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Glifosato: il pesticida che “contamina” la nostra salute alterando il microbiota intestinale

Depressione e fibromialgia da glifosato: focus sul microbiota

L’esposizione a sostanze chimiche come i pesticidi potrebbe anche portare a disturbi depressivi, poiché potrebbe causare anomalie nel microbioma intestinale. Inoltre, alcuni pesticidi, come il glifosato, possono influenzare negativamente lo sviluppo neurologico e la neuroplasticità attraversando la barriera placentare. Il glifosato inibisce l’enzima 5-enolpiruvilshikimate-3-fosfato sintasi (EPSPS) della via che produce aminoacidi aromatici nelle piante, un meccanismo che suggerisce che l’erbicida non avrebbe effetti sull’uomo poiché questa via non si trova nei mammiferi. Questo percorso si trova anche nei funghi, nei batteri e nei protozoi, rendendo il glifosato un efficace antimicrobico. Poiché il corpo umano non produce triptofano, tirosina o fenilalanina, questi devono essere acquisiti attraverso la dieta, oltre che attraverso la produzione da parte dei microbi intestinali.

È stato dimostrato che l’interruzione del percorso dello shikimato dovuta al glifosato, riduce i livelli di questi nutrienti nelle piante e quindi limita potenzialmente la loro biodisponibilità per gli esseri umani che li consumano. Uno studio ha dimostrato che il trattamento con 100 µM di glifosato puro ha ridotto i livelli di triptofano del 13%, tirosina del 59% e fenilalanina del 77% nelle colture di canna da zucchero. Tuttavia, numerosi studi hanno implicato l’esposizione al glifosato nella manifestazione di una varietà di disturbi nel corpo umano. Questi effetti potrebbero anche dipendere dal fatto che l’entrata di questo pesticida nell’organismo, passando per l’intestino, possa condizionare il microbiota intestinale. È stato riscontrato chein generale i Bacillota sono più resistenti al glifosato rispetto ad Actinomycetota e Pseudomonadota.

I batteri patogeni, come Escherichia coli, Salmonella enterica e S. enterica sierotipo typhimurium, hanno mostrato un livello più elevato di resistenza rispetto ai batteri commensali associati all’ospite.  Ciò suggerisce che l’ingestione di glifosato da parte degli esseri umani potrebbe potenzialmente selezionare, nel tempo come laaso di molti mesi) batteri patogeni nel microbiota intestinale. Infatti, uno studio che ha esaminato 101 specie batteriche per la sensibilità/resistenza al glifosato ha rilevato che il 54% delle specie batteriche comunemente presenti nell’intestino erano sensibili al glifosato, come Faecalibacterium, Citrobacter e Bifidobacterium. Queste specie sono considerate come probiotiche, produttrici di acidi grassi a catena corta (SCFA) e fortemente compromesse in situazioni autoimmuni come malattia di Crohn, sclerosi multipla e artrite reumatoide.

I bifidobatteri sono riconosciuti come membri importanti del microbiota intestinale umano, con molti ceppi che hanno dimostrato di fornire proprietà benefiche per la salute. I Bifidobacteriales sono la classe batterica più abbondante nell’intestino infantile, dove i suoi membri sono associati allo sviluppo e alla salute del bambino. Alcuni bifidobatteri possono metabolizzare carboidrati complessi del latte materno, determinando la produzione di SCFA che esercitano importanti funzioni fisiologiche sull’ospite. Tuttavia, gli scienziati ora sanno che i bifidobatteri sono tra i batteri più sensibili al glifosato. Inoltre, come aggravante, è stato segnalato che la maggior parte degli alimenti per lattanti sono contaminati da questo pesticida. Ciò potrebbe potenzialmente esacerbare ulteriormente il problema della riduzione del Bifidobacterium nell’intestino del bambino.

Sono stati utilizzati modelli animali per dimostrare un legame tra il glifosato e lo sviluppo di disturbi come l’obesità, il diabete, l’autismo e i disturbi di salute mentale. Negli animali, è stato segnalato che il glifosato ha un impatto negativo sull’intestino, sul sistema cardiovascolare, endocrino e riproduttivo, sul sistema nervoso centrale e sul sistema immunitario. Poiché è stato dimostrato che il glifosato riduce il triptofano prodotto dai microbi, ciò suggerisce che il glifosato a sua volta riduce la disponibilità di triptofano nell’ospite. Il triptofano e i suoi derivati sono stati studiati per il loro ruolo di molecole segnale che collegano il microbiota intestinale alle cellule ospiti, influenzando successivamente la salute umana. Esistono prove che associano i livelli ridotti di triptofano nel siero dei pazienti con malattia infiammatoria intestinale (IBD).

E ancora di più in un’altra condizione che nasconde ancora delle cause nascoste e che solo recentemente sta trovando nel microbiota una possibile causa eziopatogenetica: la fibromialgia. Nei fibromialgici sono state evidenziate carenze di minerali, quali ferro, selenio, zinco e magnesio, una frequente carenza di amminoacidi ramificati (valina, leucina, isoleucina) che forniscono energia ai muscoli e regolano la sintesi proteica e muscolare. I pazienti affetti da fibromialgia accusano spesso sintomi gastrointestinali probabilmente perché hanno una disbiosi intestinale con aumento della permeabilità intestinale (leaky gut): lo squilibrio della flora batterica porta alla prevalenza di specie patogene, con eccessiva produzione di tossine, soprattutto endotossina (lipopolisaccaride) e altri metaboliti patogeni come D-lattato, ammine e acido solfidrico.

Tutto ciò causa un’infiammazione sistemica di basso grado, generando una risposta del sistema immunitario, con liberazione di citochine infiammatorie (es. IL-6 e TNF-alfa). La carenza di triptofano si verifica sia negli uomini che nelle donne, ma in costoro la carenza è molto maggiore (da 3-6 volte) e provoca in forte abbassamento dei livelli di serotonina, che serve alla soglia del dolore ed alla regolarità del sonno. Questo spiega la maggiore prevalenza ed intensità della sintomatologia dolorosa nelle donne con fibromialgia. Fino a qualche anno fa non c’erano reali prove scientifiche a sostegno di una relazione causale fra introito di glifosato e comparsa di fibromialgia. Alcuni studi del Dr. Jewell Johnson et al. (2017, 2019), tuttavia, sembrano non lasciare dubbio. Se poi si associa la nozione che questo pesticida condiziona direttamente la composizione del microbiota, c’è ragione di cominciare a credere che possa essere vero.

  • A cura de Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

Nohesara S, Abdolmaleky H et al. Genes 2023; 14(12):2217.

Walsh L et al. Gut Microbes 2023 Dec; 15(2):2263935.

van Bruggen AH, Finckh MR et al. Front Envir Sci. 2021; 9:9.

Rueda-Ruzafa L et al. Neurotoxicology. 2019; 75:1–8.

Vandenberg LN et al. J Epidem Comm Health. 2017; 71(6):613.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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