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Vita e morte dei globuli bianchi neutrofili (I): le cellule immunitarie di prima linea

I granulociti neutrofili (globuli bianchi), vitali nell’immunità innata, sono fondamentali nelle malattie infiammatorie intestinali, in particolare nel morbo di Crohn; sono considerati la prima linea di difesa contro i germi, che distruggono tramite il loro metabolismo ossidativo. Tuttavia, queste cellule infiammatorie sono state meno studiate rispetto ad altre cellule immunitarie come i linfociti T. Questo è dovuto al fatto che le scoperte sulle malattie autoimmuni fatte negli anni ’90 e 2000 sono state incentrate sui linfociti T e sul network delle citochine infiammatorie. Con la scoperta ancora più recente delle varie sottopopolazioni linfocitarie (Th1, Th2, Th17, Th19, Tregs, ILCs, ecc.), poi, l’interesse per il “mondo” linfocitario è esploso ancora di più. Al contrario, gli studi sui granulociti neutrofili si erano completamente assopiti.

Sono continuati in via sperimentale, con indagini che hanno riguardato la loro sopravvivenza cellulare ed i meccanismi molecolari sottostanti. I granulociti, infatti, sono cellule in continuo rinnovo da parte del midollo osseo, dato che la loro vita media è compresa fra 12-36 ore in dipendenza da situazioni di stasi o di attacco batterico. La ragione è da ricercare nel loro stesso sistema biologico: essendo cellule che distruggono i batteri tramite reazioni enzimatiche ossidative (mediate dallo stress ossidativo originato da enzimi di membrana), essi stessi subiscono tante di quelle lesioni biologiche nella loro emivita che gli impedisce di sopravvivere ai danni auto-inflitti. Sono stati indagati i loro meccanismi di sopravvivenza al fenomeno della morte cellulare programmata (apoptosi) indotta da agenti farmacologici come le metil-xantine o i glucocorticoidi, notoriamente usati come antinfiammatori e immunosoppressori.

Si è così appurato che la loro esposizione al perossido (acqua ossigenata) prodotta dal loro metabolismo ossidativo è capace di innescare la loro morte programmata, ma questo fenomeno sembra ridotto nella malattia genetica granulomatosi cronica, dove i neutrofili hanno difficoltà a lasciare andare i fenomeni infiammatori. La loro morte, accelerata dal recettore di membrana Fas o da prodotti di degradazione delle loro membrane (ceramide), è parzialmente ritardata o soppressa da antiossidanti come N-acetil-cisteina, glutatione o acido ascorbico, Questo ancora una volta a segnalare che è il loro stesso sistema biologico a determinare quanto essi resisteranno sul campo, se più a lungo in condizioni di sorveglianza oppure morendo “sul campo di battaglia”. Al contrario certe citochine (es. IL- 2, IL-15 e TNF-alfa) o fattori di crescita ritardano la loro eliminazione.

I fattori di crescita hanno un effetto di “nutrizione” cellulare e promozione della sopravvivenza con meccanismi diversi. Possono stimolare la sintesi del DNA, la sintesi proteica, stabilizzare l’energia prodotta dai mitocondri e sopprimere la produzione di proteine letali che servono all’esecuzione della morte programmata. Praticamente, lo stesso principio per cui le cellule tumorali li sfruttano a loro vantaggio. I granulociti neutrofili usano alcuni fattori di crescita (G-CSF e GM-CSF), che attivano percorsi cellulari ad effetto anti-letale (come le chinasi mitogeniche ERK1 ed ERK2 e l’asse chinasico PI3K/c-Akt che sopprime direttamente il fenomeno apoptotico). Anche alcuni messaggeri cellulari come il famoso AMP ciclico (cAMP) paiono ritardare la lor morte spontanea. Questo si verifica tramite due percorsi cellulari: l’asse diretto cAMP/PKA e quello Epac/ERK2.

La manipolazione del sistema cAMP/PKA è ottenibile farmacologicamente in varie modalità. Molti farmaci di uso clinico sono capaci di alterarlo. Basta pensare a tutti i farmaci adrenergici usati nella clinica vascolare, cardiologica ed anche prodotti naturali come la caffeina del caffè e la teofillina del thè verde. Anche queste sono in grado di alterare i livelli cellulari di cAMP, ma prima della scoperta dei recettori dell’adenosina si pensava che esse condizionassero la sua degradazione cellulare attraverso il blocco dell’enzima fosfodiesterasi PDE4. Quando si scoprì, invece, che esse erano in realtà degli antagonisti naturali dei recettori A2a ed A2b, si comprese perché in alcuni casi queste sostanze abbassavano i livelli cellulari di cAMP, invece di innalzarli, dato che non tutti i recettori dell’adenosina possiedono gli stessi trasduttori a valle.

La teofillina è un farmaco ancora usato nella pratica clinica sia cardiologica che polmonare, sebbene non tanto come in passato. Nel primo caso è un tonico cardiaco utile nelle insufficienze acute di pompa, è un regolatore del tono vasale e può esercitare anche effetto diuretico. Questo lo faceva un cardine nel trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia. A livello polmonare, prima dell’avvento dei broncodilatatori più moderni, la teofillina era usata per curare l’asma cronico e la broncopatia cronica ostruttiva (BPCO), perché ha un effetto dilatatore sui bronchi. La teofillina agisce anche sui recettori dell’adenosina presenti sui granulociti neutrofili e ne accelera la morte spontanea. Questo potrebbe contribuire al suo effetto antinfiammatorio di reclutamento neutrofilico durante l’asma bronchiale, soprattutto nelle forme croniche. Parimenti è stato investigato l’effetto dei corticosteroidi sulla vitalità di queste cellule.

Steroidi di corrente uso clinico come desametasone e prednisone accelerano la morte spontanea dei neutrofili, interferendo con l’azione “positiva” che hanno mediatori come il G-CSF, il TNF-alfa e la prostaglandina E2 (PGE2), che sostengono invece la loro vitalità. La PGE2 è un noto mediatore dell’infiammazione che vede nei FANS i suoi antagonisti (ketoprofene, ibuprofene, nimesulide, ecc. fino ai più moderni derivati coxib). Attraverso il recettore di membrana EP2R1 essa attiva le cascate citata prima cAMP/PKA ed Epac/ERK che stimolano la sopravvivenza di queste cellule. Quindi, il razionale di usare FANS e/o corticosteroidi quando c’è una infiammazione cronica non è sbagliato, di fondo. Il problema pratico maggiore spunta a causa della comparsa di effetti collaterali di questi farmaci, dai sintomi gastrointestinali, ai disturbi della glicemia o della funzione renale.

Fortunatamente, l’infiammazione è un fenomeno molto complesso che vede partecipare altri mediatori e quindi altre tipologie di farmaco più o meno mirate. Tuttavia, quando c’è un danno/evento polmonare acuto che mette potenzialmente a rischio la funzionalità d’organo o la stessa vita del paziente (lesione polmonare acuta, attacco d’asma violento, ecc.) l’uso dei corticosteroidi è d’obbligo, anche perché per fortuna queste molecole hanno un buon ruolo di supporto per la funzionalità polmonare. Si ricorda infatti che, alla nascita, la maturazione dei polmoni dei bambini prematuri viene ottenuta con una piccola terapia a base di glucocorticoidi. Questi stimolano le cellule polmonari a secernere il “surfattante”, il liquido che permette lo scorrere dei polmoni dentro le pleure. E in un attacco d’asma pediatrico severo, non si esita ad usare uno steroide quando altre opzioni falliscono.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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