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Il caffè del mattino serve davvero a svegliarsi “per cominciare la giornata con sprint”? O è un placebo?

Molte persone bevono il caffè come prima cosa al mattino (questa redazione scientifica si aggiunge e non comincia le proprie attività senza averlo quantomeno assaggiato) per superare la stanchezza, stare all’erta e lavorare in modo efficace. Circa il 75% degli americani di età pari o superiore a 20 anni beve caffè e circa il 49% beve caffè ogni giorno. In Italia, l’80% delle persone non sa rinunciare al suo espresso quotidiano; e la media consumata per ognuno di essi è di 2 tazzine. Il caffè contiene vari composti che influenzano il cervello in modi diversi. La caffeina è il più noto di questi ed è conosciuto poter attivare i percorsi della dopamina che aumentano la memoria e/o l’attenzione. Tuttavia, mentre si sa molto sugli effetti neurochimici del caffè sul cervello, si sa meno sui suoi effetti psicologici.

Ad esempio, alcune ricerche mostrano che mentre il caffè può influenzare le prestazioni cognitive nei bevitori non abituali, ha meno effetto sui bevitori abituali quando sviluppano una tolleranza. La stessa ricerca suggerisce che gran parte degli effetti rinvigorenti del caffè e della caffeina possono essere spiegati attraverso l’inversione dei sintomi di astinenza da brevi periodi di astinenza. Ulteriori ricerche su come il caffè influisce sul cervello potrebbero migliorare la comprensione di ciò che motiva le persone a berlo. Recentemente, i ricercatori hanno confrontato i dati fMRI di bevitori abituali di caffè prima e dopo aver consumato caffè o caffeina. Hanno scoperto che sia il caffè che la caffeina hanno causato cambiamenti nell’attività cerebrale, riducendo “la connettività della rete in modalità predefinita”.

Ciò suggerisce che il consumo di caffeina o caffè ha aiutato le persone a passare dal riposo al lavoro, secondo un comunicato stampa. Tuttavia, i ricercatori hanno anche scoperto che altre modalità di attività sono aumentate esclusivamente tra i bevitori di caffè. Ciò può essere dovuto all’esperienza sensoriale di bere caffè di altri composti presenti nel caffè. Questa redazione conosce persone che aprono gli occhi al mattino non appena la moka e pronta e l’odore si è sparso per la casa. Ma è impossibile che la caffeina sia la responsabile. L’aroma o forse la familiarità con esso sono sciuramente implicati. E qui si annette la nuova ricerca scientifica che ha avanzato l’ultima ipotesi del campo: “ma il caffè del mattino è davvero necessario con la sua caffeina a farci la carica o si tratta di un effetto simile al placebo”?

Per lo studio, i ricercatori hanno reclutato 47 persone che bevevano almeno una tazza di caffè al giorno. Avevano una media di 30 anni e 31 erano donne. A tutti i partecipanti è stato chiesto di astenersi dal consumare bevande o cibi contenenti caffeina per almeno tre ore prima di partecipare allo studio. Una volta in laboratorio, i partecipanti sono stati sottoposti a due scansioni fMRI: una prima e una 30 minuti dopo aver assunto caffeina o bevuto una tazza di caffè. Durante le scansioni fMRI, ai partecipanti è stato chiesto di rilassarsi e di lasciar vagare la mente. Alla fine, i ricercatori hanno scoperto che sia il caffè che la caffeina riducono la connettività funzionale, nella rete in modalità predefinita (DMN). Il DMN è associato a “processi autoreferenziali quando i partecipanti sono a riposo”, come notato dagli autori.

I ricercatori hanno notato che una diminuzione del DMN indica una maggiore preparazione a passare dal riposo all’elaborazione del contesto dell’attività. Hanno inoltre notato che il consumo di caffè, ma non il consumo di caffeina, ha ridotto significativamente la connettività tra le reti somatosensoriali e motorie del cervello. I ricercatori hanno scritto che questo potrebbe spiegare perché le persone segnalano un miglioramento dell’efficienza psicomotoria dopo aver bevuto caffè con caffeina. Il consumo di caffè, ma non di caffeina, ha anche portato a una maggiore attività nel controllo esecutivo e nelle reti visive implicate nell’elaborazione visiva e nella funzione cognitiva di livello superiore, tra cui memoria di lavoro, controllo cognitivo e comportamento finalizzato.

Ora, è noto che altri composti chimici del caffè come i terpeni chiamati cafestolo e kaweholo, nonchè acidi fenolici e clorogenici dell’estratto potrebbero avere affetto sulla chimica cerebrale, influenzando l’attenzione, la veglia o in qualche modo il metabolismo neuronale. Ma non è possibile che siano così potenti come la caffeina: 100ml di caffè contengono in media 65mg di questi acidi fenolici; una tazzina da caffè che è un quarto della dose (25ml) ne dovrebbe contenere perciò solamente 15-17mg. Tra l’altro queste sostanze non hanno una liposolubilità paragonabile alla caffeina per poter passare facilmente la barriera emato-encefalica. E’ dunque improbabile che questi siano i responsabili degli effetti psicologici del caffè. Anche se nessuno ha mai indagato sui loro meccanismi d’azione al riguardo.

E’ possibile, perciò, che tra i bevitori abituali di caffè si instauri in meccanismo di attivazione cerebrale indipendente dalla caffeina (fa effetto anche il decaf, secondo lo studio), che potrebbe avere a che fare con l’aroma. Esso è una miscela di almeno 700-800 sostanze volatili al momento dell’odore che si sprigiona dopo la tostatura. Ammettendo che dopo che sale nella moka o esce dall’espresso del bar il numero si riduca a 300-350, è ancora un numero molto alto di sostanze che possono avere effetti intensi sul cervello mediati dai recettori olfattivi. Ci sono persone che provano disgusto quando sentono l’odore del caffè (per non parlare di quello provato nel sapore, per quanto assurdo possa sembrare), mentre altre ne sono inebriate e possono addirittura diventare si buon umore con questo meccanismo.

Questa redazione scientifica vuole aggiungere la sua esperienza di appassionato bevitore di caffè, regolare o deca, in vari momenti della giornata. E questo può succedere sia al domicilio che al bar. Personalmente considera il caffè come un punto di incontro per avere una piacevole conversazione o scambio di pareri. Ma gli piace aggiungere che alcune iniziative lavorative cominciate 10 anni fa con colleghi di campi non correlati alla sua tipologia di lavoro, sono nate “davanti ad un caffè al bar”. Cominciando il suo consumo di caffè in ambito universitario per ovvie ragioni di necessità, nel tempo la necessità si è trasformata in passione. E in effetti, comincia a realizzare che sia espresso normale al bar, deca o moka a casa, la mattina comincia meglio solamente dopo la “sua bella tazzina di piacere nero”.

E quando la stanchezza accumulata è davvero troppa, ad una decina di tazzine messe in fila preferisce staccare la spina con una bella dormita.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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