Conosci te stesso (Socrate).
Esiste unicamente la depressione così come si manifesta nella clinica, come viene riportata nei testi medici, tale da dire sempre “classica sintomatologia da manuale”? Sembra di no, secondo le varie ricerche che da circa venti anni sono effettuate da neurologi e psichiatri. Vi sono prove sufficienti, secondo molte pubblicazioni, da far rientrare la “sindrome delle gambe senza riposo” fra le forme di depressione non-maggiore. Originariamente definita da ricercatori americani, la restless legs syndrome (RLS) adesso chiamata sindrome di Willis-Ekbom, è un’affezione complessa che consiste di anomalie delle sensazioni, della motricità, dello stato di veglia e della psicologia del soggetto colpito. Nello specifico la malattia si caratterizza per l’irrefrenabile bisogno di muoversi, accompagnato tuttavia a malessere sensoriale. La sintomatologia peggiora durante la notte, trovando a volte sollievo solo con il movimento fisico. Come conseguenza il sonno diventa irregolare, con logiche ripercussioni sul lato mentale e fisico. Una caratteristica comportamentale di questa patologia è l’impulsività accompagnata, però, da difficoltà a prendere decisioni.
C’è chi considera la RLS un complesso disturbo del sonno, che si ripercuote sul lato sia corporeo che emotivo. Molto spesso, la depressione che può comparire viene considerata solo come conseguenza del permanere dei disturbi primari. Non secondo gli studi più recenti, per i quali vi è un parallelo deficit cerebrale di dopamina e di ferro. Le aree cerebrali attive nella RLS sono la corteccia cingolata, alcune regioni prefrontali, il talamo ed il cervelletto. Studi PET ed RMN hanno confermato la compromissione dei sistemi dipendenti da dopamina, oppioidi, glutammato e serotonina. La carenza di ferro è stata infine provata a livello di regioni cerebrali come putamen, sostanza nera, nucleo caudato e talamo. Questo fa capire la complessità del problema, poiché si tratta di sistemi neurochimici che controllano l’appetito, la memoria, il comportamento, la percezione del dolore e alcune funzioni cognitive superiori.
Se si vuole discutere di qualcosa di più comune della RLS, basta fare riferimento al mal di schiena cronico. Ci sono schiere di persone che accusando dei dolori continui riferiti come “peso che si trascina”, dopo una batteria di accertamenti svariati finiscono per ricevere prescrizioni di farmaci antidepressivi, dal proprio medico di condotta o da uno specialista neurologo. Molto spesso si tratta di agonisti della dopamina (bupropione) o inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), anche se le evidenze sperimentali attuali puntano il dito ad un deficit di dopamina nel nucleo striato del cervello. Cosa ne sia la causa non è stato ancora determinato, a fronte di un 20% di italiani che ne è affetto. Alcuni Autori lo vedono come un dolore psicogeno alla colonna vertebrale bassa, la base di ciò che tiene in piedi ogni individuo. Quindi, il disturbo tenderebbe a manifestarsi in tutti quei soggetti che, sottoposti a stress quotidiani, vedrebbero nel loro sostentamento il punto debole sotto costante minaccia. Questa ipotesi è correntemente al vaglio da diversi gruppi che si occupano di Medicina Integrata e di Diagnostica di Medicina Orientale.
In queste discipline, ogni organo è depositario o controlla alcuni sentimenti, grazie al sistema nervoso autonomo che dialoga con quello centrale. Secondo i principi fondamentali, il colon è sede di controllo di sentimenti positivi quali pietà, autostima e realizzazione; e di alcuni negativi come rimpianto, disperazione ed apatia. Essendo il mal di schiena cronico localizzato proprio sulla regione occupata internamente dal colon trasverso, diversi studiosi hanno ipotizzato che uno stato di colite cronica (da nervosismo quindi psicosomatica, da alimentazione sbagliata, ecc.) possa fungere da causa sia scatenante che di mantenimento. Non vi sono febbre o segni ematochimici alterati in caso di colite cronica di origine emotiva, il che potrebbe avvalorare la tesi di uno stato di indebolimento del colon fino alle sue radici nervose autonome (ortosimpatico e parasimpatico), come espressione di un dolore psicologico che si riflette in questa regione del corpo.
Un’altra entità nosologica che pare rientrare fra le manifestazioni depressive mascherate è la fibromialgia. Consiste in una dolorabilità diffusa di tipo muscolo-scheletrico, che prende i connotati di una vera a propria sindrome fibromialgica, a causa di una batteria di segni e sintomi clinici associati. Nonostante la dolorabilità e l’affaticamento facciano sospettare la presenza di infiammazione articolare o diffusa, non vi è assoluta evidenza di flogosi in questa patologia. Sebbene possa assomigliare ad una affezione articolare non si tratta di artrite, nè causa deformità delle strutture colpite. Quello che invece è evidente a livello del sistema nervoso sono le turbe dell’umore e del pensiero, con difficoltà di concentrazione, stato depressivo maldefinito, lentezza del pensiero. A livello fisico, chi ne è colpito riferisce parestesie, fitte localizzate o diffuse, bruciori, stanchezza muscolare, senso di gonfiore alle mani e rigidità al collo e alle spalle, specie al risveglio. Per quest’ultima ragione, c’è chi considera la fibromialgia un semplice disturbo del sonno che si manifesta con turbe fisiche e comportamentali o sensoriali. Un’osservazione troppo semplicistica, se si tiene conto che tra l’1,5 ed il 2% della popolazione italiana ne è affetto, con un 5% se ci si sposta nel continente americano.
Se si considera, invece, che in base agli studi PET esiste un disturbo dei recettori D2 e D3 della dopamina connessi alla soglia del dolore, si intuisce che esiste una sofferenza cerebrale mascherata. Sebbene non è stato confermato un diretto legame fra fibromialgia e sistema oppioide cerebrale, alcuni agonisti del cannabinolo (nabilone) influiscono positivamente sulla clinica della patologia, per circa un 10%. I risultati migliori (circa 30%) si hanno invece se i pazienti ricevono un trattamento con SSRI come il minalcipram, agonisti della dopamina o farmaci che agiscono sul sistema GABAergico. Da questi risultati, i ricercatori sono più propensi ad affermare che la fibromialgia è un complesso disturbo di ordine depressivo, che nasconde un alterato dialogo fra percezione del dolore e la rispettiva componente cognitiva. Essendo fatica, svenimento, cefalea (un altro sintomo presente in almeno il 50% dei pazienti) tutte forme di fuga, gruppi di psichiatri hanno formulato l’ipotesi che chi soffre di fibromialgia è un soggetto che non desidera trarre insegnamento dagli eventi dolorosi della vita.
Per ultima si considera un entità che nessuno sospetterebbe correlata alla depressione: l’osteoporosi. Considerata una classica patologia femminile del post-menopausa, la sua eziologia è stata da sempre ricercata nella progressiva perdita dello stimolo estrogenico sul trofismo osseo femminile. A causa della riduzione dell’azione ormonale degli estrogeni dopo l’ingresso in menopausa, il dialogo fra questi ormoni e la vitamina D verrebbe ad alterarsi. Siccome la vitamina D è responsabile del corretto assorbimento del calcio introdotto con la dieta, l’osso diventerebbe incapace di reintegrare il calcio che normalmente viene rimosso dal turnover fisiologico. Ma perché allora, nonostante le terapie sostitutive con sali di calcio, estrogeni veri o naturali (es. estratti di soia), supplementi di vitamina D ed inibitori degli osteoclasti, l’osteoporosi non riesce ad essere fronteggiata adeguatamente? Anzi, in accezione peggiorativa, bisogna continuare la terapia farmacologica a vita?
Quando la donna approccia la fine delle sue potenzialità riproduttive, può andare incontro ad una menomazione psicologica della sua sessualità, specie se vissuta in gioventù in modo equilibrato o coinvolgente. Cessare le funzioni legate all’apparato riproduttivo, spesso viene tradotto come cessazione delle funzioni sessuali ad esso connesse, il che non corrisponde a verità. I fatti dichiarano, però, che la dopamina è l’ormone principale che regola la sessualità, l’appetito, l’intraprendenza e l’aggressività. A livello cerebrale, essa dialoga attivamente con gli estrogeni, coordinando i comportamenti di relazione e l’emotività a più livelli. A livello periferico, i suoi recettori sono presenti praticamente in tutti i tessuti, fino alle ossa. E la densità dei suoi recettori è notevolmente più bassa nelle ossa delle donne affette da osteoporosi, come provato ormai da autorevoli pubblicazioni scientifiche.
Sembra, perciò, che in dipendenza dalla personalità di ognuno di noi, dalle situazioni quotidiane che si affrontano, dalle esperienze che impariamo e da come le recepiamo, il nostro cervello reagisca negativamente mostrando i lati deboli della nostra personalità. Non che questo sia una vergogna, ma per affrontare gli attacchi esterni e resistere alla loro influenza, la conoscenza di sé stessi è tutto quello che serve.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci – Medico specialista in Biochimica Clinica; e del Dr. Fabio Garrone – Medico specialista in Endocrinologia.
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