Prove crescenti collegano il microbioma intestinale a un’ampia gamma di condizioni autoimmuni, tra cui il morbo di Crohn (CD), la colite ulcerosa (ULC), l’artrite reumatoide (REA), il diabete di tipo 1 (T1D), la sclerosi multipla (MUS), il lupus eritematoso sistemico (LES) e altre. I dati metagenomici dei campioni di microbioma intestinale umano sono stati utilizzati per identificare le firme microbiche che si associano a una particolare condizione o malattia con l’obiettivo di identificare potenziali agenti causali e bersagli terapeutici. La disbiosi, o grave instabilità nel microbiota intestinale, è unica tra le persone, dimostrando una relazione diretta tra la composizione intestinale e i sintomi clinici delle malattie autoimmuni. Sono necessari studi più approfonditi per trovare biomarkers e comprendere i processi attraverso cui il microbioma influisce sulle malattie autoimmuni, specialmente per determinare la causa e la specificità di ciascuna condizione.
Le interazioni proteina-proteina nel microbioma (PPI) svolgono potenzialmente un ruolo critico nel generare firme specifiche per la malattia e nel modellare i profili unici del microbioma osservati in diversi pazienti in un dato gruppo di malattie. L’interazione fisica ospite-microbiota è facilitata dalla localizzazione diretta dei batteri nei linfonodi mesenterici, nelle placche di Peyer e nelle barriere epiteliali che promuovono il mutualismo attraverso risposte immunitarie sia innate che adattative. Questa prossimità fisica facilita sia le relazioni mutualistiche sia le complesse interazioni molecolari che possono avere un impatto sulla progressione della malattia. Le proteine commensali che includono enzimi di degradazione della mucina e inibitori della proteasi prodotti dal microbiota possono avere effetti immunomodulatori nell’intestino che influenzano l’attivazione immunitaria o sopprimono l’espressione di citochine infiammatorie.
Una ricerca molto recente condotta presso la Cornell University ha utilizzato la profilazione del microbioma per scoprire possibili biomarcatori e percorsi molecolari alla base di disturbi autoimmuni, tra cui LES e IBD. Lo studio ha dimostrato che i microrganismi intestinali possono regolare i processi patologici, con IBD e LES che hanno percorsi arricchiti per la segnalazione del recettore dei glucocorticoidi, interleuchina (IL)-12, 13 e della via PI3K/AKT. Le PPIs nel microbioma ospite collegate alla proteina del recettore dei glucocorticoidi della sottofamiglia dei recettori nucleari 3 gruppo C membro 1 (NR3C1) erano significativamente correlati con IBD e LES, indicando un’infiammazione indotta da stress ossidativo. Le convalide sperimentali hanno mostrato connessioni tra NR3C1 e proteine derivate dai batteri intestinali, implicando potenziali applicazioni terapeutiche per malattie infiammatorie come IBD e LES.
Gemella haemolysans, Clostridium innocuum e Streptococcus oralis erano più diffusi negli individui con IBD e LES rispetto ai controlli. Parvimonas micra, Peptostreptococcus stomatis, Fusobacterium nucleatum, Gemella morbillorum, Hungatella hathewayi e Solobacterium moorei erano i batteri più comuni riscontrati nei pazienti con CRC. I controlli presentavano abbondanze maggiori di Anaerostipes hadrus, Fusicatenibacter saccharivorans, Eubacterium sp. CAG_38, Gemmiger formicilis, Clostridium leptum e Asaccharobacter celatus rispetto ai pazienti con LES o IBD. Lo studio ha rilevato una differenza metabolica significativa tra i controlli sani e i pazienti con LES/IBD, in particolare nel metabolismo dell’acetil-CoA e del piruvato. I pazienti con LES o IBD si concentrano su enzimi come la piruvato chinasi e la piruvato deidrogenasi, che possono avere un impatto sullo sviluppo della malattia tramite cambiamenti del microbioma intestinale.
I controlli sani, d’altro canto, hanno un forte metabolismo dell’acetil-CoA che supporta il ciclo dell’acido tricarbossilico (ciclo di Krebs). I pazienti presentano anche livelli elevati di acetato CoA transferasi, che può influenzare la composizione del microbioma e l’infiammazione dei tessuti. Gli enzimi batterici carboidrato-attivi, come NAGNT e peptidoglicano idrolasi, sono stati notevolmente sovraespressi in individui con vari disturbi autoimmuni. I geni per glucano endo-1,3-β-glucosidasi (GH17), endo-β−1,4-galattanasi (GH53) ed endo-α−1,4-poli-galattosaminidasi (GH114) erano più numerosi nei controlli. I risultati suggeriscono che gli enzimi correlati ai carboidrati possono essere potenziali biomarkers per la diagnosi di disturbi autoimmuni come IBD e LES. Le interazioni proteina-proteina che coinvolgono NR3C1 potrebbero perciò migliorare la diagnosi e consentire una terapia più personalizzata per i disturbi autoimmuni.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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