L’emergere globale del COVID-19 ha accresciuto le preoccupazioni sui suoi impatti sulla salute a lungo termine, collettivamente definiti COVID lungo. Gli studi hanno rivelato che la stanchezza è un sintomo comune tra i pazienti con COVID lungo, insieme a problemi cognitivi e malessere post-sforzo, sintomi che si allineano anche con una diagnosi di encefalomielite mialgica/sindrome della fatica cronica (ME/CFS). La CFS è una condizione debilitante che è spesso innescata da infezioni. La ricerca mostra che alcuni virus, tra cui Epstein-Barr e Ross River, possono portare alla ME/CFS, che è caratterizzata da stanchezza cronica, malessere post-sforzo, compromissione cognitiva e mancanza di sonno ristoratore. Nonostante questa sovrapposizione, i dati che quantificano l’incidenza di ME/CFS dopo il COVID-19 rimangono limitati. Questa lacuna nella conoscenza ostacola una comprensione e una gestione complete della ME/CFS nei pazienti post-COVID.
Inoltre, l’identificazione dei cluster di sintomi PASC evidenzia un ampio spettro di carico di sintomi, tra cui un cluster particolarmente grave associato a ME/CFS. L’indagine su queste associazioni è inoltre essenziale per orientare le strategie sanitarie, migliorare i criteri diagnostici e sviluppare interventi mirati a questa condizione complessa e multiforme. Uno studio recente pubblicato sul Journal of General Internal Medicine ha esplorato l’insorgenza di CFS in seguito a COVID-19. Utilizzando i dati dello studio RECOVER-Adult, un team di ricerca degli Stati Uniti ha valutato la prevalenza e l’incidenza di ME/CFS tra gli individui in via di guarigione da COVID-19, ha identificato i sintomi chiave e li ha confrontati con individui non infetti per comprendere meglio gli esiti sanitari post-COVID. I risultati hanno indicato che le infezioni da SARS-CoV-2 hanno aumentato significativamente il rischio di sviluppare ME/CFS.
Tra i partecipanti infetti, il 4,5% presentava sintomi che corrispondevano ai criteri diagnostici ME/CFS sei mesi dopo l’infezione, significativamente più alti dello 0,6% osservato nei controlli non infetti. Inoltre, il tasso di incidenza tra gli individui infettati acutamente ogni 100 anni-persona era di 2,66, che era anche significativamente più alto del tasso di 0,93 osservato tra i partecipanti non infetti. Il sintomo più comune negli individui infetti era il malessere post-sforzo, segnalato dal 24% dei partecipanti. Altri sintomi frequentemente segnalati includevano compromissione cognitiva, sonno non ristoratore e affaticamento, tutti in linea con i criteri diagnostici per ME/CFS. Inoltre, la prevalenza dei sintomi era notevolmente più alta nei partecipanti post-acuti rispetto ai casi acuti, evidenziando la natura progressiva dei sintomi post-infettivi.
L’ottantanove percento dei partecipanti diagnosticati con ME/CFS post-COVID-19 è stato anche classificato come affetto da COVID lungo, con la maggioranza assegnata al PASC Cluster 4, il sottogruppo più sintomatico. Questi risultati hanno sottolineato la necessità di un riconoscimento precoce dei sintomi di ME/CFS in seguito a infezioni da SARS-CoV-2, di criteri diagnostici migliorati e di strategie di cura complete per affrontare questa condizione debilitante. Anche se lo studio non ha indagato le possibili origini sottostanti, considerato che la CFS condivide con il COVID sia l’aspetto immunologico/autoimmune (sembrano esserci auto-anticorpi diretti contro i recettori dell’adrenalina) che di alterazione del microbiota intestinale, è possibile che l’infezione da coronavirus possa far leva su difetti di questi due sistemi in pazienti il cui terreno biologico è favorevole in tal senso.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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