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Le indagini molecolari aprono spiragli di trattamento per la sarcoidosi, l’autoimmunità ancora misteriosa

La sarcoidosi è una malattia infiammatoria in cui le cellule immunitarie formano noduli tissutali in vari organi, che possono compromettere drasticamente la funzione degli organi. I risultati iniziali suggeriscono un ruolo significativo per alcune proteine e cellule immunitarie nello sviluppo della sarcoidosi. In questa malattia, i granulomi, raccolte nodulari di cellule immunitarie, si formano e possono verificarsi in quasi tutti gli organi. La malattia inizia probabilmente con una diffusione patologica di macrofagi (cellule scavenger) e poi altre cellule immunitarie si infiltrano nei noduli, che contribuiscono al quadro clinico completo. I polmoni sono più comunemente colpiti, ma spesso anche il cuore viene colpito dalle lesioni granulomatose, e questo talvolta limita drasticamente la funzione cardiaca. La malattia non è curabile dal punto di vista causale perché mancano modelli in vivo che replichino in modo affidabile la malattia e in cui si possano provare nuove opzioni terapeutiche.

Ora un gruppo di ricerca della MedUni Vienna guidato da Thomas Weichhart del Centro di patobiochimica e genetica ha sviluppato un modello animale che replica lo sviluppo della malattia nel cuore e può contribuire alla ricerca sulla sarcoidosi. Il gruppo di ricerca è stato in grado di sviluppare un modello per la sarcoidosi polmonare diversi anni fa. Tuttavia, fino ad ora non esisteva alcun modello animale che replicasse la sarcoidosi nel cuore. In particolare la sarcoidosi cardiaca è spesso molto difficile da diagnosticare e trattare, motivo per cui era urgentemente necessario un modello. I ricercatori hanno ora scoperto che l’attivazione permanente della proteina mTORC1 direttamente nei macrofagi è sufficiente affinché i granulomi si sviluppino spontaneamente nel cuore. mTORC1 è un sensore cellulare centrale che misura la disponibilità di cibo ed energia e quindi regola il metabolismo cellulare, che a sua volta può influenzare la risposta immunitaria.

L’attivazione di mTORC1 porta alla proliferazione cellulare incontrollata dei macrofagi e al reclutamento di altre cellule immunitarie, compresi i fibroblasti, che alla fine portano alla fibrosi nel cuore. Insieme ai colleghi della St George’s University di Londra e del Centro per la ricerca biomedica MedUni Vienna, è stato dimostrato che il modello riproduce la malattia umana in tutti i suoi dettagli. Ciò significa che per la prima volta è possibile studiare in modo più approfondito lo sviluppo della malattia. Soprattutto, però, i farmaci esistenti possono essere testati immediatamente per vedere se hanno un beneficio terapeutico, che potrebbe poi essere trasferito molto rapidamente alla clinica. A questo proposito, i ricercatori sono già riusciti a dimostrare nello studio che l’everolimus, un farmaco già approvato clinicamente, potrebbe avere un beneficio terapeutico nella sarcoidosi cardiaca. Tuttavia, questo modello mostra risultati promettenti anche quando altre cellule immunitarie vengono bloccate terapeuticamente.

Insieme ai colleghi della Vanderbilt University School of Medicine in Texas, il gruppo del dottor Weichhart è stato in grado di dimostrare che le cellule T CD8+ contribuiscono a una sarcoidosi cronica particolarmente pronunciata; e che il blocco della proteina cellulare fosfatasi SHP2 ha avuto un beneficio terapeutico solo in circa il 50% degli animali nel loro modello, ma, cosa interessante, non negli altri. Ulteriori analisi hanno poi dimostrato che l’effetto protettivo si è verificato solo quando è stato trovato SHP2 attivo nei linfociti T CD8+ nei noduli polmonari dei pazienti che hanno risposto. Queste cellule T hanno rilasciato interferone gamma, una citochina che ha attirato più macrofagi e fibroblasti, portando alla progressione della malattia. Questi risultati sono stati successivamente dimostrati anche in pazienti affetti da sarcoidosi polmonare. Soprattutto i pazienti cronici con sarcoidosi progressiva allo stadio terminale hanno mostrato anche queste cellule T CD8+ SHP2-positive, che hanno prodotto molto interferone gamma.

Il blocco ex vivo di SHP2 in queste cellule CD8 è stato in grado di bloccare la produzione di interferone gamma. Perciò farmaci mirati a questo enzima cellulare possono risultare utili nella gestione di questa condizione. Uno di questi immediatamente disponibile è lo SHP099. I risultati di questi studi sono stati pubblicati su riviste specialistiche come Science Translational Medicine e sul Journal of American Heart Association.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Celada SI et al. Sci Translat Med 2023; 15(713):eade2581.

Bueno-Betí C et al. J Amer Heart Assoc 2023; 12(19):e030478.

Fanti S et al. Circulation. 2022 Dec 20; 146(25):1930-1945.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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