Dalla metà di ottobre ad oggi in Italia sono stati registrati almeno 1.3 milioni di casi di influenza, secondo le stime del SSN, anche se è probabile che parte di questi casi siano da attribuire o a raffreddore o ad altri virus respiratori che stanno girando, incluse l’australiana (H3N2) e le varianti del coronavirus che stanno evolvendo. Gli esperti stimano che a Dicembre-Gennaio ci sarà il picco dei casi, con un numero di contagiati compreso fra i 14 ed i 15 milioni. Questa è la ragione per cui le autorità sanitarie stanno spingendo alla campagna vaccinale dell’inverno. Come al solito, le categorie più a rischio hanno sia la precedenza che il maggiore invito alla prevenzione, ovvero cardiopatici, pazienti in dialisi e con malattie polmonari croniche.
Il clima è un fattore determinante per la diffusione dei virus respiratori: se il freddo arriverà presto e sarà intenso e prolungato, avremo una prevalenza dell’influenza vera e propria. In caso di sbalzi termici, invece, saranno i virus parainfluenzali come adenovirus, rinovirus e metapneumovirus a prevalere, secondo gli esperti. Un brusco calo delle temperature, registrato dalle piogge e le variazioni della scorsa settimana potrebbero incidere sull’evoluzione, anche se l’oscillazione brusca da freddo a rialzo delle temperature medie stagionali possono concorrere, invece, alla comparsa di sindromi da raffreddamento. Le varianti di coronavirus saranno nel mezzo: già lo scorso luglio ha fatto registrare due mini-ondate che hanno fatto circolare altre varianti.
Siccome queste hanno dei cicli compresi fra i 4 ed i 6 mesi, i clinici si aspettano che il loro prossimo farà il picco proprio a dicembre-gennaio quando è atteso quello influenzale. La buona notizia è che, grazie alle vaccinazioni e all’immunità ibrida (dovuta a vaccinazioni e infezioni pregresse), il COVID non è più quello di prima, aggiungendo anche l’evoluzione delle varianti che più che bersagliare i polmoni sembrano ormai preferire bronchi e vie respiratorie più alte. Questo giustificherebbe la prevalenza di tosse (quasi sempre secca), mal di gola e dolore alla deglutizione registrati dall’infezione dei coronavirus. Per la stessa ragione legata all’influenza, allo stesso modo, è importante considerare la vaccinazione anti-COVID, soprattutto per chi appartiene alle categorie più fragili sopradette.
Nei bambini tra i 6 mesi ai 6 anni la vaccinazione è consigliata, soprattutto per chi ha problemi polmonari, bronchiti ed otiti ricorrenti. Anche nei sani, l’influenza può provocare delle complicanze, come le sovrainfezioni batteriche, senza contare quello che si verificherà quasi sicuramente con l’assenteismo scolastico. Parimenti si presenterà una situazione analoga per gli studenti delle scuole medie e superiori, che hanno un’età più idonea per sottoporsi ad una vaccinazione preventiva. Come sempre, si ricorda che vaccinarsi non significa diventare completamente immuni dalla comparsa dell’influenza, come pensavano molti in pandemia quando si vaccinavano contro il coronavirus. La vaccinazione fa sì che, in caso di contagio, la malattia esordisca con intensità inferiore, tale da farla affrontare attenuata nei sintomi.
Se si arriva a “beccarsela”, non si può fare altro che aspettare che passi: qualche analgesico per i dolori alle ossa, tanta vitamina C per stabilizzare ed aiutare le difese immunitarie e un febbrifugo se la temperatura passa i 38,5 °C. Inutile usare gli antibiotici se si tratta di influenza, perché non sono efficaci contro il virus. Quindi, ancora una vota, la prevenzione ed il buon senso hanno la priorità.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.