Negli ultimi anni, il consumo di latte tradizionale è stato al centro di numerosi studi epidemiologici e nutrizionali per il suo potenziale impatto sulla salute cardiovascolare, in particolare nelle donne. Un recente studio condotto in Svezia, pubblicato su BMC Medicine, ha analizzato dati provenienti da oltre 100.000 individui seguiti per decenni, evidenziando un’associazione significativa tra l’assunzione regolare di latte non fermentato e un aumento del rischio di malattia cardiaca ischemica nelle donne. Questa correlazione non è stata riscontrata negli uomini, suggerendo l’esistenza di meccanismi fisiopatologici differenziati in base al sesso. I ricercatori hanno ipotizzato che il contenuto di lattosio del latte non fermentato possa contribuire all’infiammazione sistemica e al danno cellulare, due processi noti per promuovere la patogenesi delle malattie cardiovascolari.
Inoltre, il consumo di latte è stato associato a livelli alterati di specifici biomarcatori, tra cui un aumento dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2) e una diminuzione del fattore di crescita 21 dei fibroblasti (FGF21), entrambi implicati nella regolazione della pressione arteriosa e del metabolismo lipidico. Le donne che consumavano quantità elevate di latte tradizionale (circa 800 ml al giorno) presentavano un rischio di sviluppare malattie cardiache ischemiche maggiore del 21% rispetto a chi ne consumava quantità inferiori. Contrariamente a quanto osservato con il latte tradizionale, l’assunzione di prodotti caseari fermentati, come yogurt e kefir, non è invece risultata associata a un aumento del rischio di malattie cardiache. Ciò è in linea con altri studi condotti in quest anni sul ruolo benefico e salutare delle bevande fermentate sulla salute del cuore.
I prodotti fermentati contengono probiotici e composti bioattivi che sembrano esercitare effetti cardioprotettivi attraverso la modulazione del microbiota intestinale e dell’infiammazione sistemica. Inoltre, la digestione delle caseine del latte si originano peptidi (lactorfine, casomorfine) alcuni dei quali hanno azione inibitoria diretta proprio contro l’ACE2, contribuendo all’effetto ipotensivante del latte in sé. Tali differenze sottolineano l’importanza di distinguere tra diverse tipologie di prodotti lattiero-caseari quando si valutano gli effetti sulla salute. Sebbene i risultati dello studio svedese siano significativi, è importante considerarli nel contesto di altre ricerche. L’analisi dei dati epidemiologici deve tenere conto di potenziali fattori confondenti sul rischio cardiovascolare, tra cui la qualità della dieta, l’attività fisica, il consumo di alcol e il fumo.
Inoltre, il ruolo delle differenze genetiche e metaboliche nella risposta al consumo di latte richiede ulteriori approfondimenti. Le implicazioni pratiche di queste scoperte suggeriscono che le donne dovrebbero considerare una moderazione nel consumo di latte tradizionale e valutare l’inclusione di alternative fermentate nella loro dieta. Tuttavia, qualsiasi modifica dietetica dovrebbe essere effettuata sotto la supervisione di un professionista sanitario, in quanto il latte rappresenta una fonte importante di nutrienti essenziali, come calcio, vitamina D e proteine. Un approccio equilibrato e basato su evidenze scientifiche può contribuire a migliorare la salute cardiovascolare e ridurre il rischio di malattie croniche.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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