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Il problema del rumore sul lavoro: cosa causa, come si evolve e cosa comporta sul lavoratore a danno fatto

Il rumore è definito come una sensazione sgradevole rappresentata da un miscuglio di suoni aventi caratteristiche fisiche diverse, a differenza del suono musicale che è composto da toni puri. Le tipologie di rumore sono essenzialmente tre: a) continuo, se rimane praticamente costante nel tempo (es. compressore); b) variabile se cambia molto, in relazione alle discontinuità della lavorazione quando la sua intensità varia nel tempo (es. macchine a moto alternativo); c) impulsivo se è formato da piccoli picchi di elevata intensità: questo rumore è particolarmente pericoloso. Un esempio di quest’ultimo sono aeroporti al momento del decollo. In termini di effetti uditivi il rumore agisce sull’orecchio essenzialmente tramite l’energia acustica. L’esposizione a rumori di elevata intensità e per lungo periodo di tempo provoca una serie di alterazioni a carico delle strutture neuro-sensoriali dell’orecchio interno.

L’organo del Corti, nella coclea, è la sede principale in cui si realizzano i danni. Esso contiene due tipi di cellule ciliate: quelle interne e quelle esterne. Le cellule interne (IHC) sono i veri e propri recettori acustici, mentre le cellule esterne (OHC) agiscono come cellule motrici aumentando la sensibilità e la discriminazione del sistema acustico. La maggior parte dei danni acustici determinati dall’esposizione al rumore è causata da un cattivo funzionamento di tali meccanismi. L’ipoacusia, cioè la diminuzione fino alla perdita della capacità uditiva, è il danno da rumore meglio conosciuto e piùstudiato; tuttavia il rumore agisce con meccanismo complesso anche su altri organi ed apparati (apparato cardiovascolare, endocrino, sistema nervoso centrale ed altri) mediante attivazione o inibizione di sistemi neuro-regolatori centrali o periferici.

In Italia l’ipoacusia da rumore è la seconda patologia professionale più frequentemente denunciata. Dai dati INAIL la malattia professionale “Ipoacusia e sordità da rumori” rappresenta circa il 40% dei casi di tutte le malattie professionali denunciate nel ramo industria, servizi e agricoltura. Il rumore determina, inoltre, un effetto di mascheramento che disturba le comunicazioni verbali e la percezione di segnali acustici di sicurezza (con un aumento di probabilità degli infortuni sul lavoro), favorisce l’insorgenza della fatica mentale provocando turbe dell’apprendimento a vari livelli, diminuisce l’efficienza del rendimento lavorativo ed interferisce sul sonno e sul riposo. L’esposizione a rumore determina un danno a livello della sinapsi fra recettore e via nervosa afferente a livello delle IHC ed un danno diretto alle OHC.

Al pari di certi farmaci ototossici, es. antibiotici aminoglicosidici, cisplatino e alcuni metalli pesanti, anche le lesioni cellulari da rumore comportano la comparsa di stress ossidativo. Negli animali da esperimento, parte delle lesioni da rumori viene prevenuta dalla previa somministrazione di glutatione (GSH), suoi precursori (NAC) o molecole simili. Il danno alla sinapsi della via afferente può essere reversibile mentre, se nelle OHC si instaura la morte cellulare, il danno diviene irreversibile. Inoltre, a livello delle sinapsi fra IHC e via afferente, i meccanismi riparativi non possono instaurarsi se l’esposizione a rumore è continuativa. Anche esposizioni di carattere impulsivo prolungate nel tempo possono comportare danni irreversibili. Tali lesioni irreversibili, si manifestano con un innalzamento permanente della soglia uditiva.

Il danno da rumore si manifesta tipicamente come ipoacusia percettiva bilaterale. Il rumore ad intensità più elevata (non inferiore a 120-130 dB secondo alcuni Autori) determina effetti anche sulla porzione vestibolare con vertigini, nausea, disturbi dell’equilibrio di solito reversibili dopo la cessazione dello stimolo sonoro. La patologia più frequente generata da una esposizione continuata al rumore è l’ipoacusia cronica. Essa si genera normalmente per esposizione superiore agli 80 dB con una perdita progressiva ed irreversibile delle capaità udutuve. Ovviamente la gravità del danno dipende da vari fattori: intensità del rumore, tipo di rumore e caratteristiche soggettive. Questa patologia è dovuta a una diminuzione dei processi ciliati delle cellule acustiche dell’organo del Corti.

Questo fenomeno produce un innalzamento della soglia uditiva, causando un danno da rumore che è un danno percettivo, bilaterale e simmetrico. Inlinea generale, il peggioramento della soglia uditiva non è lineare ma progredisce più rapidamente durante i primi 10 anni di esposizione, rallenta tra i 10 e i 30 anni, per subire poi un’ulteriore impennata per il sovrapporsi della presbiacusia. Dopo alcuni giorni dall’inizio di un lavoro rumoroso, soprattutto alla fine della giornata lavorativa, possono comparire fischi o ronzii alle orecchie con sensazione di orecchio pieno, lieve cefalea, senso di intontimento. Successivamente questi sintomi tendono a scomparire tanto che il lavoratore esposto ha l’impressione di essersi abituato. Esaurita la resistenza dell’apparato uditivo, si assiste ad un progressivo peggioramento della soglia uditiva per i suoni con frequenze alte; il lavoratore non sente più il ticchettio dell’orologio e lo squillo del telefono.

Successivamente il lavoratore prova difficoltà a udire la voce dei familiari e dei colleghi di lavoro e chiede loro di parlare a voce più alta, ha bisogno di alzare il volume della radio e della televisione per comprendere bene le parole (deficit per i suoni con frequenze più basse). Il deficit uditivo fino a questo punto è da considerarsi irreversibile e nella maggioranza dei casi non evolutivo, una volta cessata l’esposizione a rumore. Si comprende, dunque, come il pericolo per la salute sul lavoro non deriva solamente da sostanze chimiche pericolose come negli impianti petrolchimici, o da radiazioni francamente ionizzanti come quelle prodotte da centrali nucleari. Anche l’udibile sebbene “impalpabile” rumore è fonte di pericoli e problemi di salute nel tempo. Ecco perché, riconosciuto il problema dell’inquinamento acustico sul lavoro, ai lavoratori viene imposto l’utilizzo di dispositive di protezione individuale (DPI) adatti.

L’ipoacusia è fonte di disagio e frustrazione, specie fra gli adulti che non sono ancora francamente anziani (55-65 anni). La ridotta capacità di comprendere i discorsi può condurre i soggetti colpiti ad adottare comportamenti evasivi. Sono esempi coloro che, realizzato il loro problema, cominciano ad isolarsi sempre di più in casa, riducendo la frequenza delle loro regolari relazioni sociali quotidiane. Dapprima possono ridurre la frequenza dei luoghi pubblici e di svago occasionale, per poi compromettere anche quella abituale come andare al bar o luoghi di ritrovo, rifiutare progressivamente sempre più inviti o proposte della loro comitiva di amici e via discorrendo. Questo può non essere valido per tutti, ma sicuramente nei più crea molto disagio, frustrazione o sensi di impotenza. Il tutto ha un impatto notevole sulla salute mentale e sulla qualità di vita.

Ecco perché bisogna intervenire responsabilmente sul lavoro, se il problema “rumore” dipende da esso. Una volta fatto il danno, come detto sopra, non si torna indietro. Si può ricorrere ai presidi medici uditivi, anche se non tutti lo fanno, ma la qualità non è quella sicuramente concessa da madre Natura. Per non menzionare che l’ipoacusia ha suscitato interesse nella comunità scientifica in merito al cominciare ad essere considerato un potenziale fattore di rischio per il declino cognitivo. Non esistono ancora prove consistenti, ma l’impedimento uditivo, da solo o in congiunzione agli effetti emotivi che ne possono derivare (es. isolamento e depressione), potrebbe favorire la comparsa postuma di demenza senile, una condizione che è già al centro degli allarmi della sanità pubblica.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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