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Le cadute aumentano il rischio di demenza negli anziani: un’analisi approfondita che arriva fino alle implicazioni cliniche

Introduzione

Le cadute sono un problema di salute pubblica significativo tra gli anziani, con circa un terzo delle persone di età superiore ai 65 anni che subiscono almeno una caduta all’anno. Questi eventi non solo comportano lesioni fisiche, ma studi recenti suggeriscono che possono anche essere associati a un aumento del rischio di demenza. La demenza, una condizione neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita delle funzioni cognitive, è una delle principali cause di disabilità tra gli anziani. Mentre le cause della demenza sono multifattoriali, comprendenti genetica, fattori vascolari e ambientali, un numero crescente di ricerche sta esplorando il ruolo delle cadute come potenziale fattore di rischio per lo sviluppo o l’accelerazione della malattia.

Le cadute sono eventi comuni tra gli anziani e rappresentano una delle principali cause di morbilità e mortalità in questa popolazione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 37,3 milioni di cadute gravi si verificano ogni anno nel mondo, con conseguenze che vanno dalle fratture ossee alle lesioni alla testa. Le cadute possono essere causate da una combinazione di fattori. Il declino fisico legato all’età comporta una riduzione della forza muscolare, equilibrio e coordinazione e la riduzione dell’acuità visiva o disturbi visivi legati all’età, come la cataratta o il glaucoma può contribuire. Condizioni come il diabete, l’ictus e l’artrite possono compromettere la mobilità e l’equilibrio. E danno e beffa, l’uso di farmaci sedativi o che abbassano la pressione sanguigna per il trattamento dell’ipertensione può aumentare il rischio di cadute.

Le persone con un deterioramento cognitivo lieve o demenza sono più inclini a cadere a causa di difficoltà nel giudicare il pericolo e nel mantenere l’equilibrio. Le conseguenze delle cadute sono gravi. Le fratture, in particolare quelle dell’anca, sono comuni e associate a un aumento della mortalità. Tuttavia, le lesioni alla testa, in particolare le lesioni traumatiche cerebrali (TBI), sono tra i più preoccupanti poiché possono danneggiare il tessuto cerebrale e compromettere ulteriormente le funzioni cognitive, aumentando il rischio di sviluppare demenza.

Evidenze scientifiche

Recenti studi epidemiologici hanno suggerito che le cadute possono essere un fattore di rischio significativo per lo sviluppo della demenza. L’associazione tra cadute e demenza sembra essere bidirezionale: mentre le persone con demenza hanno un rischio maggiore di cadere, è stato dimostrato che le cadute stesse possono accelerare il declino cognitivo o contribuire all’insorgenza della demenza.

  1. Studio SOF (Study of Osteoporotic Fractures)

Uno dei principali studi che ha indagato la relazione tra cadute e rischio di demenza è lo Studio SOF, che ha seguito oltre 9.000 donne anziane per 10 anni. I risultati hanno mostrato che le donne che hanno subito una caduta con una lesione alla testa avevano un rischio di demenza significativamente più alto rispetto a coloro che non avevano subito cadute. Questo studio ha evidenziato un rischio aumentato del 40% di sviluppare demenza nelle donne con un episodio di caduta con trauma cranico.

  1. Studio WHIMS (Women’s Health Initiative Memory Study)

Il WHIMS, uno studio di coorte longitudinale, ha esaminato la relazione tra traumi cranici lievi derivanti da cadute e lo sviluppo di demenza. Lo studio ha rilevato che le donne anziane che avevano subito una caduta con lesione alla testa avevano una probabilità significativamente maggiore di sviluppare demenza rispetto a quelle senza storia di traumi cranici.

  1. Studio RETAIN

Un altro studio, il RETAIN Study, ha seguito 4.000 persone anziane con diversi livelli di capacità cognitive. I risultati hanno indicato che gli anziani che avevano subito una caduta con lesione cerebrale avevano un rischio maggiore di declino cognitivo accelerato, in particolare nelle aree della memoria e delle funzioni esecutive. Questi studi suggeriscono una forte correlazione tra cadute e rischio di demenza, ma la relazione è complessa e mediata da molteplici fattori, inclusi quelli fisici, cognitivi e biologici.

Meccanismi collegano le cadute alla demenza

Il collegamento tra cadute e aumento del rischio di demenza può essere spiegato attraverso diversi meccanismi biologici, molti dei quali implicano il danno cerebrale diretto o indiretto. Le cadute sono una delle principali cause di trauma cranico (TBI) negli anziani. Anche lesioni cerebrali lievi possono avere effetti a lungo termine sul cervello, portando a infiammazione cronica, danno neuronale e riduzione del volume cerebrale, tutti fattori associati alla demenza. Il danno cerebrale traumatico può accelerare la formazione di placche amiloidi e grovigli neurofibrillari, due segni distintivi della malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza. I traumi cranici attivano una risposta infiammatoria nel cervello, che può persistere per mesi o anni dopo l’evento traumatico. L’infiammazione cronica è un fattore di rischio noto per la neurodegenerazione e può accelerare il declino cognitivo.

Al danno può contribuire la compromessa integrità della barriera emato-encefalica, permettendo a tossine e molecole infiammatorie di entrare nel cervello e causare danni. Le cadute, soprattutto quelle che provocano traumi alla testa, possono causare danni ai vasi sanguigni del cervello, soprattutto come microemorragie. Questo può portare a una ridotta perfusione cerebrale, riducendo l’apporto di ossigeno e nutrienti al cervello e aumentando il rischio di ictus e altre malattie vascolari cerebrali, che sono associate alla demenza vascolare. Infine, le cadute possono esacerbare condizioni vascolari preesistenti come l’aterosclerosi, che a sua volta può compromettere il flusso sanguigno al cervello e accelerare il declino cognitivo.

Declino cognitivo ed effetti psico-compartimentali

È possibile che le cadute siano sia una causa che una conseguenza del declino cognitivo. Le persone con declino cognitivo lieve (MCI) o demenza hanno un rischio maggiore di cadere a causa di deficit nel giudizio, nel tempo di reazione e nella percezione del pericolo. Tuttavia, le cadute stesse possono accelerare il processo neurodegenerativo, potenzialmente attraverso il danno alle connessioni neuronali e la disfunzione delle reti cognitive. Oltre ai danni fisici, le cadute possono avere effetti psicologici significativi, come la paura di cadere nuovamente, che può portare a un ridotto livello di attività fisica. L’isolamento sociale che spesso segue una caduta può peggiorare il benessere mentale e accelerare il declino cognitivo.

Implicazioni cliniche e prevenzione

Data l’evidenza del legame tra cadute e rischio di demenza, è fondamentale sviluppare strategie di prevenzione efficaci per ridurre l’incidenza delle cadute negli anziani e, di conseguenza, il rischio di demenza. Tali strategie possono ridurre significativamente il rischio di lesioni alla testa e di demenza associata. Questi interventi includono programmi di esercizio fisico regolare, in particolare quelli mirati a migliorare la forza muscolare e l’equilibrio, possono ridurre il rischio di cadute. A domicilio, riordinare e rimodellare gli ostacoli nell’ambiente domestico, installare corrimano e tappeti antiscivolo, e migliorare l’illuminazione possono prevenire cadute accidentali. Infine, assieme al medico di condotta si può revisionare eventuali terapie farmacologiche, riducendo o eliminando farmaci che compromettono l’equilibrio o la pressione sanguigna (benzodiazepine, diuretici, ecc.). Prevenire le cadute e gestire adeguatamente le lesioni alla testa sono passi fondamentali per ridurre il rischio di demenza negli anziani. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi su interventi multidisciplinari che affrontino sia la prevenzione delle cadute che la gestione dei fattori di rischio cognitivi, al fine di migliorare la qualità della vita e ridurre il carico di malattie neurodegenerative.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Livingston, G., et al. (2020). The Lancet, 396(10248), 413-446.

Gale CR, et al. (2017). J Amer Geriatrics Society. 65(5), 966-973.

Thurman DJ et al. (2016). J Head Trauma Rehabil. 31(1), E1-E8.

Shively S, Scher A et al. (2012). Archives Neurol. 69(10), 1245-51.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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