Per 75 giorni nel corso di un anno, alle 7:30 del mattino, la neuroscienziata Carina Heller ha rinunciato alla consueta routine mattutina per trascorrere un’ora e mezza sotto lo scanner per risonanza magnetica (RMN), con una missione precisa nella testa: dimostrare sulla sua pelle l’effetto sul cervello dei contraccettivi orali. La costanza della scienziata ha dato frutto, e ha permesso di osservare che la struttura del cervello si altera in modo “ritmico” nel corso del ciclo mestruale canonico, per subire ulteriori cambiamenti quando si assume la pillola. L’obiettivo di Heller era raccogliere dati su un campo della scienza – quello della salute femminile – tradizionalmente poco studiato e scarsamente finanziato. I risultati preliminari dello studio, sintetizzati sulla famosa rivista Nature, sono stati presentati alla conferenza annuale della Society for Neuroscience a Chicago.
Si stima che più di 150 milioni di donne al mondo usino la pillola o altri contraccettivi orali, ma gli effetti di questi farmaci sul cervello sono ancora poco conosciuti: molte ragazze iniziano ad assumere la pillola durante la pubertà, una fase cruciale per lo sviluppo del cervello; alcune donne riportano sintomi accentuati di ansia o depressione sotto contraccettivi orali, altre una loro attenuazione. Per conoscere meglio tutti questi aspetti servirebbero studi approfonditi, ma la maggior parte delle indagini che sfruttano la risonanza magnetica (e che servono a osservare la morfologia e la connettività cerebrale) coinvolgono poche decine di partecipanti esaminati una sola volta, anche per l’alto costo di questa tecnica di imaging.
Un crescente numero di studi di neuroscienze sceglie un approccio opposto chiamato “dense sampling” (letteralmente “campionamento denso”), in cui un singolo partecipante si presta ripetutamente a scansioni così da costruire un database più corposo, e catturare fenomeni che altrimenti finirebbero per non essere notati. Lo studio di Heller si inserisce in questo filone. La scienziata si è sottoposta a RM per 25 volte in 5 settimane in fasi diverse del suo ciclo mestruale. In seguito ha iniziato ad assumere la pillola contraccettiva, e dopo tre mesi ha ripetuto le sessioni in RMN (di nuovo 25 sedute in 5 settimane). Quindi ha interrotto la pillola, atteso altri tre mesi e rifatto un terzo ciclo di scansioni (25×5), diventando così la donna più “osservata” in RMN di sempre. Nello stesso periodo Heller si è sottoposta a esami del sangue e questionari sull’umore.
Tutti questi dati hanno permesso di capire che il volume e le connessioni tra aree cerebrali cambiano quotidianamente durante il ciclo mestruale, seguendo un andamento ritmico; e che volume e connettività cerebrale si riducono leggermente quando si assume la pillola, per poi ritornare ai livelli precedenti quando si interrompe la terapia ormonale (un più ampio volume cerebrale non implica migliori funzioni cognitive, e un volume più ridotto non vuol dire peggiori performance). Il cervello mostra dunque una certa flessibilità nel rispondere alle sollecitazioni degli ormoni femminili, responsabili di queste fluttuazioni. Sono state eseguite in passato anche studi di biofisica ed algebra tramite trasformate di Fourier, per calcolare a livello cellulare le variazioni di volume dei neuroni cerebrali.
Ovviamente, queste variazioni non potrebbero essere rilevate ad occhio nudo, trattandosi di microns relativi ad ogni cellula cerebrale. Tuttavia, le variazioni fisiche cellulari possono condizionare fenomeni che nel caso dei neuroni possono tradursi in alterazioni dei contatti sinaptici, allontanamenti o avvicinamenti fra molecole di adesione e superfici cellulari e cose simili. Questo può variare le trasduzioni cellulari interne indotte dai recettori di superifcie e modulare la disponibilità e l’accesso di ormoni ed altre molecole neurotrofiche per i neuroni, inclusi gli ormoni sessuali. Studi precedenti hanno infatti dimostrato che alti livelli di estrogeni favoriscono la connettività di alcuni network cerebrali, come quello coinvolto nella “modalità di base”, attiva quando si sogna a occhi aperti e coinvolta nella rievocazione dei ricordi.
Gli ormoni estrogeni agiscono tradizionalmente mediante recettori intracellulari, quelli appartenenti alla famiglia degli ormoni steroidei. Una volta attivati, questi esercitano un profondo impatto sull’espressione genica cellulare, favorendo il trofismo cellulare, la formazione delle sinapsi, la protezione dallo stress ossidativo e del metabolismo energetico cellulare. Ma possono agire anche tramite un recettore sulla superficie cellulare chiamato GPER o GPR30, che si accoppia alle proteine trasduttive G al pari di altri ormoni e neurotrasmettitori. Il segnale innescato da questo recettore porta all’attivazione sia della via MAP-chinasi (ERK2) che del secondo messaggero AMP ciclico (cAMP-PKA) mediato da proteine G stimolatorie (Gs e Gq). Entrambe queste cascate di proteina chinasi possono condizionare il citoscheletro cellulare, i filamenti intermedi, la secrezione vescicolare e la sintesi proteica.
Tutti questi fenomeni conferiscono al neurone effetti neurotrofici e di plasticità sinaptica; invece il progesterone, un altro ormone femminile, sembra avere l’effetto opposto. Anche il progesterone ha recettori interni e recettori di superficie. Questi ultimi, definiti mPR o PAQRs, sembrerebbero accoppiati a proteine G inibitorie (Gi) con effetto opposto alle Gs. Infatti, l’effetto è quello di ridurre l’attivazione della via cAMP-PKA, con conseguente influenza sulla secrezione di mediatori e la riorganizzazione del citoscheletro cellulare. Poiché i contraccettivi orali spesso contengono versioni sintetiche di questi ormoni, lo studio offre suggestioni interessanti sugli effetti sottili che le fluttuazioni ormonali hanno sulla struttura del cervello e, forse, sul comportamento.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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