I tumori renali, alcuni melanomi e i tumori polmonari non a piccole cellule rispondono bene al blocco dei checkpoint immunitari. Ma non tutti i tumori rispondono fortemente (o per niente) alle immunoterapie. Alcuni tumori considerati tumori “freddi”, come il cancro alla prostata, hanno meno cellule T intratumorali, quindi la risposta immunitaria è più debole rispetto ai tumori “caldi” con molte di queste cellule. Mentre i tumori “caldi” in genere rispondono bene alle immunoterapie, i tumori “freddi” no. I tumori possono anche eludere la sorveglianza immunitaria, nascondendosi dal sistema immunitario ed evitando di innescare uno sciame di cellule T e alterare il microambiente tumorale. Per quanto efficaci possano essere le immunoterapie, alcuni tumori sono diventati “intelligenti”, limitando il potenziale delle terapie. Una delle sfide è stata come espandere l’utilità degli approcci immunoterapeutici a più pazienti oncologici e più tipi di cancro.
Uno studio dell’University of Michigan Health Rogel Cancer Center potrebbe aver, finalmente, risolto il caso irrisolto della resistenza all’immunoterapia. La ricerca, guidata da Arul Chinnaiyan, MD, PhD, identifica l’enzima attivatore ubiquitina-simile 1, o UBA1, già noto per contribuire alla crescita tumorale, come mediatore chiave per la risposta immunitaria a un tumore. L’inibizione della sua attività aumenta il reclutamento delle cellule T e riduce la resistenza del tumore alle immunoterapie. Con almeno un inibitore di UBA1 negli studi clinici, i risultati aprono la porta a una terapia di blocco del checkpoint immunitario combinato in un futuro non troppo lontano. Lo studio è stato pubblicato su Cancer Discovery. Il dott. Chinnaiyan e i suoi colleghi avevano messo gli occhi su UBA1, che era stato precedentemente stabilito come una presenza essenziale nelle cellule tumorali.
Sebbene UBA1 fosse stato sui radar degli investigatori, era principalmente un bersaglio con effetti diretti sulle cellule tumorali, con farmaci inibitori come TAK-243 già progettati a tale scopo e dimostrati efficaci contro i tumori. Non erano stati effettuati test per determinare quali effetti, se presenti, l’inibizione di UBA1 potesse avere sul microambiente tumorale o sulla risposta immunitaria complessiva. L’esperienza di Chinnaiyan include il cancro alla prostata, un tumore fortemente freddo che ha risposte limitate alle immunoterapie, inclusa quella checkpoint. I ricercatori hanno analizzato i dati genetici di 208 campioni di tumore alla prostata metastatico, esaminando oltre 600 geni e la loro correlazione con l’interferone-gamma, un gene antitumorale prodotto dalle cellule effettrici immunitarie. Hanno trovato 17 geni che erano negativamente correlati con l’espressione di IFN-gamma, indicando una risposta immunitaria attenuata alla presenza del cancro.
Tra questi, UBA1 aveva la correlazione negativa più forte con l’espressione di IFN-gamma. I pazienti i cui tumori presentavano alti livelli di espressione di UBA1 tendevano anche a essere più resistenti alla terapia ICB, con conseguenti esiti peggiori. Per esplorare se la correlazione negativa tra UBA1 e IFNG fosse causale, i ricercatori hanno quindi condotto studi preclinici in cui hanno sovraespresso o sottoespresso UBA1 nei tumori nei topi. I topi con livelli di espressione di UBA1 più elevati avevano tumori a crescita più rapida, mentre quelli con un’espressione di UBA1 più bassa avevano tumori a crescita più lenta. I ricercatori hanno scoperto che la sovraespressione di UBA1 bloccava il reclutamento dei linfociti T CD8+ nel tumore, consentendogli di sfuggire alla sorveglianza immunitaria e crescere rapidamente. Con un meccanismo ora in mano, i ricercatori hanno testato se l’uso di TAK-243 per inibire UBA1 avrebbe aumentato il reclutamento di CD8+ nei topi immunocompetenti.
E così è stato: metà dei topi trattati con TAK-243 e una terapia ICB hanno visto scomparire i loro tumori. I risultati indicano che l’associazione di TAK-243 con terapie di blocco dei checkpoint immunitari potrebbe rendere l’immunoterapia molto più efficace o addirittura aprire la porta all’uso per pazienti con tumori freddi. Questo lavoro potrebbe stimolare le aziende a sviluppare più inibitori dell’UBA1 e, poiché TAK-243 è già disponibile, questa combinazione terapeutica potrebbe non essere poi così lontana.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Bao Y, Cruz G et al. Cancer Discovery. 2024; in press.
Awasthi S et al. Cell Rep Med. 2024 Nov 27:101834.