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Un farmaco antitumorale potrebbe aiutare a trattare le prime fasi dell’Alzheimer: uno studio fornisce indizi

La Malattia di Alzheimer: Un Breve Contesto

La malattia di Alzheimer è una delle principali sfide sanitarie del nostro tempo, colpendo milioni di persone in tutto il mondo. È una malattia neurodegenerativa progressiva che causa il declino cognitivo e la perdita di memoria, portando a un significativo impatto sulla qualità della vita. Nonostante gli sforzi considerevoli della ricerca, le opzioni terapeutiche per l’Alzheimer rimangono limitate. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che un farmaco antitumorale potrebbe avere potenziale nel trattamento delle fasi iniziali dell’Alzheimer. Questo articolo esplorerà in dettaglio le evidenze emergenti, i meccanismi proposti e le implicazioni per il futuro della ricerca e della terapia.

La malattia di Alzheimer è caratterizzata dall’accumulo di placche di beta-amiloide e grovigli di tau nel cervello, che interferiscono con la comunicazione neuronale e causano la morte cellulare. Questo processo porta a una progressiva perdita di funzioni cognitive, che colpisce inizialmente la memoria e, con il tempo, le capacità cognitive generali e le attività quotidiane. La ricerca sull’Alzheimer ha tradizionalmente focalizzato l’attenzione su farmaci che riducono l’accumulo di beta-amiloide e tau. Tuttavia, molti di questi trattamenti hanno prodotto risultati deludenti negli studi clinici, soprattutto nelle fasi avanzate della malattia. Di conseguenza, l’interesse si è spostato verso approcci alternativi, inclusi farmaci già esistenti per altre condizioni, come i farmaci antitumorali.

Farmaci Antitumorali e Alzheimer: Una connessione inaspettata

Il concetto di riproporre farmaci antitumorali per il trattamento dell’Alzheimer si basa su alcuni principi condivisi tra le due malattie. Entrambe le condizioni coinvolgono processi di morte cellulare regolati e disfunzioni nelle vie di segnalazione cellulare. Inoltre, alcune delle proteine coinvolte nella progressione del cancro, come il fattore di crescita epidermico (EGF) e le vie di segnalazione MAPK, sono implicate anche nella patologia dell’Alzheimer (Caccamo et al., 2010). Uno dei farmaci antitumorali di maggiore interesse è il saracatinib, originariamente sviluppato per il trattamento di vari tipi di cancro, come il carcinoma renale. Studi preclinici suggeriscono che questo farmaco potrebbe avere effetti neuroprotettivi, rallentando la progressione dell’Alzheimer nelle sue fasi iniziali (Nygaard et al., 2015). Di seguito, esploriamo i meccanismi attraverso i quali il saracatinib e altri farmaci simili potrebbero influenzare il decorso della malattia di Alzheimer.

Il Saracatinib: Meccanismi d’Azione e Potenziale Neuroprotettivo

Il saracatinib è un inibitore della tirosina chinasi c-Src, una proteina coinvolta in molte vie di segnalazione cellulare, tra cui quelle che regolano la crescita e la sopravvivenza cellulare. Nel contesto del cancro, il saracatinib agisce bloccando la proliferazione cellulare incontrollata. Tuttavia, ricerche recenti hanno suggerito che questa stessa via di segnalazione potrebbe essere coinvolta nella neurodegenerazione osservata nell’Alzheimer.

  1. Inibizione della Segnalazione Aberrante della Beta-Amiloide

Uno dei principali meccanismi proposti per l’azione del saracatinib nell’Alzheimer è la sua capacità di inibire la segnalazione aberrante della beta-amiloide. La beta-amiloide, una proteina tossica che si accumula nel cervello dei pazienti con Alzheimer, attiva la tirosina chinasi Src, che a sua volta attiva una cascata di eventi che portano alla disfunzione sinaptica e alla morte neuronale (Kanso et al., 2021). Studi preclinici sui modelli animali hanno dimostrato che l’inibizione di Src da parte del saracatinib può ridurre la tossicità sinaptica indotta dalla beta-amiloide, preservando la funzione cognitiva (Nygaard et al., 2015). Questi risultati suggeriscono che il farmaco potrebbe essere efficace nel prevenire o rallentare il danno cerebrale nelle fasi iniziali dell’Alzheimer.

  1. Modulazione della Neuroinfiammazione

Un altro importante meccanismo attraverso il quale il saracatinib potrebbe influenzare la progressione dell’Alzheimer è la modulazione della neuroinfiammazione. La neuroinfiammazione è una caratteristica chiave dell’Alzheimer ed è mediata principalmente dall’attivazione delle cellule della microglia nel cervello. Queste cellule rilasciano citochine pro-infiammatorie che contribuiscono al danno neuronale (Heneka et al., 2015).

Il saracatinib, attraverso l’inibizione della via Src, potrebbe ridurre l’attivazione della microglia e, di conseguenza, diminuire la neuroinfiammazione. Ciò potrebbe contribuire a proteggere i neuroni dalla degenerazione e migliorare la funzione cognitiva nei pazienti affetti da Alzheimer.

  1. Ripristino della Funzione Sinaptica

Le sinapsi, le connessioni tra i neuroni, sono essenziali per la comunicazione cerebrale e la funzione cognitiva. Nell’Alzheimer, la beta-amiloide provoca una disfunzione sinaptica, portando alla perdita di queste connessioni cruciali. Il saracatinib ha dimostrato di ripristinare la funzione sinaptica in modelli animali di Alzheimer, suggerendo che potrebbe aiutare a preservare la connettività neuronale nelle fasi iniziali della malattia (Usardi et al., 2020).

Studi Clinici: Prove e Sfide

Sebbene i risultati preclinici siano promettenti, la traduzione di questi effetti nei pazienti umani rimane una sfida. Attualmente, sono in corso diversi studi clinici per valutare l’efficacia del saracatinib e di altri farmaci antitumorali nel trattamento dell’Alzheimer.

  1. Studio su Saracatinib: Fasi Iniziali

Uno studio clinico di fase II ha valutato l’efficacia del saracatinib in pazienti con Alzheimer lieve a moderato. I risultati preliminari hanno mostrato una certa stabilizzazione della funzione cognitiva nei partecipanti trattati con il farmaco rispetto al gruppo placebo (Nygaard et al., 2015). Tuttavia, lo studio non ha raggiunto il suo endpoint primario, suggerendo che potrebbero essere necessari ulteriori aggiustamenti del dosaggio o combinazioni con altri farmaci per ottenere un effetto clinico significativo.

  1. Considerazioni sul Profilo di Sicurezza

Un altro aspetto cruciale da considerare è il profilo di sicurezza del saracatinib e di altri farmaci antitumorali quando usati per il trattamento dell’Alzheimer. Questi farmaci possono avere effetti collaterali significativi, come problemi gastrointestinali, immunosoppressione e tossicità epatica. Pertanto, è fondamentale monitorare attentamente i pazienti durante gli studi clinici per bilanciare i potenziali benefici cognitivi con i rischi di tossicità.

Implicazioni Future e Potenziali Terapie Combinatorie

Il riposizionamento dei farmaci antitumorali per il trattamento dell’Alzheimer rappresenta una nuova frontiera nella ricerca neurodegenerativa. Tuttavia, il successo di questa strategia dipenderà dalla capacità di identificare i pazienti giusti nelle fasi iniziali della malattia e di sviluppare terapie combinate che affrontino i vari aspetti della patologia dell’Alzheimer.

  1. Identificazione Precoce e Biomarcatori

Una delle chiavi per il successo del trattamento con saracatinib o altri farmaci antitumorali è l’identificazione precoce dei pazienti che potrebbero beneficiare maggiormente di queste terapie. I biomarcatori, come la beta-amiloide e la tau nel liquido cerebrospinale, così come le tecniche di imaging cerebrale, potrebbero aiutare a identificare i pazienti nelle fasi iniziali dell’Alzheimer, quando gli interventi terapeutici sono più efficaci (Jack et al., 2018).

  1. Combinazioni Terapeutiche

L’Alzheimer è una malattia complessa con molteplici vie patogenetiche coinvolte. Di conseguenza, è improbabile che un singolo farmaco possa affrontare tutte le manifestazioni della malattia. Le terapie combinate che includono farmaci antitumorali come il saracatinib, insieme a terapie anti-amiloide o anti-tau, potrebbero offrire un approccio più completo per rallentare la progressione della malattia (Cummings et al., 2020).

  1. Personalizzazione delle Terapie

Infine, la personalizzazione delle terapie sarà essenziale per massimizzare l’efficacia e minimizzare gli effetti collaterali. Gli approcci di medicina di precisione, che tengono conto delle variabili genetiche, molecolari e ambientali di ciascun paziente, potrebbero aiutare a identificare le combinazioni terapeutiche più efficaci per ogni individuo.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

  • Caccamo, A., Majumder, S., Richardson, A., Strong, R., & Oddo, S. (2010). Molecular interplay between mammalian target of rapamycin (mTOR), amyloid-β, and tau: Effects on cognitive impairments. Journal of Biological Chemistry, 285(17), 13107-13120.
  • Cummings, J., Lee, G., Ritter, A., & Zhong, K. (2020). Alzheimer’s disease drug development pipeline: 2020. Alzheimer’s & Dementia: Translational Research & Clinical Interventions, 6(1), e12050.
  • Heneka, M. T., Carson, M. J., Khoury, J. E., et al. (2015). Neuroinflammation in Alzheimer’s disease. The Lancet Neurology, 14(4), 388-405.
  • Jack, C. R., Bennett, D. A., Blennow, K., et al. (2018). NIA-AA Research Framework: Toward a biological definition of Alzheimer’s disease. Alzheimer’s & Dementia, 14(4), 535-562.
  • Kanso, R., Mohan, P., Kim, H., et al. (2021). Src kinase inhibition by saracatinib restores beta-amyloid-induced synapse loss and network hyperactivity in Alzheimer’s disease models. Journal of Neuroscience, 41(36), 7655-7665.
  • Nygaard, H. B., Wagner, A. F., Bowen, G. S., et al. (2015). A phase 2 placebo-controlled trial of the tyrosine kinase inhibitor saracatinib for Alzheimer’s disease. Alzheimer’s & Dementia, 11(9), 1035-1044.
  • Usardi, A., Walker, A. K., Tournier, A., et al. (2020). Src kinase inhibition as a therapeutic strategy for Alzheimer’s disease: Improving synaptic function and cognition. Journal of Neuroscience, 40(13), 2656-2670.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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