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Medicina di genere (1): focus sulle malattie al femminile, spesso ritenute più maschili

La Medicina di genere è un concetto molto nuovo. E’ da qualche anno che se ne sente parlare e non tutti i medici di qualunque branca o specializzazione ne sono consapevoli. Ed è stato quest’anno, all’inizio dell’estate che è stata raggiunta una meta importante al riguardo. Il 13 giugno 2019, invero, è stato firmato dal ministro della Salute Giulia Grillo il decreto con cui viene adottato il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, previsto dall’articolo 3 della Legge 03/2018, poi approvato in Conferenza Stato-Regioni lo scorso 30 maggio. Il riconoscere che la medicina non è applicabile ad uomo e donna allo stesso modo, non è facile da capire nell’immediato. Le radici, eppure, hanno origine sin dalla ricerca di base. La stragrande maggioranza degli esperimenti scientifici condotti in vitro o in vivo sono stati effettuati con componenti di genere maschile. Nel caso di studi in vitro, sono stati impiegati modelli cellulari spesso ottenuti da pazienti di cui poco si sa oggi sul loro genere. E in aggiunta, dopo migliaia o decine migliaia di passaggi in coltura, di quella memoria se ne è persa ogni traccia.

Che sia in campo cardiologico, reumatologico, oncologico, ecc., solo per le malattie tumorali derivate da organi riproduttivi è possibile stabilire l’origine femminile. Un esempio sono il modello cellulare HeLa, cellule tumorali di cervice uterina routinariamente usate per gli esperimenti in vitro. Lo stesso dicasi di cellule tumorali di ovaio, mammella, endometrio o di testicolo. Ma quelle prese da organi assolutamente condivisi tra uomo e donna, da dove vengono? E perchè ci dovrebbe essere differenza fra cellule maschili e femminili? Semplice, la Natura ci insegna che ormoni sessuali maschili e femminili non sono affatto sovrapponibili. Sin dal grembo materno, attraverso l’infanzia, la pubertà e poi l’età adulta le cellule subiscono costantemente l’effetto dei loro ormoni “di provenienza”. Questo imposta i loro programmi genetici in modo potremmo dire assolutamente differenziato. Se è vero chele vie biochimiche e metaboliche fra uomo e donna sono comuni, la loro regolazione effettuata in vita dagli ormoni sessuali può differire diametralmente.

A livello più complesso, lo stesso si può dire negli animali da esperimento, in cui il concetto da cellula si ingrandisce via via a tessuto, organo e sistema. Le prove che le risposte biologiche sono diverse fra uomo e donna ci sono da tempo. La Farmacologia ha provato da recente che esistono differenze con cui gli stessi farmaci somministrati fra uomo e donna, vengono assorbiti, processati ed eliminati con modalità differenti, tempi diversi e vie metaboliche non proprio sovrapponibili. L’Immunologia ha appurato da tempo che fenomeni autoimmuni come il lupus, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide e la sclerodermia hanno una prevalenza donna:uomo che va da 3:1 per la sclerosi multipla, a 9:1 per il lupus. Questo perché la componente ormonale estrogena è stato provato essere centrale, affinché il sistema immunitario femminile sviluppi queste condizioni. Al contrario, quando si tratta di infezioni, sembra che queste preferiscano “fare la festa” più agli uomini, nonostante il sistema immunitario femminile sia più reattivo di quello maschile.

E la questione sta prendendo sempre più piede, tanto è vero che oggi, a Siracusa, presso la sede dell’Ordine dei Medici, è stato tenuto un corso formativo ECM da parte dell’Associazione Italiana Donne Medico (AIDM), intitolato “Dolore al femminile: tra algos e pathos”. Il sottoscritto vi ha partecipato per ragioni formative scoprendo, per la sua estraneità al campo, che il fenomeno “dolore” è diverso tra uomo e donna sotto punti di vista biologici, fisiologici, persino cellulari a rendere gli ormoni estrogeni gli orchestranti della sua manifestazione. Dalla Fisiologia, al problema delle autoimmunità, per passare alla Reumatologia, alle cefalee, c’è un vero universo di fenomeni biologici che è controllato diversamente dalla A alla Z fra donna e uomo. Si può solamente riferire che la soglia del dolore nella donna e nell’uomo è intimamente regolata dagli estrogeni e che, a parità di unasituazione di dolore fra i due sessi dovuta alla stessa malattia, basta la metà della dose di morfina nella donna per avere l’effetto antidolorifico identico sull’uomo.

Il corso si è concluso simpaticamente con una diapositiva in cui si leggeva, senza prese di parte: “I dolori del parto sono talvolta così forti, che solo dopo esserci passati una donna può capire come mai un uomo crolla con una febbricola di 37.2”.

Sarà vero?

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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