Negli ultimi 20 anni, la mortalità dovuta all’inquinamento atmosferico ha continuato ad aumentare, con oltre 6,7 milioni di decessi segnalati solo nel 2019. Oltre alla tossicità respiratoria associata all’esposizione all’inquinamento atmosferico, diversi studi hanno confermato che alcuni inquinanti atmosferici inducono epatotossicità, aumentando così il rischio di steatosi epatica associata al metabolismo (MAFLD), fibrosi epatica avanzata e carcinoma epatocellulare. Il particolato fine di dimensioni inferiori a 2,5 micrometri (µm), altrimenti noto come particolato PM2,5, è un inquinante atmosferico tipicamente prodotto da fonti di combustione come veicoli e centrali elettriche. L’esposizione al PM2,5 può portare a stress ossidativo, attivazione dei macrofagi e rilascio di citochine infiammatorie, tutti implicati nel danno al DNA e nel danno epatico acuto.
La tossico-cinetica dose-dipendente del PM2,5 è stata esplorata in numerosi modelli animali, con stress, risposte immunitarie lievi e risposte infiammatorie gravi osservate rispettivamente a 1.6, 8 e 40 mg/kg. È importante sottolineare che queste dosi potrebbero non essere fisiologicamente rilevanti, in particolare nelle regioni più pesantemente inquinate. L’esposizione cronica a bassi livelli di inquinamento atmosferico aumenta anche il rischio di mortalità respiratoria e cardiovascolare. Uno studio recente pubblicato sul Journal of Environmental Sciences ha indagato la tossicità epatica di bassi livelli di esposizione a PM2,5 attraverso analisi proteomiche e lipidomiche. Topi maschi di cinque settimane sono stati esposti a PM2,5 provenienti dal traffico ogni giorno per un totale di quattro, otto o 12 settimane.
L’infiammazione e la fibrosi sono state valutate a 12 settimane, insieme alle misurazioni delle proteine epatiche e del profilo lipidico. Senza alcuna variazione del peso corporeo, il peso del fegato nei topi esposti è stato ridotto a quattro settimane, aumentato a otto settimane e infine è tornato ai livelli basali a 12 settimane. Queste osservazioni suggeriscono che l’esposizione all’inquinamento atmosferico può indurre lesioni epatiche acute, seguite da rigenerazione e accumulo di grasso. I topi esposti hanno mostrato segni di infiammazione epatica e cambiamenti pro-fibrotici precoci, come dimostrato dall’infiltrazione di cellule immunitarie primarie come i macrofagi che è stata accompagnata da una maggiore produzione di citochine infiammatorie, che ha portato a una maggiore deposizione di collagene attorno alle vene portali a 12 settimane.
A 4 ed 8 settimane, le transaminasi epatiche (AST ed ALT) sono aumentate per poi stabilizzarsi a 12 settimane. Anche l’espressione della fibronectina, che forma l’impalcatura per la deposizione di collagene, è aumentata a 12 settimane. I fegati dei topi esposti a PM2.5 sono diventati più attivi metabolicamente e, di conseguenza, hanno elaborato le molecole di grasso a una velocità maggiore. L’esposizione a PM2.5 ha portato anche a concentrazioni maggiori di trigliceridi e di diacilgliceroli. L’esposizione a PM2.5 induce stress ossidativo sistemico, che porta a una risposta infiammatoria classificata dal reclutamento di macrofagi che successivamente attraggono neutrofili attraverso il rilascio di chemochine e citochine.
In precedenza, è stato dimostrato che i neutrofili aumentano la sintesi di ceramidi, che possono attivare fattori di trascrizione pro-infiammatori come il fattore nucleare kappa B (NF-kB), contribuendo ulteriormente alla produzione di citochine infiammatorie e all’induzione dell’apoptosi. Anche nello studio attuale i livelli di ceramide sono aumentati. I livelli di ceramide-1-fosfato (C1-P), che sono stati il 76% di tutte le ceramidi rilevati dall’analisi lipodomica, sono aumentati di quasi 4 volte in seguito all’esposizione a PM2.5 rispetto ai controlli. Questo biolipide stimola i fibroblasti alla replicazione e potrebbero essere responsabili della comparsa postuma di fibrosi dell’organo dopo esposizione cronica. Sono anche stati osservati livelli significativamente alterati di 64 proteine nel fegato nei topi esposti a PM2.5.
Tra queste l’ubiquilina-1 (UBQL1) e la proteina transmembrana 214 (TM214), entrambe coinvolti nello stress del reticolo endoplasmatico e nella risposta al danno proteico (UPR). La riduzione più significativa nell’espressione proteica è stata osservata nella steroide-solfatasi e nella proteina beta 2 della giunzione comunicante (CXB2), il che suggerisce una risposta infiammatoria interrotta e una perdita di integrità della giunzione comunicante, indicando così scarse modifiche compensatorie nel fegato. Da questi dati sembra chiaro che l’esposizione al particolato urbano è dannosa anche per la salute del fegato, oltre che a quella polmonare e cardiovascolare. Possibilmente la componente aromatica complessa delle particelle possa innescare lo stress ossidativo cellulare, la risposta infiammatoria e i disturbi del metabolismo intermedio riflessi al danno biologico.
Abitare in città, dunque, mette più a rischio di sviluppare fegato grasso (steatosi) con meccanismi che potrebbero non del tutto essere dipendenti da un’alimentazione sbagliata.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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