costante di questi prodotti alimentari può aumentare il rischio di malattie croniche e non trasmissibili. Queste malattie possono includere, ma non sono limitate a ictus, malattia cerebrale ischemica, infarto miocardico, cardiopatia ischemica, obesità, diabete di tipo 2, steatosi epatica, malattia infiammatoria intestinale (IBD), malattia renale cronica e cancro del colon.

In che modo la dieta occidentale influisce sulla salute intestinale?

Diversi studi hanno documentato gli effetti deleteri della dieta occidentale sulla composizione del microbioma intestinale umano. La ridotta assunzione di fibre alimentari e la sua sostituzione con additivi alimentari come emulsionanti e dolcificanti artificiali ha portato alla rarefazione microbica, che si riferisce a una riduzione della diversità e dell’abbondanza di microrganismi cruciali all’interno del microbiota. Ad esempio, l’intestino degli individui che risiedono in contesti urbani spesso presenta livelli aumentati di specie di Escherichia, Bacteroides e Prevotella rispetto a quelli che vivono in aree rurali. Concentrazioni più elevate di questi batteri possono aumentare i livelli sierici di lipopolisaccaridi (LPS) o endotossine batteriche, che promuovono l’infiammazione cronica, nonché malattie immunomediate e metaboliche come l’obesità e il diabete di tipo 2.

Dieta occidentale e salute dell’intestino e del fegato

Cibi ultra-elaborati, grassi trans e additivi alimentari, tutti presenti in alte concentrazioni nella dieta occidentale, aumentano il rischio di sviluppare IBD. In alternativa, l’aderenza a una dieta mediterranea classica può ridurre il rischio di morbo di Crohn e persino prevenire lo sviluppo di IBD. La crescente prevalenza di diverse malattie del fegato, come steatosi epatica, cirrosi e tumore epatico, è stata anche attribuita all’occidentalizzazione delle diete. Il consumo di alti livelli di grassi e fruttosio induce steatosi e infiammazione. Livelli elevati di colesterolo nei prodotti alimentari possono anche portare all’ossidazione dei fosfolipidi, mentre il consumo di grassi trans può indurre infiltrazione di linfociti T citotossici e danno epatico, tutti fattori che possono indurre o peggiorare sia le malattie di fegato che intestinali.

Dieta occidentale e rischio di malattie cardiache

Le stime attuali indicano che fino al 66% dei decessi correlati all’obesità in tutto il mondo sono dovuti a malattie cardiovascolari. Inoltre, sia l’ictus che la cardiopatia ischemica sono le principali cause di anni di vita aggiustati per disabilità. Il colesterolo alimentare, che è spesso presente in alte concentrazioni negli alimenti occidentali, può facilitare l’accumulo di colesterolo/lipoproteine ​​a bassa densità (LDL), aumentando così il rischio di malattie cardiache aterosclerotiche. Allo stesso modo, alcolici, grassi saturi e carboidrati in eccesso, tutti componenti caratteristici delle diete occidentali, possono innalzare di molto i livelli sierici dei trigliceridi.

Dieta occidentale e cambiamenti climatici

Un aspetto di grande preoccupazione è la drammatica diffusione globale di cibi pronti ultra-processati negli ultimi 75 anni, che è collegata alle crescenti sfide di sostenibilità e salute ambientale. Tuttavia, ci sono anche appelli a trasformare radicalmente i sistemi alimentari globali, da fonti proteiche di origine animale a fonti di origine vegetale, il che potrebbe avere conseguenze indesiderate. Le entità commerciali si sono mosse verso questa “grande transizione vegetale” con vigore. Che sia motivato dal profitto o da una genuina preoccupazione ambientale, questo sforzo ha facilitato l’emergere di nuovi prodotti commerciali “vegetali” ultra-processati.

Le ricerche disponibili indicano che la distribuzione e le vendite globali di alimenti ultra-processati sono in contrasto con le priorità di sostenibilità di una dieta sana per il pianeta. La ricerca longitudinale mostra che le riduzioni nell’assunzione di alimenti ultra-processati e un maggiore allineamento con un modello alimentare in stile mediterraneo sono associati a un impatto ambientale ridotto. Inoltre, il consumo di cibo ultra-processato è associato a un maggiore apporto calorico e aumento di peso. Su scala globale, l’assunzione di energia e l’obesità guidata dall’industria/marketing si aggiungono a un significativo onere ambientale, tra cui emissioni di gas serra, uso di acqua e uso del suolo superiori del 20%.

I ricercatori di tutto il mondo stanno trovando conferma che i cambiamenti climatici sono in parte responsabili anche di fenomeni sanitari come l’aumento dell’antibiotico-resistenza, delle malattie virali trasmissibili per via orale e respiratoria e dell’allargamento di malattie come la tubercolosi, la malaria (per importo/migrazione dei suoi vettori), la febbre Dengue, la malattia del sonno (tripanosomiasi) e la malattia di Lyme. Non sappiamo se è meglio dire che siamo di fronte ad un “cane che si morde la coda” o ad una spirale che ci porterà a “toccare il fondo”.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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