Le intolleranze ai latticini
Riguardo a latte e derivati, la condizione più disagiante più nota è l’intolleranza al lattosio, che colpisce almeno 2 su 10 soggetti adulti e che è dovuta alla carenza dell’enzima endogeno lattasi, deputato alla scissione di questo zucchero. Per ulteriori informazioni si consulti l’articolo “L’intolleranza al lattosio: stato dell’arte” presente in questo sito. Si rimarca che non solo gli adulti, ma anche bambini dai 2-3 anni in su, possono venire colpiti dal disturbo. Non si sa ancora con certezza se fattori genetici, alimentari o altre concause possano concorrere a questo fenomeno. Spesso però i disturbi digestivi dopo l’assunzione di latte non sono da riferire al lattosio, seppur esso rappresenta una quota organica preponderante del latte (almeno 40 grammi/litro). Le proteine del latte bovino, rappresentando in media il 3.2% della sua materia organica, sono anch’esse capaci di suscitare diverse reazioni: dermatite atopica, sintomi intestinali, manifestazioni respiratorie, fino all’anafilassi.
Le responsabili possono essere non solo le caseine costitutive ma anche le proteine del siero, il che complica la faccenda. Tra le prime, la caseina beta è sicuramente quella più antigenica e che causa le reazioni infiammatorie maggiori nella mucosa. Nel siero di latte, inoltre, sono presenti alcune proteine con potere allergenico riconosciuto. La principale di queste è la lattoglobulina, anche perché essa è la maggiore componente del siero di latte bovino ma non è codificata nel latte umano. Anche l’albumina sierica e la lattoferrina sono altri due importanti allergeni del siero di latte. Come si può intuire, infatti, i neonati ed i bambini della fascia pediatrica sono i più colpiti dalle reazioni allergiche al latte bovino. Queste si manifestano con dermatite atopica, coliche addominali e diarrea profusa. Le caseine del latte sono infatti responsabili della maggior parte dei casi di coliti pediatriche da proteine alimentari. Questo è il motivo per cui l’allattamento al seno viene incoraggiato, prima che il neonato venga nutrito con surrogati artificiali.
Secondo diversi studi, infatti, l’allattamento al seno può aiutare a prevenire la comparsa di intolleranze ai latticini sia per la componente anticorpale chela madre trasmette, che per la regolazione che essa può esercitare sulla flora batterica del neonato. Sembra che il mantenere più a lungo nell’intestino degli infanti una flora batterica ricca di ceppi di Leuconostoc, Lactobacillus, Streptococcus e Bifidobacterium, piuttosto che Gram negativo, desensibilizzi maggiormente il loro sistema immunitario verso le intolleranze, quantomeno verso le proteine del latte. Questo può essere raggiunto anche con l’allattamento naturale la seno, dato che il latte materno ha zuccheri complessi che stimolano i lattobacilli. Così come l’intolleranza al lattosio è marginale se si introducono yogurt o formaggi stagionati, lo stesso accade nel caso dell’allergia alle loro proteine. Durante la fermentazione del latte, infatti, i lattobacilli operano anche una degradazione parziale delle sue proteine. Questo riduce significativamente il potenziale allergenico.
Le intolleranze al glutine
Sono ormai sempre più frequenti i casi di persone adulte, che risultano avere problemi di intolleranza dopo consumo di prodotti da forno regolari. Le reazioni principali si manifestano per introduzione delle loro principali forme di lavorazione: pane, pasta o pizza e loro derivati. La celiachia è la principale manifestazione di tossicità verso questo alimento. E’ una condizione clinica assai grave che trova in una reazione auto-immune la sua radice patogenetica. Il responsabile è il glutine, la componente proteica principale del frumento, che innesca fenomeni di infiammazione e distruzione cellulare mediata da anticorpi a livello delle mucose intestinali. Tuttavia, vi sono situazioni in cui le persone riportano disturbi minori (in genere, meteorismo, crampi, diarrea alternata a stipsi), dopo aver introdotto alimenti come pizza e pane bianco con un ritmo eccessivo o addirittura abusivo.
Non significa che queste persone sono celiache: è riconosciuto che il glutine è un potente antigene, ma solo chi è geneticamente predisposto sviluppa la vera malattia celiaca. Per il resto della popolazione, la reazione immune a questo complesso proteico può manifestarsi con intensità molto inferiore, ma se la sua assunzione è eccessiva il sistema immunitario si trova letteralmente “ingolfato” di antigene da smaltire. Ecco perché molti credono di aver sviluppato celiachia da adulti, quando è molto più probabile che essi siano andati incontro a quella che è denominata “sensibilità al glutine”, una condizione sempre più frequente che non ha nulla a che vedere con la celiachia. Ad esempio, l’allergia al grano è una delle allergie alimentari più comuni e dovrebbe essere considerata un problema di salute in tutto il mondo. A differenza della celiachia, diverse proteine del grano sia idrosolubili (albumine e globuline) che idrofobe (glutenine) contribuiscono allo sviluppo dell’allergia al esso.
Le manifestazioni più comuni includono sintomi gastrointestinali (dolore addominale, nausea, vomito, diarrea, gonfiore), cutanei (prurito, eczema, dermatite atopica, gonfiore, arrossamento), respiratori (rinite, asma, starnuti, tosse cronica), cerebrali (pensiero disturbato o annebbiato, mal di testa, vertigini). Invece, la sensibilità al glutine non celiaca (NCGS) si riferisce a una reazione al glutine che porta a manifestazioni intestinali ed extra-intestinali che non sono mediate da una risposta allergica o immunologica. Anche i termini sensibilità al glutine, ipersensibilità al glutine e intolleranza al glutine non celiaca si riferiscono a questa condizione. La NCGS è più comune nelle femmine adulte e la sua prevalenza è stimata nel 7% della popolazione generale. NCGS può causare un’ampia varietà di sintomi tra cui dolore addominale, diarrea, perdita di peso, mal di testa, affaticamento, malessere, dolori muscolari, afte ricorrenti e depressione.
Studi recenti hanno suggerito che altri componenti del grano, come i carboidrati a catena corta scarsamente assorbiti e gli inibitori dell’amilasi-tripsina del grano (ATIs), possono contribuire allo sviluppo di NCGS. I sintomi si verificano in poche ore o giorni dopo l’ingestione di glutine, che si risolvono con una GFD e ricadono dopo la sua reintroduzione. E’ relativamente comune anche la cosiddetta “asma del fornaio”, indotta dall’inalazione di particelle di farina di frumento, senza avere nulla a che fare con l’ingestione. Tale allergia si deve a due componenti proteiche, chiamate gliadine omega-5 e glutenine ad alto peso molecolare (HMWG). Tuttavia, sintomi extra-polmonari possono essere sviluppati da individui che hanno ingerito alimenti non farinacei, ma che sono risultati contaminati con farina. Questi soggetti, invece, non sviluppano mai reazioni dopo aver ingerito pane già cotto. Spesso il soggetto affetto, incolpa un componente della panificazione anch’esso dotato di potere antigenico: il lievito di birra.
L’allergia a questo alimento è relativamente diffusa, anche se molto meno di quella a latte, uova ed arachidi. Le componenti di membrana (polisaccaridi e alcune proteine) di questo microorganismo, sono le responsabili delle reazioni gastrointestinali degli individui sensibili. Un componente ritenuto responsabile è lo zimosano, uno zucchero complesso della parete del fungo. Esso attiva una proteina recettore della mucosa intestinale e delle cellule immunitarie (TLR4). Questa è responsabile della elaborazione di una risposta infiammatoria mediata dal complesso intracellulare chiamato inflammasoma. Tuttavia, è difficile distinguere tra la sintomatologia minore provocata da proteine del glutine con quelle del Saccharomyces, basandosi solo sulla tipologia poiché i sintomi, sebbene molteplici, sono spesso sovrapponibili e non permettono una precisa distinzione. Sebbene è facile vedere se il fenomeno non compaia dopo consumo di pasta (che non ha lievito), solo il ricorso a test analitici specialistici può togliere ogni dubbio al riguardo.
Consigli ed accorgimenti
Il limitare l’introito di pane di grano tenero o di semola, sebbene risulti “culturalmente” difficile, è fortemente raccomandato. Anche per biscotti ed altri sfarinati da pasticceria vale la stessa regola. Una via alternativa può essere lo scegliere panificati “misti” con ingredienti come soia, segale, avena e miglio; e biscotti con un maggior contenuto di fibra o cereali diversi (farro, grano saraceno, avena), tutti largamente disponibili in commercio. Dato che componenti di frumento e latte (isolati proteici, glutine lavorato, farine, concentrati di proteine) sono presenti praticamente in quasi tutti i prodotti alimentari correntemente in commercio, è estremamente difficile evitare la loro esposizione totale. Chi risulta affetto da dispone di un prontuario dedicato che lo aiuta nelle scelte alimentari quotidiane.
Per chi riferisce altre manifestazioni legate a pane, pasta e pizza, sarebbe buona norma semplicemente evitare di mangiare a volontà prodotti da forno, sfarinati e pastificati. Questi sono companatico di altre pietanze ed è sbagliato vederli come cibo “singolo”. Stessa cosa vale per il latte ed i formaggi, di cui molte persone ne fanno la pietanza principale della loro giornata. Nessuno mette dubbio della ricchezza di questi alimenti in proteine, vitamine, calcio, fosforo ed altri princìpi alimentari, tutti indispensabili per un corretto funzionamento dell’organismo. Ma rappresentando la loro stessa componente proteica la sorgente di potenziali antigeni o allergeni, è bene non esagerare con la loro assunzione. Indipendentemente dal fatto che troppo pane e formaggi facciano ingrassare….
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.