Cadmio e inquinamento
Il cadmio è un metallo pesante ampiamente diffuso nell’ambiente a causa di attività antropiche come la combustione di combustibili fossili, la produzione industriale e l’uso di pesticidi e fertilizzanti. Esso è presente in tracce anche nei cibi, nell’acqua e nell’aria, e l’esposizione cronica può avvenire attraverso l’ingestione o l’inalazione. Il cadmio è noto per i suoi effetti tossici sul sistema renale e osseo, ma crescenti evidenze scientifiche suggeriscono che possa avere un impatto significativo anche sul sistema nervoso centrale, influenzando le funzioni cognitive, inclusa la memoria. L’esposizione cronica a livelli elevati di cadmio è stata associata a neurodegenerazione e alterazioni cognitive, ma anche livelli più bassi di esposizione, tipici della popolazione generale, potrebbero rappresentare un rischio per le funzioni cerebrali, in particolare per la memoria.
Cadmio: un agente neurotossico
Il cadmio è altamente tossico per gli esseri umani e gli animali. A differenza di altri metalli essenziali come il ferro e il rame, il cadmio non ha alcuna funzione biologica benefica, accumulandosi progressivamente nell’organismo a causa della sua lunga emivita (fino a 30 anni nei tessuti umani). Una volta assorbito, si accumula principalmente nei reni e nel fegato, ma può attraversare la barriera ematoencefalica e raggiungere il cervello. La neurotossicità del cadmio è mediata da una serie di meccanismi molecolari e cellulari. Il cadmio induce la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), che danneggiano i lipidi, le proteine e il DNA nelle cellule cerebrali.
Lo stress ossidativo è uno dei principali fattori coinvolti nella neurodegenerazione. Interferisce poi con la funzione mitocondriale, compromettendo la produzione di energia e aumentando la vulnerabilità neuronale al danno cellulare. Gli studi dimostrano che il cadmio altera il rilascio di neurotrasmettitori e la trasmissione sinaptica, influenzando negativamente i processi di apprendimento e memoria. L’esposizione cronica al cadmio è associata a un aumento della neuroinfiammazione, con l’attivazione delle cellule della microglia e l’aumento della produzione di citochine infiammatorie nel cervello. Questo stato infiammatorio cronico può contribuire a danno neuronale ed alla perdita cellulare, favorendo così la neurodegenerazione.
Evidenze epidemiologiche
Negli ultimi anni, numerosi studi epidemiologici hanno esaminato l’associazione tra esposizione al cadmio e deficit cognitivi, compresi i problemi di memoria. I risultati di questi studi sono particolarmente preoccupanti, poiché anche livelli relativamente bassi di esposizione possono avere effetti negativi sul cervello, soprattutto in popolazioni vulnerabili come bambini e anziani. Uno degli studi più importanti in questo campo è stato condotto da Eum et al. (2014), che ha esaminato l’associazione tra esposizione al cadmio e funzioni cognitive in una popolazione di adulti e anziani negli Stati Uniti utilizzando i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES).
I ricercatori hanno trovato una correlazione significativa tra alti livelli di cadmio nel sangue e peggiori performance nei test di memoria e attenzione. In particolare, i partecipanti con livelli di cadmio più elevati presentavano una maggiore probabilità di sviluppare deficit cognitivi rispetto a quelli con livelli più bassi. Un altro studio condotto da Peters et al. (2017) ha esaminato la relazione tra esposizione al cadmio e declino cognitivo in una coorte di anziani europei. I risultati hanno mostrato che l’esposizione cronica al cadmio era associata a un aumento del rischio di declino cognitivo, con un impatto particolarmente pronunciato sulla memoria episodica e sulle funzioni esecutive.
Nei bambini, il cadmio può avere effetti devastanti sullo sviluppo cerebrale. Uno studio condotto da Sanders et al. (2015) ha rilevato che l’esposizione al cadmio in età precoce era associata a punteggi più bassi nei test di memoria e attenzione nei bambini in età scolare. Questi risultati suggeriscono che l’esposizione al cadmio durante fasi critiche dello sviluppo neurologico può compromettere permanentemente le funzioni cognitive, aumentando il rischio di problemi di apprendimento e deficit di memoria nel corso della vita. Oltre che nei paesi occidentali, nei paesi in via di sviluppo i bambini possono essere mediamente più colpiti per mancanza di regolamentazioni e sistemi di protezione.
Meccanismi di tossicità cerebrale del cadmio
I meccanismi attraverso cui il cadmio danneggia il sistema nervoso e compromette la memoria sono complessi e multifattoriali. Il cadmio può competere con il calcio per i siti di legame nelle cellule neurali, disturbando la segnalazione intracellulare. Poiché il calcio è essenziale per la funzione sinaptica e la plasticità neuronale, questo squilibrio può compromettere il consolidamento della memoria e l’apprendimento. Il cervello è particolarmente vulnerabile allo stress ossidativo a causa del suo alto consumo di ossigeno e della presenza di lipidi facilmente ossidabili nelle membrane cellulari. Il cadmio aumenta il livello di stress ossidativo nelle cellule cerebrali, portando a danni neuronali che possono compromettere la memoria.
La plasticità sinaptica, che include processi come il potenziamento a lungo termine (LTP), è essenziale per la formazione e il recupero dei ricordi. Il cadmio inibisce questi processi, diminuendo la capacità del cervello di adattarsi e rispondere a nuove informazioni. Questo avverrebbe sia per induzione di stress ossidativo che per inibizione di proteine neuronali ricche di zolfo (enzimi e proteine strutturali, inclusi canali ionici). La neurogenesi, ovvero la formazione di nuovi neuroni, è fondamentale per il mantenimento delle funzioni cognitive, in particolare per la memoria a lungo termine. Studi su modelli animali hanno dimostrato che l’esposizione al cadmio riduce la neurogenesi nell’ippocampo, una regione del cervello cruciale per la memoria.
Salute pubblica, prevenzione e trattamento
L’esposizione al cadmio rappresenta una preoccupazione crescente per la salute pubblica, in particolare nei paesi industrializzati e nelle aree con alti livelli di inquinamento ambientale. Le fonti principali di esposizione includono il fumo di tabacco, che è una delle principali fonti di cadmio per i fumatori, e il consumo di alimenti contaminati, come cereali, verdure a foglia verde e frutti di mare. Le popolazioni a rischio includono i lavoratori esposti a cadmio in ambienti industriali, i fumatori, gli abitanti di aree ad alta industrializzazione e le popolazioni più vulnerabili, come bambini e anziani. L’identificazione precoce e il monitoraggio dell’esposizione al cadmio possono contribuire a prevenire o mitigare i potenziali effetti negativi sulla salute cognitiva. Ridurre l’esposizione al cadmio è la strategia più efficace per prevenire i problemi di memoria e gli altri effetti neurotossici associati.
Le politiche ambientali che limitano l’emissione di cadmio nell’aria, nell’acqua e nei suoli sono essenziali per proteggere la salute pubblica. Inoltre, i fumatori dovrebbero essere informati sui rischi del cadmio e incentivati a smettere di fumare. Dal punto di vista terapeutico, sono in corso ricerche per individuare potenziali trattamenti neuroprotettivi che possano contrastare gli effetti del cadmio sul cervello. Alcuni studi preliminari suggeriscono che gli antiossidanti, come il glutatione e la vitamina E, possano ridurre il danno ossidativo causato dal cadmio, ma sono necessari ulteriori studi clinici per confermare la loro efficacia. Una dieta ricca di composti sulfurei (cipolla, Brassicacee, asparagi, ecc.), contenenti composti poli-solfurati, possono fare da “chelanti alimentari” e ridurre l’assorbimento da parte dell’organismo di questo metallo nocivo.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Peters R et al. (2017). J Gerontology, 72(5), 733-740.
Sanders AP et al. (2015). Envir Health Perspect, 123(9), 919.
Eum KD et al. (2014). Environment Res. 132, 85-90.
Wang B, Du Y. (2013). Oxid Med Cell Longev, 2013:898034.
Moulis JM et al. (2010). Toxicol Appl Pharmacol, 238(3), 281.