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Trattare l’osteoartrite a tavola: quali sono le prove a favore della dieta Mediterranea?

L’osteoartrosi (OA) colpisce 240 milioni di persone in tutto il mondo, circa il 10% degli uomini e il 18% delle donne. Le manifestazioni cliniche dell’OA sono dolore, rigidità mattutina transitoria e crepitio con movimento articolare, che peggiorano la qualità della vita quotidiana, portando a un aumento della morbilità e della mortalità. I fattori di rischio più comuni per l’OA includono età, sesso, precedente lesione articolare, obesità, predisposizione genetica e fattori meccanici. Il suo legame con l’obesità è multifattoriale. Storicamente, il peso corporeo eccessivo porta all’usura dell’articolazione. L’associazione tra sovrappeso e artrosi della mano suggerisce che anche fattori diversi dalle forze meccaniche possono svolgere un ruolo. Al giorno d’oggi, è accettato che l’obesità induca un’infiammazione sistemica di basso grado, causata dalla secrezione di adipochine e citochine infiammatorie. È noto che queste secrezioni disregolate contribuiscono alla degenerazione articolare.

Inoltre, è stato dimostrato che un elevato consumo di acidi grassi omega-6 comporta un rischio elevato di deterioramento dell’osso subcondrale; e che una dieta ricca di grassi aumenta i livelli di leptina nel tessuto cartilagineo locale, contribuendo alla progressione accelerata dell’osteoartrosi. Al giorno d’oggi, la gestione dell’OA si concentra sull’alleviamento dei sintomi. Le raccomandazioni internazionali per la gestione della condizione includono tre categorie: farmacologiche, non farmacologiche e chirurgiche. È ampiamente accettato che la perdita di peso e l’attività fisica fanno parte delle strategie di trattamento non farmacologico per l’OA. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che la nutrizione può avere un ruolo benefico nell’osteoartrosi. Diversi gruppi hanno dimostrato un effetto protettore della dieta mediterranea nell’OA a causa delle sue proprietà antinfiammatorie, della reversione della sindrome metabolica (MetS) e dell’obesità e della capacità antiossidante.

La dieta Mediterranea (MED) è ricca di polifenoli che prevengono l’infiammazione e la distruzione della cartilagine, con conseguente prevenzione dell’infiammazione muscoloscheletrica. La MED produce anche un rapporto di acidi grassi omega-6/omega-3 inferiore. I composti derivati dagli omega-3 riducono l’espressione genica delle lesioni della cartilagine delle proteinasi e delle citochine infiammatorie. Al contrario, si suggerisce che un elevato apporto di omega-6 induca processi infiammatori, con conseguente aumento del danno cartilagineo. Alcuni studi hanno riportato che l’assunzione di antiossidanti alimentari, come la vitamina C, previene la progressione dell’OA e abbassa la sua prevalenza radiografica del ginocchio. Dato che questi principi nutritivi sono contenuti in alimenti base della dieta mediterranea, un team congiunto di ricercatori delle Università di Barcellona e Girona hanno fatto il punto della situazione con una revisione generale.

I risultati di questa revisione sistematica indicano associazioni positive tra MD e migliore qualità della vita nei partecipanti con OA. La prevalenza dell’osteoartrosi era inferiore nei partecipanti con alla MED alta. Sono stati anche analizzati i biomarkers dell’infiammazione e della degradazione della cartilagine e sono state rilevate differenze significative per IL1-α, che era inferiore nel gruppo dietetico. Ci sono diverse spiegazioni fisiologiche che potrebbero spiegare perché i componenti chiave della MED potrebbero proteggere dall’OA. L’osteoartrosi viene spesso definita malattia degenerativa delle articolazioni. Ciò è impreciso poiché essa non è semplicemente un processo di usura. L’infiammazione cronica di basso grado è stata descritta come un mediatore chiave della sua patogenesi. Infatti, livelli sierici elevati della proteina C-reattiva (PCR), un marker di infiammazione, sono predittivi dello sviluppo e della sua progressione .

L’infiammazione delle articolazioni OA è distinta da quella dell’artrite reumatoide poiché è cronica, di basso grado e mediata dall’immunità innata. Diversi studi hanno dimostrato che la presenza di infiammazione sinoviale, o sinovite, nell’OA è associata a maggiore gravità dei sintomi articolari, aumento della perdita di cartilagine, diminuzione della mobilità e grado radiografico elevato. Molto probabilmente, non solo l’infiammazione locale ma anche sistemica è correlata allo sviluppo dell’OA. L’obesità induce un’infiammazione sistemica di basso grado, causata dalla secrezione di adipochine e citochine infiammatorie, che contribuiscono entrambe alla degenerazione articolare durante. Le citochine del liquido sinoviale contribuiscono alla perdita della matrice cartilaginea stimolando l’attività catabolica dei condrociti e inibendo la ricostruzione. Pertanto, la nota associazione tra una maggiore aderenza a una MED e biomarker di bassa infiammazione potrebbe spiegare alcuni dei benefici.

Altri studi hanno scoperto che il consumo di MD riduce il peso e i livelli di IL-6. Questo effetto è maggiore se è accompagnato da esercizio. Diversi studi hanno descritto un aumento del rischio di osteoartrosi in associazione a fattori di rischio metabolici come la dislipidemia, l’ipertensione e la resistenza all’insulina, che caratterizzano la sindrome metabolica. La prevalenza di MetS nei pazienti con OA è del 59% e nella popolazione generale del23%. I pazienti con OA e MetS soffrono di una maggiore incidenza di infiammazione e dolore rispetto ai pazienti con OA senza MetS. Il trattamento della MetS è stato proposto come misura per ritardare la progressione dell’osteoartrosi. La MED ha dimostrato non solo di invertire la MetS, ma anche di migliorare la qualità della vita. D’altra parte, l’olio d’oliva, che è una componente importante della MD, ha dimostrato di essere efficace nel ridurre il dolore, i punteggi WOMAC e nel migliorare l’indice di disabilità.

Rispetto alle altre patologie reumatiche immuno-mediate, quindi, il fattore metabolico è più predisponente. Lo sbilanciamento delle difese antiossidanti nell’osteoartrosi è un fenomeno che è evidenziabile non solo a livello sanguigno, ma anche a livello radiologico. Un modello sperimentale molto semplice per indurre osteoartrite nei ratti è quello della somministrazione di monoiodoacetato d sodio. Questa sostanza è un bloccante dei gruppi zolfo (-SH) di proteine, enzimi e antiossidanti solforati come il glutatione. Quindi lo stress ossidativo risultante è l’innesco del processo degenerativo. Spesso il danno biologico risultante è stato recuperato o soppresso dalla somministrazione di vitamina C, vitamina E e composti tiolici come la N-acetil-cisteina. Ma allora perché se il meccanismo sembra comune fra modelli sperimentali e situazione clinica, non si riesce ad invertire la tendenza nell’uomo nonostante la terapia antinfiammatoria e di integrazione alimentare?

Ci sono troppe variabili da considerare. A parte il peso corporeo e lo stile dietetico, un grosso peso lo hanno i fattori collegati allo stile di vita personale. Fumo di sigaretta e alcolici sono già fattori che promuovono lo stress ossidativo ma a parte questo promuovono anche la disbiosi intestinale. Oggigiorni, lo sbilanciamento del microbiota intestinale è stato provato essere la base della comparsa di molte patologie degenerative come il diabete, la sindrome metabolica, molte sindromi autoimmuni ed altro ancora. Oltre allo stato immunitario conseguente alla disbiosi, anche il profilo metabolico generale dell’individuo viene ad essere sconvolto nel tempo. Dalla fermentazione di un microbiota intestinale sano si producono metaboliti batterici che mantengono la stabilità del metabolismo di carboidrati e grassi, il che è centrale per prevenire ipercolesterolemia, trigliceridi alti e iperglicemia, senza invocare la rete ormonale sottostante a questi processi.

Ma la stabilità del microbiota si raggiunge anche a tavola, evitando alimenti troppo elaborati o derivati dalla lavorazione industriale. Non c’è paragone (a parte il gusto) fra le proprietà nutrizionali di frutta e verdura freschi contro quelle della loro controparte “in scatola”. Ed il microbiota stesso si accorge della differenza: appena due anni fa è stato dimostrato che esistono sottili differenze di composizione del microbiota fra coloro che si alimentano di frutta e verdura freschi e chi mangia la stessa quantità cotta al vapore. Figurarsi l’alimentarsi quasi costantemente con cibo che è raffinato, la cui componente antiossidante è stata distrutta dai processi di lavorazione o cottura. Questo corpo di prove suggerisce che la dieta Mediterranea può ridurre la prevalenza di osteoartrosi e migliorare la qualità della vita in questi pazienti, a causa dei suoi effetti antinfiammatori specifici.

Infatti, uno studio pubblicato l’anno scorso ha comparato pazienti con OA del ginocchio che hanno seguito dieta regolare, dieta low-fat e dieta MED. Solamente quelli con stile MED hanno avuto beneficio sintomatico e parziale rallentamento della progressione dei disturbi. Quindi, la quota di lipidi alimentari (che siano omega-3, vitamina A, vitamina D ed altri biolipidi), è fondamentale perchè si espletino parte dei suoi effetti biologici. Considerata la sua ricchezza di fibre necessarie alla salute del microbiota intestinale, inoltre, uno stile alimentare tipo MED può contribuire ulteriormente tramite il mantenimento metabolico generale influenzato dalla stabilità del microbiota.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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