La tripanosomiasi africana umana o malattia del sonno africana, è una devastante malattia tropicale negletta causata da protozoi parassiti del genere Trypanosoma brucei e trasmessa dalla mosca Tse-tse. La malattia procede in due fasi. Nella prima fase, i parassiti si moltiplicano nel tessuto sottocutaneo, nel sangue e nel sistema linfatico. Nella seconda fase, i parassiti attraversano la barriera emato-encefalica per invadere il sistema nervoso centrale. La malattia è fatale se non curata. Le infezioni da Tripanosoma gambiense possono spesso persistere per mesi o addirittura anni senza sintomi e diventare croniche. I pazienti sono spesso in una fase cerebrale avanzata della malattia quando emergono i sintomi. L’epidemia più recente è iniziata nel 1970 ed è durata fino alla fine degli anni ’90. Nel 2019, l’OMS ha pubblicato nuove linee guida per il trattamento della malattia del sonno con l’approvazione di 10 giorni di fexinidazolo per via orale.
Prima dell’approvazione del fexinidazolo, lo standard di cura a partire dal 2009 era nifurtimox orale combinato con un’infusione di eflornitina endovena. La scoperta di farmaci per le malattie tropicali è impegnativa e sono stati convalidati pochissimi bersagli farmacologici contro i parassiti. Inoltre, la comparsa di resistenza ai farmaci è un fatto assodato anche per loro; si prenda in esempio la malaria, per la quale sono necessari nuovi farmaci ogni 5-6 anni. Tuttavia, sono emerse alcune scoperte per il trattamento della malattia del sonno. Una di queste è la possibilità di prendere di mira il proteasoma 20S del parassita, una struttura che demolisce le proteine vecchie e danneggiate, allo stesso modo di come avviene per le cellule animali. Durante uno screening di tre milioni di molecole, chimici dell’azienda Novartis hanno identificato dei potenziali inibitori del proteasoma tripanosomiale del gruppo delle chinoline.
I farmaci prototipi hanno una impressionante somiglianza con alcuni degli antimalarici più comuni come la clorochina e la primachina. Tuttavia, l’aggiunta di una catena sul lato basale della molecola, sposta l’affinità di questi composti verso il proteasoma del T. gambiense. Molti di questi sono stati scartati per problemi di genotossicità in vitro nelle cellule animali. Alla fine, la molecola “7” è stata giudicata la migliore per l’ulteriore sviluppo. Stabiliti i criteri molecolari base minimi, i ricercatori hanno scoperto che era possibile ridurre l’anello chinolico per ottenere dei composti molto simili ai comuni farmaci antidolorifici come acido flufenamico, acido meclofenamico e diclofenac. La molecola 7 assomiglia proprio ad una chimera fra la primachina e il FANS diclofenac ed ha molto requisiti farmacocinetici per etichettarla come candidato preclinico. Ma il proteasoma 20S non è l’unico bersaglio molecolare del tripanosoma che si sta prendendo di mira.
Un altro gruppo di chimici sempre affiliati alla Novartis ha deciso di bersagliare l’enzima topoisomerasi analogo a quello delle cellule umane e batteriche. Inibitori della topoisomerasi umana sono dei conosciuti antitumorali, mentre i farmaci antitubercolari di ultima generazione più efficaci (es. bedaquilina e moxifloxacina) sono proprio degli inibitori di questo enzima. I ricercatori hanno identificato una classe di cianotriazoli con una potente attività tripanocida sia in vitro che in modelli murini di malattia di Chagas e malattia del sonno. Gli approcci biomolecolari hanno confermato che i composti prototipi agivano attraverso l’inibizione selettiva e irreversibile della Top II del parassita stabilizzando il DNA complessato con l’enzima. Questi risultati aggiungono, oltre al precedente, un potenziale approccio verso terapie di successo per la malattia di Chagas e possibilmente anche verso la tripanosomiasi gambiense.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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