L’incurabilità della malattia di Parkinson
Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita di neuroni dopaminergici nella substantia nigra, con conseguente diminuzione dei livelli di dopamina nel cervello. Le possibilità di cura sono limitate ai sintomi attraverso la L-DOPA ed altri agonisti dopaminergici come ropinirolo, pramipexolo, biperidene ed inibitori della degradazione della dopamina (es. carbi-DOPA, selegilina e rasagilina). Questi farmaci, tuttavia, tuti sanno che non sono curativi bensì agenti unicamente sulla sintomatologia. Non prevengono nemmeno le degenerazioni cellulari legate allo stress ossidativo che, gradualmente, eliminano i neuroni della substantia nigra. Ecco perché l’espediente di trovare molecole antiossidanti e neuroprotettive adatte ha indotto i ricercatori ad impegnarsi per una migliore gestione della malattia.
Molecole neurotrofiche naturali
Le molecole neurotrofiche, sia sintetiche che naturali, inclusi i metaboliti endogeni, sono oggetto di studio per il loro potenziale nel proteggere e rigenerare questi neuroni, offrendo nuove prospettive terapeutiche. Tra le molecole naturali, il fattore neurotrofico derivato dalla linea cellulare gliale (GDNF) ha mostrato effetti neuroprotettivi nei modelli animali di Parkinson. Tuttavia, i risultati degli studi clinici sull’uomo sono stati contrastanti. Ad esempio, uno studio clinico di fase I/IIa ha valutato la somministrazione di GDNF mediante infusione intracerebrale in pazienti con Parkinson avanzato, mostrando miglioramenti in alcuni partecipanti, ma senza differenze significative rispetto al placebo. Un’altra molecola endogena di interesse è il fattore neurotrofico cerebrale (BDNF). Sebbene il BDNF abbia dimostrato potenziale neuroprotettivo in studi preclinici, la sua applicazione clinica è limitata dalla difficoltà di attraversare la barriera ematoencefalica.
Neurotrofici endogeni
L’acido lipoico (ALA) è un antiossidante endogeno che ha suscitato interesse per le sue potenziali proprietà neuroprotettive. Studi preclinici hanno suggerito che l’acido lipoico possa ridurre lo stress ossidativo e migliorare la funzione mitocondriale nei modelli animali di Parkinson. L’ALA agisce come cofattore essenziale nei complessi enzimatici mitocondriali, contribuendo al metabolismo energetico cellulare. La sua potente attività antiossidante consente di neutralizzare specie reattive dell’ossigeno, riducendo lo stress ossidativo, un fattore chiave nella patogenesi del PAD. Inoltre, l’ALA può rigenerare altri antiossidanti endogeni, come le vitamine C ed E, potenziando ulteriormente le difese cellulari. Studi su modelli animali di PAD hanno dimostrato che l’ALA può proteggere i neuroni dopaminergici dalla degenerazione. Ad esempio, in modelli murini trattati con neurotossine per indurre sintomi parkinsoniani, la somministrazione di ALA ha ridotto la perdita neuronale e migliorato le funzioni motorie. Questi risultati suggeriscono un potenziale ruolo neuroprotettivo dell’ALA nel contesto del PAD. Tuttavia, le evidenze cliniche sull’efficacia dell’acido lipoico nel trattamento del Parkinson sono ancora limitate e necessitano di ulteriori ricerche.
L’Acetil-L-Carnitina (ALC) è un derivato acetilato della L-carnitina, noto per il suo ruolo nel metabolismo energetico e per le proprietà neuroprotettive. L’ALC facilita il trasporto degli acidi grassi nei mitocondri, promuovendo la produzione di energia. Nel contesto del morbo di Parkinson, l’ALC è stata studiata per il suo potenziale nel migliorare la funzione mitocondriale e ridurre lo stress ossidativo, entrambi fattori implicati nella patogenesi della malattia. Studi su modelli animali hanno indicato che l’ALC può migliorare la funzione mitocondriale e ridurre i danni ossidativi nei neuroni dopaminergici. Ad esempio, in modelli murini di Parkinson, la somministrazione di ALC ha mostrato una riduzione della perdita neuronale e un miglioramento delle funzioni motorie. Le evidenze cliniche sull’uso dell’ALC nel trattamento del morbo di Parkinson sono limitate. Uno studio clinico ha valutato la combinazione di acido alfa-lipoico e ALC in pazienti con paralisi sopranucleare progressiva, una malattia neurodegenerativa correlata. I risultati hanno indicato che la combinazione era sicura e ben tollerata, con alcuni miglioramenti nei biomarkers del metabolismo energetico, sebbene non siano stati osservati effetti significativi sui sintomi clinici.
Molecole neurotrofiche sintetiche
Per superare le limitazioni delle molecole naturali, sono state sviluppate molecole sintetiche che mimano l’azione dei fattori neurotrofici. Ad esempio, la deossi-gedunina, un agonista selettivo del recettore TrkB (recettore del BDNF) derivato da un limonoide (simil-steroide) naturale isolato dall’albero indiano di neem, ha mostrato efficacia in modelli animali di Parkinson, proteggendo i neuroni dopaminergici e migliorando la funzione motoria. Un’altra molecola sintetica promettente è il BNN-20, un derivato del deidro-epiandrosterone (DHEA), che agisce come agonista dei recettori TrkA e TrkB. Studi preclinici hanno evidenziato che il BNN-20 attraversa la barriera ematoencefalica e protegge i neuroni dopaminergici in modelli murini di neurodegenerazione dopaminergica.
Studi clinici
Attualmente, diverse molecole neurotrofiche sono in fase di valutazione clinica per il trattamento del morbo di Parkinson. Ad esempio, il Buntanetap (noto anche come Posiphen) è un inibitore di proteine neurotossiche in fase di sperimentazione per il trattamento del Parkinson. È attualmente in fase III di sperimentazione clinica. Un altro approccio in fase di studio è la somministrazione di GDNF mediante vettori virali attraverso la tecnica della “convection-enhanced delivery” (CED). Uno studio clinico di fase I ha valutato la sicurezza e l’efficacia preliminare di questo approccio in pazienti con Parkinson avanzato, mostrando risultati promettenti. Le molecole neurotrofiche, sia naturali che sintetiche, rappresentano una promettente area di ricerca per il trattamento del morbo di Parkinson. Nonostante i risultati preclinici incoraggianti, sono necessari ulteriori studi clinici per confermare la loro efficacia e sicurezza nell’uomo.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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