Testosterone e funzioni cerebrali
Gli ormoni androgeni, in particolare il testosterone, giocano un ruolo significativo in vari aspetti della salute cereberale. Diversi studi hanno mostrato che i livelli di testosterone possono influenzare le capacità cognitive. In generale, livelli più elevati di testosterone sono associati a migliori performance cognitive, in particolare in compiti che richiedono memoria spaziale e apprendimento. Il testosterone promuove la plasticità sinaptica, che è essenziale per l’apprendimento e la memoria. Questo ormone aiuta a rafforzare le connessioni tra i neuroni, facilitando la comunicazione e l’adattamento alle nuove esperienze. Infine, questo ormone è coinvolto nella regolazione dell’umore e dell’emotività. Bassi livelli di testosterone sono stati associati a sintomi di depressione e ansia. L’ormone può influenzare i circuiti cerebrali coinvolti nella regolazione delle emozioni. Fra i processi regolati dagli androgeni sono inclusi la neuroprotezione e la neurodegenerazione. Analizziamo ciascuno di questi aspetti in dettaglio.
Ruolo del Testosterone nella Neuroprotezione
Il testosterone è stato associato a effetti neuroprotettivi in diverse condizioni. Gli studi indicano che il testosterone può promuovere la sopravvivenza neuronale e ridurre l’apoptosi. Questo effetto protettivo è mediato attraverso vari meccanismi:
- Attività antinfiammatoria: Il testosterone ha dimostrato di ridurre la produzione di citochine pro-infiammatorie e di modulare la risposta immunitaria. Ciò è particolarmente rilevante in contesti neurodegenerativi, dove l’infiammazione gioca un ruolo cruciale. Il testosterone riduce la produzione di citochine pro-infiammatorie, come il TNF-α, l’IL-6 e l’IL-1β. Queste citochine sono frequentemente coinvolte nelle risposte infiammatorie e nella patogenesi di malattie autoimmuni e neurodegenerative. La diminuzione di queste molecole può contribuire a una riduzione dell’infiammazione sistemica e locale.
- Influenza sulle cellule immunitarie: il testosterone può modulare la polarizzazione dei macrofagi, favorendo uno stato anti-infiammatorio (M2) rispetto a uno pro-infiammatorio (M1). I macrofagi M2 sono noti per la loro capacità di promuovere la guarigione dei tessuti e per le loro funzioni di riparazione. Gli androgeni possono influenzare l’attivazione e la proliferazione dei linfociti T, riducendo la loro attività pro-infiammatoria. Questo è particolarmente importante nelle malattie autoimmuni, dove una risposta immune eccessiva gioca un ruolo centrale. Infine, il testosterone può influenzare l’integrità della barriera emato-encefalica, riducendo la permeabilità che può portare a un’infiltrazione di cellule immunitarie nel sistema nervoso centrale, contribuendo così a un ambiente meno infiammato.
- Influenza sulla biologia cellulare: il testosterone ha proprietà antiossidanti non dirette (sono mediate dall’espressione genica specifica) che contribuiscono a ridurre lo stress ossidativo. Questo è cruciale perché lo stress ossidativo è spesso associato all’infiammazione cronica e alla neurodegenerazione. Proteggendo le cellule dallo stress ossidativo, il testosterone può attenuare le risposte infiammatorie. Il testosterone, inoltre, può migliorare la sensibilità all’insulina, che a sua volta è associata a una riduzione dell’infiammazione sistemica. L’insulino-resistenza è spesso correlata a stati infiammatori, quindi migliorare la sensibilità può avere un effetto antinfiammatorio.
Testosterone e neurodegenerazione
Le evidenze suggeriscono che i livelli di testosterone possono influenzare il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer (ALD). Il testosterone stimola la neurogenesi, ossia la formazione di nuovi neuroni, particolarmente nell’ippocampo, una regione critica per la memoria e l’apprendimento. Un aumento della neurogenesi può contribuire a un migliore funzionamento cognitivo e a una riduzione del rischio di declino cognitivo. Gli ormoni sessuali svolgono un ruolo rilevante nello sviluppo dell’ALD, come dimostrato dalla maggiore incidenza nelle donne rispetto agli uomini. Alcuni studi hanno mostrato che i livelli più elevati di testosterone sono associati a un ridotto rischio di Alzheimer, forse a causa della sua capacità di inibire l’accumulo di placche di beta-amiloide e di ridurre la neuroinfiammazione. Inoltre, ci sono dati che indicherebbero come il testosterone può influenzare la produzione e il metabolismo di ricambio (turnover) del beta-amiloide, riducendo potenzialmente l’accumulo di queste placche.
Meccanismi cellulari e molecolari
Nei modelli cellulari e animali, è stato dimostrato che il livello di testosterone era strettamente associato all’efficienza neuronale e riduceva la deposizione di Aβ nel cervello. Attivando il recettore AR-alfa, l’ormone stimola la fagocitosi della microglia, rimuovendo la deposizione di Aβ e inibendo la risposta infiammatoria. Nel modello di ratto dell’ALD, è stato dimostrato che T previene il declino cognitivo eliminando i radicali liberi, migliorando così la plasticità sinaptica e regola la bioenergetica neuronale aumentando la funzione mitocondriale, il che aumenta l’attività antiossidante cellulare generale. Il testosterone migliora il metabolismo energetico e riduce lo stress ossidativo nei neuroni e riduce l’attività dell’enzima beta-secretasi (BACE1), che riduce la deposizione di Aβ, suggerendo che il testosterone endogeno, indipendentemente dall’estrogeno, può proteggere dall’ALD nei maschi. L’effetto sulla bioenergetica cellulare è più efficiente di altri ormoni sessuali, come il progesterone e gli estrogeni.
L’azione sui neuroni è complessa e regolata dalla sua azione diretta associata agli effetti dei vari metaboliti originati dalla sua molecola. Il testosterone e i suoi neurosteroidi correlati (strutturalmente diversi come progesterone, estrone, 3-alfa-androstanediolo (3α-Diol), DHEA e allopregnanolone) sono coinvolti nella regolazione dell’attività neuronale mediata specialmente dai canali ionici e del glutammato. Il metabolita 3α-Diol è di rilevante interesse perché è un potente neurosteroide modulatore del recettore GABA(A) con proprietà anticonvulsivanti, e la produzione di 3α-Diol ripristina le prestazioni cognitive e affettive. L’androstenediolo è attivo sui recettori GABA e N-metil-D-aspartato (NMDA) responsabili della memoria, dei disturbi dell’apprendimento e della psicosi. In particolare, il 5α-androstano e 3β,17β-diol (3β-Diol) attivano il recettore estrogenico ER-alfa e non l’AR-alfa.
Terapia sostitutiva ormonale: implicazioni cliniche
La diminuzione dei livelli di testosterone durante l’invecchiamento (andropausa) è stata correlata a un aumento del rischio di deterioramento cognitivo. La carenza di testosterone può contribuire a sintomi di demenza e a un declino delle funzioni cognitive. Alcuni studi hanno esaminato l’uso di terapie sostitutive con testosterone in uomini con deficit ormonali, mostrando potenziali benefici in termini di miglioramento cognitivo e riduzione della progressione dei sintomi. Similmente agli studi osservazionali, gli studi clinici che valutano gli effetti della terapia ormonale sulla cognizione sono eterogenei in caratteristiche chiave come i domini cognitivi considerati e gli strumenti di valutazione, e sia lo stato androgeno che quello cognitivo dei partecipanti prima dell’inizio della terapia.
Ciò potrebbe spiegare almeno in parte i risultati piuttosto incoerenti Gli effetti del testosterone possono variare significativamente tra gli individui, influenzati da fattori genetici, ambientali e di salute generale. I risultati deludenti degli studi di intervento sulla terapia con T concordano con i risultati ampiamente negativi degli studi osservazionali. Infatti, gli studi randomizzati controllati non hanno mostrato un effetto della terapia con androgeni sul declino cognitivo, mentre non hanno rivelato alcun effetto sulla funzionalità fisica e sulla mobilità o miglioramenti limitati di dubbia rilevanza clinica. Nonostante i potenziali benefici, inoltre, l’uso di testosterone come terapia deve essere attentamente valutato per i rischi associati, come malattie cardiovascolari e effetti collaterali prostatici.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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