Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è una condizione neuroevolutiva diffusa che colpisce il 2-5% della popolazione mondiale. Gli attuali farmaci per il disturbo da deficit di attenzione/iperattività sono efficaci ma presentano significativi effetti collaterali: dalla perdita di appetito, all’ipertensione, al mal di testa e ai disturbi del sonno, e comportano un rischio di abuso. L’amlodipina, che è già ampiamente utilizzata e ben tollerata, potrebbe offrire una nuova opzione di trattamento più sicura per l’ADHD. Circa il 25% dei pazienti non risponde bene a nessun farmaco attuale per l’ADHD, evidenziando l’urgente necessità di nuove opzioni di trattamento. Secondo uno studio internazionale che ha coinvolto l’Università del Surrey, il riutilizzo dell’amlodipina, un farmaco per la pressione sanguigna comunemente utilizzato, potrebbe aiutare a gestire i sintomi dell’ADHD.
In uno studio pubblicato su Neuropsychopharmacology, i ricercatori hanno testato cinque potenziali farmaci su ratti allevati per mostrare sintomi simili all’ADHD. Tra questi, solo l’amlodipina, un comune farmaco per la pressione sanguigna, ha ridotto significativamente l’iperattività. Utilizzando il modello mutante di pesce zebra adgrl3.1 dell’ADHD, hanno precedentemente identificato dei composti con il potenziale per essere riutilizzati per l’ADHD: aceclofenac, amlodipina, doxazosina e moxonidina. Per confermare i suoi effetti, il team ha testato l’amlodipina nel pesce zebra, un importante modello per lo studio della funzione cerebrale che condivide circa il 70% dei geni con gli esseri umani. I risultati hanno mostrato che l’amlodipina ha anche ridotto l’iperattività e l’impulsività in questi pesci. L’amlodipina inibisce i canali del calcio voltaggio-dipendenti di tipo L (CACNA1C e CACNB1), tipo T (CACNA1I) e tipo N (CACNA1B).
Oltre ai canali del calcio, l’amlodipina inibisce l’anidrasi carbonica 1 (CA1) e la fosfodiesterasi della sfingomielina (SMPD1), secondo Drugbank online. Ciò significa che, influenzando il metabolismo del calcio, il farmaco è in grado di regolare diversi aspetti del metabolismo neuronale (ad esempio glucosio, fosfolipidi, enzimi calcio-dipendenti, ecc.). I ricercatori si sono quindi rivolti ai dati genetici umani e hanno scoperto che, sorprendentemente, l’ADHD è collegato agli stessi canali del calcio nel cervello come bersagli dell’amlodipina. Ciò suggerisce un potenziale percorso cerebrale bersaglio per i trattamenti. Ulteriori analisi del pesce hanno rivelato che l’amlodipina attraversa per la prima volta la , il che significa che può influenzare direttamente la funzione cerebrale influenzando l’espressione di c-Fos.
Questo proto-oncogene è uno dei due componenti proteici nucleari del fattore di trascrizione generale AP-1. L’amlodipina potrebbe, inoltre, influenzare direttamente i sintomi dell’ADHD tramite il rilascio di neurotrasmettitori e l’eccitabilità neuronale. Gli ioni di calcio svolgono un ruolo nel rilascio di neurotrasmettitori come dopamina e noradrenalina. È noto che questi neurotrasmettitori sono coinvolti nella regolazione dell’attenzione, della concentrazione e del controllo degli impulsi, tutti fattori che sono interessati dall’ADHD. Infine, un’analisi dei dati dei pazienti nel Regno Unito ha mostrato che le persone che assumevano amlodipina hanno riportato meno sbalzi d’umore e meno comportamenti rischiosi, supportando ulteriormente il suo potenziale come nuovo trattamento per l’ADHD.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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