Pensieri intrusivi, ripetizione involontaria di gesti e comportamenti indesiderati combinati con elevata ansia. Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), una condizione invalidante, colpisce circa il 2% della popolazione, indipendentemente dall’età. È un forte vettore di isolamento poiché i pazienti si concentrano in modo sproporzionato su varie ossessioni, a scapito delle relazioni, del lavoro e del tempo libero. Il trattamento consiste principalmente nella terapia cognitivo-comportamentale (CBT) che consente ai pazienti di riadattare i propri schemi di pensiero, combinata con antidepressivi. Sfortunatamente, gli effetti si manifestano lentamente e il 30-40% dei pazienti non risponde affatto. Per organizzare studi randomizzati e in doppio cieco i ricercatori hanno bisogno di dati preliminari incoraggianti. L’incertezza prolungata sull’efficacia delle sostanze psichedeliche, combinata con il possibile clamore mediatico, può incoraggiare l’abuso ricreativo. C’è anche il rischio di distogliere i pazienti da interventi psicoterapeutici che potrebbero funzionare per loro.
L’assunzione di sostanze psichedeliche induce uno stato alterato di coscienza, portando chi ne fa uso a percepire il mondo in un modo radicalmente nuovo per alcune ore. L’esperienza può essere travolgente, creando un senso di rottura con gli stati emotivi passati e favorendo l’emergere di nuovi modelli di pensiero. Studi precedenti suggeriscono che gli effetti acuti delle sostanze psichedeliche, presenti fin dalla prima dose, contrastano con gli effetti ritardati dei trattamenti continui, come gli antidepressivi. I composti sintetici LSD e psilocibina sembrano particolarmente promettenti nel disturbo ossessivo compulsivo. Per aumentare le loro conoscenze, i ricercatori hanno analizzato retrospettivamente l’esperienza di persone che avevano utilizzato queste sostanze in passato. Lo scopo? Per capire se avevano percepito un miglioramento dei sintomi dopo l’assunzione di LSD o psilocibina, se questo effetto era duraturo e se poteva essere previsto da diversi fattori.
L’esperienza vissuta dai pazienti è inestimabile e, in assenza di dati clinici oggettivi, è decisiva nel valutare il potenziale terapeutico delle sostanze psichedeliche e nell’orientare la ricerca. Per questo motivo gli scienziati dell’Ospedale universitario di Ginevra, in collaborazione con l’Università La Sorbona, hanno reclutato 174 persone con sintomi di disturbo ossessivo compulsivo che avevano assunto sostanze psichedeliche occasionalmente o regolarmente tramite un questionario online. Hanno chiesto loro della loro salute mentale e dei trattamenti che hanno ricevuto. Successivamente è stato loro assegnato il compito di riferire sul contesto in cui avevano assunto queste sostanze, la dose, la natura della loro esperienza psichedelica e gli effetti percepiti sui sintomi. I partecipanti hanno riferito la dissipazione dei pensieri ossessivi, una minore necessità di impegnarsi in rituali, una riduzione dell’ansia e dei comportamenti di evitamento e una maggiore accettazione del disturbo ossessivo compulsivo.
Il 30% dei partecipanti ha riferito che questi effetti positivi sono durati per più di tre mesi. Questi risultati devono essere interpretati con cautela. La valutazione soggettiva degli effetti terapeutici delle sostanze psichedeliche è suscettibile di numerosi pregiudizi, comprese le convinzioni dei partecipanti allo studio. Il simbolismo trasformativo dell’esperienza psichedelica stessa rafforza questo pregiudizio. Alcune persone provano un senso di euforia, estasi o connessione con l’universo che contrasta nettamente con la loro percezione ordinaria del mondo e le incoraggia a vederlo con occhi nuovi. Per sfruttare appieno i potenziali nuovi trattamenti e stabilire buone pratiche d’uso, sarà necessario non solo aumentare il numero di studi clinici rigorosi, ma anche comprendere i meccanismi biologici alla base degli effetti a lungo termine delle sostanze psichedeliche. I ricercatori ritengono che possano aumentare la neuroplasticità promuovendo il rimodellamento delle connessioni sinaptiche. Ma in quest’area è tutta da scoprire.
Anne Buot, psichiatra e ricercatrice capo, ha espresso le sue impressioni positive: “Sarà essenziale comprendere fino a che punto la natura stessa dell’esperienza psichedelica, fortemente influenzata dalla storia, dalla cultura e dall’immaginazione delle persone, influisce sugli effetti terapeutici. Per fare questo, avremo bisogno di approcci complementari, ad esempio in etnografia e psicologia. La popolazione da noi studiata ha generalmente un atteggiamento molto positivo ed entusiasta nei confronti di queste sostanze, a volte indipendentemente dal loro effetto terapeutico. Inoltre, molti pazienti si trovano in situazioni di impasse terapeutica e si aspettano che l’LSD o la psilocibina migliorino la loro vita. Ciò può influenzare notevolmente la loro testimonianza”.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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