Si stima che 1,6 milioni di americani abbiano il diabete di tipo 1, che deriva da un attacco autoimmune che distrugge le cellule beta nel pancreas. Almeno diversi milioni di altri americani mancano di cellule beta sufficienti a causa del grave diabete di tipo 2. I trattamenti attuali in questi casi includono iniezioni di insulina manuali e con pompa indossabile, che presentano molteplici inconvenienti tra cui dolore, controllo del glucosio potenzialmente inefficiente e l’indossare attrezzature ingombranti. I ricercatori biomedici mirano a sostituire la funzione delle cellule beta in modo più naturale, con trapianti di cellule umane che funzionano come le cellule beta: rilevando i livelli di zucchero nel sangue automaticamente e secernendo insulina secondo necessità. Idealmente, tali trapianti dovrebbero utilizzare le cellule dei pazienti, per evitare il problema del rigetto del trapianto. Secondo uno studio preclinico condotto dai ricercatori della Weill Cornell Medicine, le cellule staminali dello stomaco umano possono essere convertite in cellule beta in risposta all’aumento dei livelli di zucchero nel sangue.
Nello studio i ricercatori hanno dimostrato di poter prelevare cellule staminali ottenute dal tessuto dello stomaco umano e riprogrammarle direttamente (con un’efficienza sorprendentemente elevata) in cellule che assomigliano molto alle cellule pancreatiche che secernono insulina note come cellule beta. I trapianti di piccoli gruppi di queste cellule hanno invertito i segni della malattia in un modello murino di diabete. Il Dr. Zhou ha lavorato a questo obiettivo per più di 15 anni. Nei primi esperimenti come ricercatore post-dottorato, scoprì che le normali cellule pancreatiche potevano essere trasformate in cellule beta-simili produttrici di insulina forzando l’attivazione di tre fattori di trascrizione che controllano l’espressione genica, con conseguente successiva attivazione dei geni necessari per lo sviluppo di cellule beta normali. In uno studio del 2016, sempre sui topi, lui e il suo team hanno dimostrato che anche alcune cellule staminali nello stomaco, chiamate cellule staminali gastriche, sono molto sensibili a questo metodo di attivazione a tre fattori.
Il principio di questo ragionamento è addirittura embrionale, ritengono i ricercatori. Lo stomaco produce le proprie cellule che secernono ormoni, e le cellule dello stomaco e le cellule pancreatiche sono adiacenti nella fase embrionale dello sviluppo, quindi in questo senso non è del tutto sorprendente che le cellule staminali gastriche possano essere così facilmente trasformate in cellule secernenti insulina beta-simili. I tentativi di riprodurre questi risultati utilizzando cellule staminali gastriche umane, che possono essere rimosse dai pazienti in modo relativamente semplice in una procedura ambulatoriale chiamata endoscopia, sono stati rallentati da vari ostacoli tecnici. Tuttavia, nel nuovo studio, condotto dal primo autore Dr. Xiaofeng Huang, istruttore di biologia molecolare in medicina presso la Weill Cornell Medicine, i ricercatori hanno finalmente raggiunto il successo. Dopo aver trasformato le cellule staminali gastriche umane in cellule beta-simili, il team ha fatto crescere le cellule in piccoli gruppi chiamati organoidi.
Ha così scoperto che questi pezzi di tessuto simili a organi sono diventati rapidamente sensibili al glucosio, rispondendo con secrezioni di insulina. Quando sono stati trapiantati in topi diabetici, gli organoidi beta-simili hanno funzionato in gran parte come farebbero le vere cellule beta pancreatiche, secernendo insulina in risposta agli aumenti della glicemia e mantenendo così costanti i livelli di glucosio nel sangue. I trapianti hanno anche continuato a funzionare finché i ricercatori li hanno monitorati – 6 mesi – suggerendo una buona durata, ma devono ancora ottimizzare il loro metodo in vari modi prima che possa essere preso in considerazione per l’uso clinico. I miglioramenti necessari includono metodi per aumentare la scala della produzione di cellule beta per i trapianti nell’uomo e modifiche delle cellule beta-simili per renderle meno vulnerabili al tipo di attacco immunitario che inizialmente spazza via le cellule beta nei pazienti con diabete di tipo 1.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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