Introduzione
Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, l’insufficienza cardiaca colpisce circa 7 milioni di adulti negli Stati Uniti ed è responsabile del 14% dei decessi all’anno. Non esiste una cura per l’insufficienza cardiaca, sebbene i farmaci possano rallentarne la progressione. Un team di ricerca co-diretto da un medico-scienziato presso il Sarver Heart Center dell’Università dell’Arizona College of Medicine di Tucson ha scoperto che un sottoinsieme di pazienti con cuore artificiale può rigenerare il muscolo cardiaco, il che potrebbe aprire la porta a nuovi modi per trattare e forse un giorno curare o scompenso cardiaco cronico. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Circulation. Nel 2011, il professor Sadek e i suoi hanno pubblicato un articolo su Science che mostrava che mentre le cellule del muscolo cardiaco si dividono attivamente nell’utero, smettono di dividersi poco dopo la nascita per dedicare la loro energia a pompare sangue attraverso il corpo senza sosta, senza tempo per pause.
Nel 2014, ha pubblicato prove della divisione cellulare in pazienti con cuori artificiali, suggerendo che le loro cellule del muscolo cardiaco potrebbero essersi rigenerate. Questi risultati, uniti alle osservazioni di altri team di ricerca secondo cui una minoranza di pazienti con cuore artificiale potrebbe vedersi rimuovere i dispositivi dopo aver sperimentato un’inversione dei sintomi, lo hanno portato a chiedersi se il cuore artificiale fornisca ai muscoli cardiaci l’equivalente del riposo a letto in una persona che si sta riprendendo da un infortunio calcistico. L’unico trattamento per l’insufficienza cardiaca avanzata, oltre al trapianto, è la sostituzione della pompa attraverso un cuore artificiale, chiamato dispositivo di assistenza ventricolare sinistra (LVAD), che può aiutare il cuore a pompare il sangue. Gli investigatori hanno scoperto che i pazienti con cuori artificiali rigeneravano le cellule muscolari a una velocità più di sei volte superiore a quella dei cuori sani.
Questa è la prova più forte che abbiamo, finora, che le cellule del muscolo cardiaco umano possono effettivamente rigenerarsi, il che è davvero entusiasmante, perché consolida l’idea che esista una capacità intrinseca del cuore umano di rigenerarsi. Supporta anche fortemente l’ipotesi che l’incapacità del muscolo cardiaco di “riposare” sia una delle principali cause della perdita della capacità del cuore di rigenerarsi subito dopo la nascita. Successivamente, il professor Sadek vuole capire perché solo circa il 25% dei pazienti sono “responder” ai cuori artificiali, il che significa che il loro muscolo cardiaco si rigenera. Pertanto gli scienziati pensano che potrebbe essere possibile prendere di mira i percorsi molecolari coinvolti nella divisione cellulare per migliorare la capacità del cuore di rigenerarsi. Ma quali sono questi percorsi cellulari di trasduzione del segnale e di espressione genica che possono essere controllati? Cominciamo con un po’ di storia.
Il dogma della differenziazione cellulare terminale
Secondo il dogma cellulare indagato dal patologo ed ematologo italiano Giulio Bizzozero nell’800, i miociti ventricolari sono cellule differenziate terminalmente e la loro durata di vita corrisponde a quella di un individuo o di un animale. Nel caso degli esseri umani, il numero di miociti raggiunge un valore adulto pochi mesi dopo la nascita, e si ritiene che gli stessi miociti si contraggano 70 volte al minuto per tutta la vita. Poiché una certa frazione della popolazione raggiunge i 100 anni di età o più, una conseguenza inevitabile del dogma è che i miociti cardiaci potrebbero essere immortali, funzionalmente e strutturalmente. Tale ipotesi contraddice il concetto di invecchiamento cellulare e morte cellulare programmata, e la logica di un lento turnover delle cellule con la progressione della vita nel cuore dei mammiferi. Quest’ultima potrebbe essere una possibilità molto probabile, perché è stato stimato che il cuore maschile perde 64 × 106 miociti all’anno dai 17 agli 89 anni, indicando che la morte cellulare avviene con l’età, in assenza di patologia cardiaca.
Inoltre, i miociti ventricolari umani possono rientrare nel ciclo cellulare e sintetizzare il DNA nonostante la mancanza di qualsiasi carico fisiologico. Queste osservazioni, insieme alla documentazione che 14 miociti per milione sono in mitosi in condizioni normali, indicano l’invecchiamento dei miociti e un continuo rinnovamento delle cellule nel cuore. Nei primi anni ’20, gli studi anatomici sottolinearono le difficoltà di rilevare figure mitotiche nei miociti e, su questa base, introdussero il concetto che la proliferazione delle cellule muscolari è assente nel miocardio adulto, completamente differenziato, dei mammiferi. Inoltre, i risultati sperimentali dell’ipertrofia cardiaca acuta nei roditori dimostrarono l’incapacità dei miociti di rientrare nel ciclo cellulare, sintetizzare il DNA e subire una divisione mitotica. Queste osservazioni furono responsabili della creazione del dogma secondo cui, subito dopo la nascita, i miociti ventricolari si ritirano definitivamente dal ciclo cellulare e sono destinati a morire senza ulteriore replicazione.
Tale affermazione fu contestata dai risultati morfometrici di Linzbach a metà degli anni ’50, che suggerivano che l’iperplasia cellulare dei miociti si verifica con l’insufficienza cardiaca negli esseri umani. Dati ottenuti negli anni ‘90 hanno supportato l’ipotesi di Linzbach e confermato che il numero di miociti ventricolari quasi raddoppia nel cuore umano scompensato. Le indagini quantitative non sono riuscite a documentare la mitosi nei miociti, favorendo le critiche sull’applicazione dei principi stereologici all’analisi dei cambiamenti nel numero di cellule del cuore. La mancanza di mitosi ha spinto a complesse spiegazioni per il meccanismo di proliferazione cellulare, che coinvolge la divisione longitudinale dei miociti in prossimità di nuclei non in divisione. Questo fenomeno si tradurrebbe in una diminuzione del numero di nuclei per cellula. Tuttavia, la proporzione di miociti mononucleati e binucleati non cambia nel cuore umano.
Se le cellule non sono differenziate in modo terminale sono in uno stato G0 e, alla stimolazione, rientrano in ciclo subendo cariocinesi (movimento nucleare) e citochinesi (del citoplasma). È solo attraverso questo processo che può verificarsi un aumento del numero di miociti e la rigenerazione miocardica. Le osservazioni precedenti e i dati attuali sono coerenti con questa possibilità, perché cariocinesi e citochinesi sono state dimostrate nei miociti di cuori in insufficienza. Uno studio pubblicato da Beltrami et al. (2001) indica anche che i cardiomiociti possono dividersi dopo un infarto cardiaco. Una questione rilevante è l’origine dei miociti ciclici nei cuori normali e malati. Queste cellule proliferanti potrebbero derivare da cardiomiociti residenti o da cellule staminali circolanti che raggiungono il miocardio risparmiato dopo l’infarto. Tuttavia, senza stimolazione con fattori di crescita, il numero di queste cellule staminali circolanti è molto basso ed esse si spostano nell’area della lesione senza infiltrarsi nel tessuto vitale.
Di recente, è stato dimostrato che le cellule staminali derivate dal midollo osseo, iniettate nel bordo di un infarto miocardico, si sono spostate nella zona infartuata e non si sono spostate nella porzione non interessata rimanente della parete ventricolare. Lesioni e un gran numero di cellule staminali sembrano essere necessari per la migrazione, la moltiplicazione e la differenziazione di queste cellule nelle linee cellulari del cuore danneggiato o di altri organi. Sebbene non sia ancora stata identificata una cellula staminale cardiaca, tali cellule primitive indifferenziate potrebbero essere presenti e i miociti in divisione potrebbero essere la loro progenie. Questo fenomeno si verifica nel cervello. Come nel cervello danneggiato, la riparazione del miocardio necrotico può comportare interventi che promuovono la migrazione di cellule staminali endogene, esogene o di entrambi i tipi nella regione infartuata. Se questo approccio terapeutico sia superiore al trapianto di mioblasti o di cardiomiociti fetali resta una questione importante.
Segnali intracellulari e rigenerazione cardiaca
Contrariamente ai cardiomiociti adulti, i cardiomiociti dei mammiferi proliferano durante lo sviluppo fetale. Poco dopo la nascita, questi cardiomiociti sottoregolano i fattori che perpetuano il ciclo cellulare come la ciclina A e la cdk2. La perdita di capacità di proliferazione coincide con livelli aumentati degli inibitori del ciclo cellulare p21 e p27. A questo punto dello sviluppo, la crescita cardiaca postnatale è mediata dall’ipertrofia dei cardiomiociti. In generale, esiste una relazione inversa tra proliferazione e differenziazione e le molecole che promuovono la differenziazione possono anche reprimere il rientro nel ciclo cellulare. È stato dimostrato che la molecola di segnalazione p38 mitogen-activated protein (MAP) kinase (p38) induce l’uscita dal ciclo cellulare e la differenziazione di molti tipi di cellule, inclusa la differenziazione delle cellule P19 in cardiomiociti. La p38 attivata fosforila le molecole di segnalazione a valle importanti per la differenziazione e l’ipertrofia dei cardiomiociti. Sono state identificate quattro diverse isoforme di p38. L’isoforma principale espressa nel cuore è p38α, mentre p38β e p38γ sono espresse a bassi livelli e p38δ non è presente.
In precedenza, non si sapeva se gli effetti di p38 sulla differenziazione e sulla proliferazione fossero reversibili. Nella loro indagine, Engel et al. (2005) hanno concluso che i cardiomiociti ventricolari dei mammiferi adulti possono dividersi. Un importante meccanismo utilizzato dai cardiomiociti dei mammiferi per controllare la proliferazione è l’attività della MAP-chinasi p38. Diverse linee di evidenza supportano queste conclusioni. In primo luogo, p38 regola l’espressione dei geni necessari per la mitosi nei cardiomiociti. In secondo luogo, l’attività di p38 è inversamente correlata alla crescita cardiaca durante lo sviluppo e la sua sovraespressione blocca la proliferazione dei cardiomiociti fetali. In terzo luogo, l’attivazione stabile di p38 in vivo da parte di MKK3bE riduce l’incorporazione di basi del DNA nei cardiomiociti fetali. In quarto luogo, il knockout di p38α ha aumentato le mitosi dei cardiomiociti nei topi neonati e l’inibizione di p38 nelle colture di cardiomiociti adulti promuove la citochinesi.
Infine, la mitosi è associata alla dedifferenziazione transitoria dell’apparato contrattile. Pertanto, questi dati indicano che p38 è un regolatore negativo chiave della proliferazione dei cardiomiociti e che le cellule post-mitotiche possono dividersi. Effettivamente, l’attivazione di p38 in tutti i modelli di scompenso cardiaco indotto in laboratorio è un fenomeno ostante: è responsabile dell’ipertrofia delle cellule miocardiche e, a lungo andare anche della loro morte programmata (apoptosi). Nei fibroblasti cardiaci, in parallelo, invece promuove la loro replicazione e progressiva sostituzione delle cellule cardiache funzionali, portando a fibrosi e quindi rigidità contrattile non utile per le funzioni cardiocircolatorie. Infatti, l’uso dei classici farmaci beta-bloccanti, (antagonisti dell’adrenalina) che alleggeriscono il carico cardiaco si associa a minore attivazione della via recettore beta2-p38 che induce ipertrofia cardiaca. Non è chiaro come l’inibizione di p38 consenta la proliferazione dei cardiomiociti.
Studi precedenti hanno dimostrato che l’attivazione di p38 inibisce la fase S, la fase M e la citochinesi in molte cellule modulando le proteine del ciclo cellulare come c-Myc, p21, ciclina D, ciclina B, cdc25B e cdc2. La proteina chinasi p38 è necessaria per la differenziazione di diversi tipi di cellule, compresi i mioblasti scheletrici e gli epatociti, promuove la stabilizzazione e la traduzione migliorata degli mRNA, aumenta la stabilità delle proteine mediante fosforilazione ed è coinvolta nel rimodellamento della cromatina. Engel et al. hanno anche trovato che assieme all’inibizione della p38 funziona in maniera eccellente l’esposizione dei cardiomiociti al fattore di crescita 1 dei fibroblasti (FGF1). Nelle loro osservazioni, gli scienziati pensano che FGF1 ha sovraregolato i geni cardiaci fetali, inducendo la dedifferenziazione, ma questo processo era indipendente da p38. Al contrario, l’inibizione di p38 ha promosso la sintesi del DNA indotta da FGF1 (fase S).
L’attivazione di p38 da parte di FGF1 non avviene in tutti i tipi cellulari conosciuti, è contesto dipendente e può servire all’induzione del differenziamento cellulare promosso da questo fattore di crescita. FGF1 ha probabilmente soppresso i geni coinvolti nell’apoptosi e questo effetto è stato potenziato dall’inibizione di p38. Insieme ciò ha provocato drasticamente l’espressione del regolatore della citochinesi Ect2, della proteina ciclo-dipendente CRP1, del fattore di trascrizione SHARP1, del mediatore IRX4 della differenziazione dei cardiomiociti e la fosforilazione della proteina retinoblastoma (Rb), che è un controllore centrale del ciclo cellulare. Tuttavia, la via di p38 non è l’unica che potrebbe essere coinvolta nel controllo della rigenerazione dei cardiomiociti. Anche la via PI-3chinasi/c-Akt potrebbe dare il suo contributo. Engel et al hanno visto che l’inibizione farmacologica di p38 induce l’espressione di Seta/Ruk, una proteina adattatrice che lega e inibisce la PI-3 chinasi. L’inibitore farmacologico LY294002 della PI3K ha abolito la sintesi del DNA indotta da FGF1, suggerendo che questo processo potrebbe richiedere l’attività della PI3K. Pertanto, l’inibizione di p38 potrebbe agire sinergicamente con i fattori di crescita mediante la down-regulation degli antagonisti della PI3K.
Rigenerazione cardiaca: dalla storia alla pratica
Il lavoro di Engel et al. (2005), è stato replicato con pubblicazione di un’altra indagine che ha provato come la contemporanea somministrazione a topi infartuati di FGF1 + un inibitore di p38 (es. SB203580) induceva la proliferazione dei cardiomiociti. A 3 mesi dalla lesione, 4 settimane di terapia con inibitore della chinasi p38 + FGF1 determinano una riduzione delle cicatrici e dell’assottigliamento delle pareti, con una funzionalità cardiaca notevolmente migliorata. Al contrario, la sola inibizione della chinasi p38 non riesce a salvare la funzionalità cardiaca, nonostante l’aumento della mitosi dei cardiomiociti. L’FGF1 migliora anche l’angiogenesi, contribuendo probabilmente alla sopravvivenza dei cardiomiociti di nuova produzione.
Un’altra strategia che è sotto indagine è quella di sfruttare l’amplificazione delle azioni molecolari della ciclina A2, una proteina del ciclo cellulare che controlla alcune chinasi ciclina-dipendente (Cdc2 e Cdk2). I complessi Cdk/ciclina A2 fosforilano le proteine retinoblastoma (Rb, p107, p130) e altre proteine coinvolte nella sintesi del DNA, guidando così la progressione della fase S. Chaudry et al. (2005) precedentemente avevano osservato che i topi transgenici che esprimono in modo costitutivo la ciclina A2 miocardica sviluppano mitosi e iperplasia dei cardiomiociti postnatali. Sembra esserci un aumento del 70% nel numero calcolato di cardiomiociti. Successivamente, hanno dimostrato che la somministrazione cardiaca di un vettore adenovirale che codifica la ciclina A2 guidata dal promotore del citomegalovirus a ratti con insufficienza cardiaca ischemica, avvia la proliferazione dei cardiomiociti come misurato dall’espressione di markers nucleari come Ki-67 e dall’assorbimento di bromo-deossiuridina, stimola la mitosi dei cardiomiociti come dimostrato dall’espressione del fosfo-istone H3 e aumenta la densità dei miofilamenti.
Tutti gli animali seguiti fino a sei mesi dopo l’induzione dell’infarto e la trasduzione virale con ciclina A2, sono stati sottoposti ad ecocardiografia periodica di controllo. Rispetto ad animali con infarto indotto ma lasciato senza trattamento, quelli trattati col vettore virale hanno mostrato un preservamento dello spessore della parte ventricolare infartuata, una minore sclerosi (deposizione di collagene) interstiziale, e positività cellulare dei nuclei con markers di replicazione come Ki-67 e PCNA. Uno studio similare è stato riprodotto da Shapiro et al (2014), che ha potuto confermare l’efficacia della trasduzione della ciclina A2 come mezzo per indurre la replicazione, ma anche la migrazione dei cardiomiociti di maiale vicino ad un’area ventricolare infartuata.
Un altro percorso cellulare che contribuisce alla stabilità cellulare cardiaca è quello dell‘oncosoppressore p53. Esso svolge un ruolo cruciale nella regolazione dello sviluppo cardiaco sia embrionale che postnatale. In condizioni fisiologiche, p53 è funzionalmente attivo nel mantenimento della struttura cardiaca e nella regolazione dell’espressione dei trascrittomi correlati al metabolismo, alla biogenesi mitocondriale, all’architettura cardiaca e all’accoppiamento eccitazione-contrazione. È stato dimostrato che l’eliminazione di p53 innescato l’ipertrofia cardiaca murina e ridotto la funzionalità cardiaca. Qi Xiao et al. hanno sviluppato un sistema di tracciamento per cardiomiociti p53+ nei topi, che copre varie fasi dello sviluppo, dal neonatale all’adulto. Utilizzando questo sistema, hanno osservato come queste cellule rispondevano alla crio-lesione miocardica e contribuivano alla rigenerazione cardiaca durante l’età postnatale. Al contrario, livelli elevati di p53 in condizioni cardiovascolari patologiche possono portare all’attivazione di vari meccanismi, tra cui alterazioni metaboliche, arresto del ciclo cellulare ed apoptosi.
È quello che succede durante l’ipertrofia spinta durante le fasi intermedie dello scompenso cardiaco, quando lo stress ossidativo, il carico pressorio e dipendente da adrenalina ed angiotensina causano stress ossidativo cellulare. Questo attiva la chinasi p38, che fra i suoi substrati può avere anche p53 ed il suo regolatore Mdm2. Tali dati sono stati confermati da Stanley-Hasnain et al. (2017), che hanno dimostrato che l’eliminazione simultanea sia di p53 che del suo inibitore Mdm2 nel cuore del topo adulto induce il rientro nel ciclo cellulare dei cardiomiociti, attraverso la downregulation degli inibitori p21 e p27 insieme all’attivazione di Cdk2 mediata dalla ciclina E. Questi risultati possono essere spiegati dalla capacità di p53 e Mdm2 di regolare il complesso G1-Ciclin-CDK, che è responsabile del mantenimento della quiescenza dei cardiomiociti dei mammiferi adulti.
Quindi lo stress ossidativo è una componente da eliminare nel caso della malattia cardiaca cronica, ma risulterebbe poco efficace dal punto di vista pratico senza modulare la presenza degli altri fattori stressogeni sul cuore. Aggiungere antiossidanti come taurina, glutatione e vitamina C potrebbe essere una buona strategia di complemento accanto alla terapia farmacologica corrente, sebbene non ci sia alcuna prova di un sinergismo delle due opzioni. Inoltre, bisogna considerare la complessità delle conoscenze sulla biologica rigenerativa cardiaca che si sono accumulate negli ultimi vent’anni. Questa comprende l’intervento dei fattori di crescita sia stimolatori che inibitori (FGF1, FGF2, FGF10, VEGF, IGF-1, TGF-beta, ecc.), di proteine secretorie (tipo la periostina o la neuregulina-1) e di fattori di trascrizione specifici (Id-1, FoxM1, TBX20, Ybx1, GATA4, Nxk 2.5, beta-catenina, ecc.). Infine, c’è l’ultimissimo intervento della via cellulare Hippo; essa svolge un ruolo centrale nel controllo di vari meccanismi di proliferazione, sopravvivenza e differenziazione di diverse popolazioni cellulari coinvolte nell’omeostasi e nella riparazione dei tessuti, incluso il tessuto cardiaco.
Il suo principale meccanismo d’azione coinvolge due fattori di trascrizione, YAP e TAZ, che sono i principali effettori a valle. Quando il pathway di Hippo è attivo, molteplici segnali a monte regolano la fosforilazione delle chinasi MST1/MST2, LATS1/LATS2 e fosforilano le proteine YAP/TAZ, che non si traslocano nel nucleo e non inducono la trascrizione delle proteine bersaglio. Quando il segnale Hippo è inattivo, YAP/TAZ non vengono fosforilati; si localizzano nel nucleo, formando un complesso che induce la trascrizione dei geni necessari per la proliferazione, la migrazione e la sopravvivenza cellulare. L’attività di YAP può promuovere la rigenerazione cardiaca attraverso molteplici meccanismi, come la regolazione diretta dei geni che codificano le proteine che controllano la dinamica del citoscheletro e la proliferazione cellulare, stimolando la segnalazione PI3K/Akt.
È stato dimostrato che durante l’infarto miocardico, il percorso cellulare Hippo viene disattivato, con conseguente attivazione specifica di YAP, che promuove la sopravvivenza e la proliferazione dei cardiomiociti. La capacità di YAP di mantenere la funzionalità dei cardiomiociti adulti e di indurre una rigenerazione efficace dopo un danno tissutale, dipende dalla sua interazione con il fattore di trascrizione omeodominio Pitx2. Queste informazioni confermano che il pathway Hippo è il principale soppressore della proliferazione cardiaca e della potenziale rigenerazione dopo infarto miocardico, suggerendo che YAP potrebbe essere un potenziale bersaglio terapeutico per innescare la rigenerazione cardiaca endogena. Inibitori della via Hippo sono disponibili per gli studi di laboratorio, come gli inibitori delle chinasi MST1/2 a monte di YAP/TAZ, quali XMU-MP1, IHMT-MST1-39, IHMT-MST1-58, o l’inibitore TRULI delle chinasi LATS1/2. L’ideale strategia terapeutica, dunque, dovrebbe comprendere un cocktail o farmacologico puro o misto, ovvero di tipo genico-molecolare che approcci al problema con la combinazione di una delle terapie adenovirali citate sopra, assieme a degli inibitori molecolari di proteine interferenti con la rigenerazione (es. la stessa p38, il TGF-beta, la p53 ed il percorso di Hippo).
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Derks W, Rode J et al. Circulation. 2024 Nov 21.
Wang H et al. Free Radic Biol Med. 2023; 208:846.
Nakada Y et al. Circulation. 2022; 145(23):1744-47.
Litviňuková M et al. Nature. 2020; 588:466–472.
Nakada Y et al. Circulation. 2019; 139(9):1237-39.
Mak TW et al. PNAS USA. 2017; 114:2331–2336.
Shapiro SD et al. Sci Transl Med. 2014; 6(224):224ra27.
Woo YJ et al. J Thorac Cardiovasc Surg. 2007; 133(4):927.
Engel FB et al. PNAS U S A. 2006; 103(42):15546.
Woo YJ, Panlilio CM et al. Circulation. 2006; 114:206.
Engel FB et al. Genes Dev, 2005; 19(10):1175-87.
Chaudhry HW et al. J Biol Chem. 2004; 279:35858.
Liang Q et al. J Mol Cell Cardiol. 2003; 35:1385-94.
Eriksson M, Leppa S. J Biol Chem. 2002; 277:15992.
Beltrami AP et al. New Engl J Med. 2001; 344(23):1750.
Setoguchi M et al. Lab Invest. 1999; 79(12):1545-58.
Kajstura J et al. PNAS U S A. 1998; 95(15):8801-05.
Beltrami CA et al. J Mol Cell Cardiol. 1997; 29:2789.
Beltrami CA et al. J Mol Cell Cardiol. 1995; 27:291.
Beltrami CA, Finato N et al. Circulation. 1994; 89:151.
Buja LM, Willerson JT. Hum Pathol. 1987; 18:451.
Linzbach A J. Amer J Cardiol. 1960; 5:370–382.
Karsner HT et al. Amer J Pathol. 1925; 1:351–371.