La ketamina è stata utilizzata fin dagli anni ’60 come anestetico, ma nel 2000, il primo studio di dosi molto più basse di ketamina ha dimostrato la sua rapida efficacia nel trattamento della depressione maggiore e dell’ideazione suicida. Gli antidepressivi tradizionali impiegano mesi per fare effetto, il che aumenta il rischio per alcuni pazienti di agire su pensieri suicidi durante il periodo iniziale di terapia. La ketamina fornisce un sollievo quasi immediato dai sintomi depressivi e rimane efficace per diversi giorni e fino a una settimana dopo la prima dose. Da quando questa osservazione è stata pubblicata agli inizi del 2000, sono state istituite cliniche apposite, dove il farmaco viene somministrato per via endovenosa per curare la depressione. Ma il modo in cui la ketamina ottiene un effetto antidepressivo così drammatico così rapidamente è stato poco compreso a livello molecolare. Queste informazioni sono fondamentali per comprendere non solo il modo migliore per utilizzare la ketamina, ma anche per sviluppare farmaci simili.
I neuroscienziati dell’Università di Buffalo hanno identificato il sito di legame della ketamina a basso dosaggio, fornendo informazioni fondamentali su come il farmaco, spesso descritto come un farmaco miracoloso, allevia i sintomi della depressione maggiore in appena poche ore con effetti che durano diversi giorni. Pubblicata a settembre su Molecular Psychiatry, la scoperta aiuterà anche gli scienziati a identificare come la depressione ha origine nel cervello e stimolerà la ricerca sull’uso della ketamina e dei farmaci simili alla ketamina per altri disturbi cerebrali. La ketamina si lega a una classe di recettori dei neurotrasmettitori chiamati recettori N-metil-D-aspartato (NMDA). Popescu è un esperto di come questi recettori producano segnali elettrici essenziali per la cognitività, l’apprendimento e la memoria e di come questi segnali, quando disregolati, determinino sintomi psichiatrici. Ma a concentrazioni molto basse la molecola può influenzare l’attività solo di popolazioni selezionate di recettori NMDA.
I recettori NMDA sono presenti in tutto il cervello e sono essenziali per mantenere la coscienza. Per questo motivo, spiega, i farmaci che agiscono indiscriminatamente su tutti i recettori NMDA hanno effetti collaterali psichiatrici inaccettabili. I ricercatori ritengono che la selettività che abbiamo scoperto nella loro ricerca spieghi come la ketamina a basso dosaggio possa curare la depressione maggiore e prevenire i suicidi nelle persone con depressione. La ricerca è stata innescata da un’osservazione nel suo laboratorio da parte della coautrice Sheila Gupta, che ha notato che quando applicata sui recettori NMDA che erano cronicamente attivi, la ketamina aveva un effetto inibitorio più forte di quanto previsto in base alla letteratura. Pertanto, il team si è incuriosito di questa discrepanza. Quando gli effetti antidepressivi della ketamina sono stati scoperti per la prima volta, i ricercatori hanno cercato di scoprire come funzionava applicandola sulle correnti sinaptiche prodotte dai recettori NMDA, ma il farmaco ha prodotto poco o nessun effetto.
Il dott. Popescu ha spiegato in modo approfondito le osservazioni e le ipotesi sottostanti: “Questa osservazione ha spinto molti esperti a rivolgere la loro attenzione ai recettori situati all’esterno delle sinapsi, che potrebbero mediare gli effetti antidepressivi della ketamina. L’osservazione secondo cui la ketamina è un inibitore più forte dei recettori che sono attivi per periodi più lunghi, ci ha ispirato a cercare meccanismi diversi dal blocco della corrente continua, che si presumeva fosse l’unico effetto della ketamina sui recettori NMDA. Poiché monitoriamo l’attività di una singola molecola recettoriale per un lungo periodo di tempo, possiamo tracciare l’intero repertorio comportamentale di ciascun recettore e possiamo identificare quale parte del processo viene alterata quando il recettore si lega a un farmaco o quando ospita una mutazione. Il meccanismo che abbiamo scoperto suggerisce che a basse dosi, la ketamina influenzerà solo la corrente trasportata dai recettori che erano stati attivi in background per un po’, ma non dai recettori sinaptici, che sperimentano solo attivazioni brevi e intermittenti”.
“Ciò si traduce in un aumento immediato della trasmissione eccitatoria, che a sua volta solleva i sintomi depressivi. Inoltre, l’aumento dell’eccitazione avvia la formazione di sinapsi nuove o più forti, che servono a mantenere livelli eccitatori più elevati anche dopo che la ketamina è stata eliminata dal corpo, spiegando così il sollievo a lungo termine osservato nei pazienti. La nostra ricerca aiuta a spiegare perché dosi così basse di ketamina sono efficaci: i nostri risultati mostrano che livelli molto bassi di ketamina, su scala nanometrica, sono sufficienti a riempire due solchi laterali dei recettori NMDA per rallentare selettivamente i recettori extrasinaptici, alleviando la depressione. L’aumento della dose fa sì che la ketamina trabocchi dai solchi nel poro e inizi a bloccare le correnti sinaptiche, dando inizio all’effetto anestetico. Queste interazioni sono forti e spiegano l’elevata affinità del recettore per basse dosi di ketamina. Le simulazioni mostrano che ad alte concentrazioni (come anestetico), la ketamina si deposita invece nel poro centrale conduttore di ioni, dove impedisce alla corrente ionica di fluire attraverso il recettore”.
Al contrario, a basse concentrazioni, la ketamina funziona in modo molto diverso, legandosi a due siti simmetrici sui lati del poro, in modo tale che invece di fermare la corrente, la ketamina rallenta l’apertura dei recettori, riducendo la corrente solo di poco. Poiché gli esperti del team hanno trovato l’esatto sito di legame sul recettore (i residui aminoacidi critici responsabili dell’effetto), questo offre il modello perfetto per sviluppare farmaci simili alla ketamina che potrebbero essere somministrati per via orale e potrebbero non avere il potenziale di dipendenza della ketamina. Il passo successivo naturale è quello di esaminare i farmaci esistenti che possono adattarsi alle scanalature laterali dei recettori NMDA, prima tramite simulazione computerizzata e poi sperimentalmente.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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