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Gruppo sanguigno e rischio patologie (I): quanto incide sul diabete?

Dall’inizio del 1900, grazie al biologo e patologo austriaco Karl Landsteiner, conosciamo i 4 gruppi sanguigni umani: A, B, AB e 0. Ognuna di queste lettere identifica una proteina (antigene) presente sulla superficie dei globuli rossi (A, B o AB). Il sangue di tipo 0 non ha nessuna proteina. Inoltre, sulla membrana, si trova anche un’altra proteina nota come fattore Rhesus (Rh), che può essere positivo o negativo in base alla sua presenza o meno nel sangue. Questi antigeni non si trovano solamente nei globuli rossi, ma sono presenti anche in altri tessuti, come le piastrine, l’endotelio vascolare e le cellule cerebrali. Conoscere il gruppo sanguigno è stato da sempre associato alla eventuale necessità di ricevere trasfusioni in caso di urgenza medica o pericolo di vita. O viceversa, alla possibilità di donare sangue a soggetti che si possano trovare nella stessa situazione. E invece, conoscere il proprio gruppo sanguigno sarà molto più importante di quanto si creda.

O almeno questo è quello che sostengono teorie secondo le quali alcune malattie sono spesso correlate al gruppo sanguigno. Anche se queste ipotesi non sono state del tutto confutate, pare che sempre più ricerche trovino una correlazione tra il tipo di sangue e la predisposizione a sviluppare una data malattia. Ad esempio, il tipo di gruppo sanguigno e il Fattore Rh (positivo o negativo) sono caratteristiche ereditarie che si associano, secondo quanto rivelato da diversi studi, a differenti malattie cardiovascolari. Per esempio, sembra che il gruppo AB sia associato ad un maggiore rischio di avere un ictus cerebrale rispetto al gruppo 0. Non si sta qui a ricordare quanto siano devastanti le cardiovasculopatie sul piano clinico mondiale. Ma altri teams di ricercatori hanno voluto sondare la possibilità di associazione fra gruppo sanguigno ed un’altra maggiore calamità clinica: il diabete. Eppure le prime ipotesi di una correlazione fra emogruppo e rischio-diabete non sono affatto recenti.

Le prime pubblicazioni indipendenti sono apparse già negli anni Cinquanta) e ancor di più negli anni Sessanta (vedere la cronologia bibliografica). Negli anni Settanta solo pochi studi hanno continuato la novità. Uno di essi ha provato che fra 10 marcatori sanguigni analizzati (A. B, 0, M, N, S, P, K, Fy e di sierotipi Gm, Gc ed Hp), in 1033 pazienti diabetici, il gruppo 0 (zero) era quello meno rappresentato, mentre una apparente associazione appariva con il sierotipo Gm(+/+). Qualche anno dopo è stato pubblicato uno studio sulla conferma che il fenotipo Lewis negativo (Le a–b–) dei globuli rossi era più frequente nel 29% di un campione di 170 soggetti diabetici, in 27 individui fossero essi tipo 1 o tipo 2. Lo stesso fenomeno compariva in adulti sani poco responsivi all’insulina dopo carico di glucosio come test orale (Melis C et al., 1978).

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Altrettanto pochi sono stati gli studi condotti negli Anni Ottanta. Un solo studio ha comparato una coorte di 520 persone diabetiche e più di 6000controlli sani, per analizzare la tipologia di emogruppo. Lo studio trovò una forte correlazione fra rischio diabetico e gruppi A (minimo), AB (massimo)ed Rh positivo (Sidhu LS et al., 1988). Gli anni 1990-2000 risultano praticamente carenti di pubblicazioni volte a studiare il fenomeno, finché nel 2003uno studio descrittivo incrociato, ha esaminato la tipologia di emogruppo fra 490 persone diabetiche. I valori di prevalenza per gruppo A, B ed AB erano, rispettivamente, del 4.36, 17.15 and 7.34% più alti rispetto ad una popolazione non ammalata. Al contrario, lo studio provò una prevalenza negativa del 28.94% per il gruppo 0, indicando che questo gruppo sanguigno sembra essere favorito nella protezione dalla malattia. Il dato è stato confermato anche per una coorte di 224 soggetti diabetici in Nigeria: i gruppi 0- ed A+ sembravano significativamente più alti nei diabetici rispetto ai controlli sani, mentre il gruppo 0+ era più basso (Okon UA et al., 2008).

Questi dati sembrano essere confermati anche in diversi angoli del globo. Uno studio recente ha voluto esaminare il gruppo sanguigno fra 1633 persone diabetiche vs. 1650 adulti sani in Qatar (Bener A et al. 2014). I risultati sono stai chiari: il gruppo B era molto più frequente fra i diabetici (25.7% vs.20.4%), mentre il gruppo 0 era meno comune fra questi (38.5% vs. 45.4%). Fra gli uomini diabetici, inoltre, la prevalenza era maggiore per il gruppo sanguigno B, mentre per le donne era sia per il gruppo A che per quello B, rispetto a dei controlli sani. Ma lo studio con la coorte maggiore finora esaminata è quello del 2015 (Fagherazzi G et al.). L’obiettivo dello studio era di valutare la relazione fra il gruppo AB0, fattore Rh e la combinazione dei due sul rischio di diabete tipo 2. La coorte esaminata apparteneva alla coorte prospettica E3N di 82.104 donne seguita dal 1990 al 2008. Le donne di gruppo A erano a rischio maggiore di quello con gruppo 0, mentre il gruppo AB non ha raggiunto una significatività statistica. Anche l’associazione con fattore Rh non ha mostrato differenze.

Lo studio ha evidenziato che il gruppo A presenta un rischio maggiore del 10% di contrarre la malattia, il gruppo AB del 17% e il gruppo B del 21%. Nello specifico, rispetto alle persone con gruppo sanguigno 0, quelle con gruppo B+, AB+ e A- presentano un rischio rispettivamente del 35%, 26% e22% maggiore. Lo studio ha evidenziato che il gruppo A presenta un rischio maggiore del 10% di contrarre la malattia, il gruppo AB del 17% e il gruppo B del 21%. Nello specifico, rispetto alle persone con gruppo sanguigno 0, quelle con gruppo B+, AB+ e A- presentano un rischio rispettivamente del 35%, 26% e 22% maggiore. Questi dati sono stati confermati l’anno scorso da due gruppi di ricerca indipendenti (Oner C et al., 2016; Meo SA et al., 2016). Le ragioni che spiegherebbero questa correlazione di gruppo sanguigno ed il rischio diabete non sono ancora conosciute. Sembra che il gruppo sanguigno possa influire sui marcatori endoteliali o determinare la composizione del microbiota intestinale che, a sua volta, influisce sul metabolismo e quindi sul rischio di contrarre malattie.

Le reazioni antigene – anticorpo che si verificano nel diabete tipo 1 sono anche giustificate dalla natura autoimmune della malattia stessa. Le reazioni crociate per batteri e globuli rossi non dovrebbero in teoria verificarsi; ma dopo quello che è stato scoperto nell’ultimo decennio riguardo al microbiota intestinale, questa possibilità è più che verosimile. Se è vero che la sindrome dell’intestino permeabile (leaky gut) è reale e che il passaggio di batteri oloro componenti nel sangue è dimostrabile, non meraviglia che le reazioni crociate per batteri e globuli rossi possano predisporre al diabete certi gruppi sanguigni più che altri. Per approfondimenti al riguardo, si può consultare l’archivio Novembre 2017 sul sito, con lo speciale “microbiota e salute”. In conclusione, niente allarmismi. Gli studi pubblicati parlano di rischio relativo, prevalenza e in qualche caso presenza di fattori di rischio o dipendenza dal sesso e dall’etnìa geografica. Che il gruppo B+ sembra più predisposto a contrarre il diabete, mentre il gruppo 0 sembra esserlo meno, pare essere una certezza.

Non si dimentichi, però, che molto viene fatto con lo stile di vita e le cattive abitudini. Meglio lavorare su questi aspetti.

a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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