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Serotonina dentro e fuori dal cervello: così l’umore è regolato fino “all’osso”

Più o meno chiunque ha sentito parlare della serotonina, un neurotrasmettitore oramai famoso originariamente identificato come fattore plasmatico che induceva vasocostrizione. Oggi, invece, è molto conosciuto per la sua originale implicazione nella depressione e nei disturbi dell’umore. Dopo la sua identificazione, si scoprì che derivava dal triptofano, amminoacido aromatico comune precursore di un’altra potente molecola, la melatonina. Sebbene la serotonina regoli primariamente le funzioni cerebrali e cardiovascolari, la diffusone dei suoi recettori nel nostro è praticamente ubiquitaria. Ogni tipologia di tessuto umano esprime almeno un tipo o sottotipo di recettore serotoninergico, tra i sette tipi conosciuti, con alcuni sottotipi di essi. Cosa ancora più sorprendente, solo il 5% della serotonina corporea viene prodotta dal cervello: il 95%, infatti, viene prodotto fuori da esso.

Di questa grossa cifra, oltre la metà spetta al sistema gastrointestinale, indicando che la dizione di “intestino come secondo cervello” è nient’altro che la verità. A rendere al cosa ancora più intrigante, si sottolinea che le quote di serotonina prodotta nel cervello e in periferia non possono dialogare: essa non è capace di attraversare la barriera ematoencefalica (BEE) perché non abbastanza idrofoba. Tale fenomeno è riscontrabile nella sindrome da carcinoide: i tumori endocrini intestinali, rilasciando serotonina provocano unicamente sintomi cardiovascolari e neurovegetativi, senza sintomi neurologici centrali. Ma pochi sospetterebbero che la serotonina può agire direttamente sul tessuto osseo. La serotonina prodotta dal cervello inibisce gli osteoclasti attraverso l’ortosimpatico, stimola la proliferazione degli osteoblasti e aumenta la formazione ossea.

Una relazione negativa tra la serotonina nel siero e la densità / qualità ossea è dimostrato anche in alcuni studi clinici. Una bassa massa ossea dell’anca e un elevato rischio di fratture osteoporotiche, è stato osservato in pazienti trattati con farmaci antipsicotici, del tipo gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI). Una recente revisione retrospettiva, con dati raccolti da adolescenti con disturbi alimentari, per un periodo di 11 anni, ha scoperto che coloro che facevano uso di SSRI avevano uno Z-score di densità minerale ossea (BMD) significativamente più basso, rispetto ai soggetti di controllo. C’è anche una estesa coorte di studi che dimostrano una minore densità ossea in pazienti psichiatrici di varie età, facenti uso di antipsicotici atipici come olanzapina, risperidone o aripipramolo che, oltre a condizionare il sistema dopaminergico, hanno azione indiretta anche sulla serotonina.

Queste osservazioni potrebbero essere in parte spiegate dal fatto che le cellule ossee esprimono trasportatori per la serotonina (SERT). Quindi, in teoria, l’inibizione molecolare dei segnali della serotonina derivata dal duodeno e simultanea stimolazione della serotonina cerebrale sarebbe promettente per promuovere la salute delle ossa. L’osteoporosi, invero, è una patologia in costante aumento e dispone di poche armi per stimolare l’anabolismo osseo. L’unica disponibile è la somministrazione di paratormone (PTH), ma tale approccio è molto costoso, rischioso ed approvato solo per una categoria selezionata di pazienti, e comunque per un periodo non superiore ai due anni. L’approccio con farmaci anti-riassorbimento per contro, dispone di numerosi farmaci chiamati difosfonati (clodronato, pamidronato, zoledronato, ecc), oltre alla terapia supplementare con calcio e vitamina D.

Ma non sempre è l’opzione più valida, considerato che l’osso non assimilerà mai il calcio sotto l’influenza di segnali ormonali sbagliati. Inoltre l’osso, oltre al calcio contiene anche fosforo, magnesio, silicio, fluoro; non è unicamente costituito da calcio. Dal punto di vista della nutrizione, introdurre alimenti ricchi di triptofano può aiutare alla maggiore sintesi endogena di serotonina. Il latte, soprattutto le proteine del suo siero, ne sono una fonte eccellente. I legumi, le arachidi e le mandorle sono una fonte molto ricca di amminoacidi aromatici, triptofano incluso. Tra la frutta, banane e kiwi hanno il contenuto maggiore. Rilevante il fatto che tutti questi alimenti sono anche fonti discrete di vitamina B6. Questa è un cofattore della classe enzimatica delle decarbossilasi, che trasformano un amminoacido in una ammina biogena. In tal senso il triptofano passa a serotonina e la fenilalanina a dopamina, i due principali fattori carenti nella depressione.

Quindi, se l’esercizio fisico è un’indicazione medica raccomandata per impedire il riassorbimento osseo, anche sedersi a tavola con criterio non è da meno.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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