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Il benessere mentale nella malattia infiammatoria intestinale: un focus sulle terapie psicologiche dedicate

La malattia infiammatoria intestinale (IBD), comprendente il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, è una condizione autoimmune cronica che colpisce svariati milioni di persone in tutto il mondo. Il quadro clinico provoca dolore addominale, diarrea, devolezza, incontinenza e altri sintomi debilitanti. Oltre ai sintomi fisici, le malattie infiammatorie intestinali possono avere importanti implicazioni sulla salute e sul benessere mentale. I biomarkers infiammatori possono essere trovati nel corpo per indicare aree e tipi di infiammazione. Recentemente è stata dedicata attenzione all’esplorazione della relazione tra sintomi gastrointestinali e disturbi di ansia/depressione, con particolare attenzione all’asse intestino-cervello (GBA). Il GBA fornisce una comunicazione bidirezionale tra il sistema nervoso enterico e quello centrale. Oltre all’anatomia, integra i canali endocrini, umorali, metabolici e immunitari.

Questo asse, che comprende il sistema nervoso autonomo, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e i nervi del tratto gastrointestinale, facilita l’effetto del cervello sulle attività intestinali e sulle cellule immunitarie funzionali e consente all’intestino di alterare l’umore, la cognitività e la salute mentale. Studi esistenti hanno dimostrato che il GBA gioca un ruolo nel mediare sia l’infiammazione intestinale che i disturbi psichiatrici negli individui con IBD. I ricercatori dell’Istituto di Psichiatria, Psicologia e Neuroscienze del King’s College di Londra hanno scoperto che gli interventi progettati per migliorare l’umore, tra cui la terapia psicologica, gli antidepressivi e l’esercizio fisico, erano associati a riduzioni significative dei livelli di merkers infiammatori nei soggetti con IBD. Gli interventi sull’umore possono rappresentare un trattamento alternativo per le IBD che sia efficace e a basso costo.

I ricercatori hanno condotto una ricerca su oltre 15.000 articoli, gli studi esistenti sui livelli dei biomarkers proteina C-reattiva (PCR) e calprotectina fecale, che sono indicatori specifici di IBD, nonché una misura combinata di altri markers infiammatori. La ricerca, supportata dal National Institute for Health and Care (NIHR) e dal Medical Research Council (MRC), indica che gli interventi sull’umore possono rappresentare un trattamento alternativo per le IBD che sia efficace e a basso costo. La revisione sistematica e la meta-analisi pubblicate alcuni mesi fa, sono le prime a indagare la relazione tra interventi volti a trattare l’umore e i livelli di biomarkers infiammatori in questa condizione. I risultati suggeriscono che gli interventi sull’umore rappresentano una strategia per migliorare la salute mentale e ridurre l’infiammazione nelle IBD.

I ricercatori hanno cercando tutti gli studi randomizzati e controllati negli adulti con IBD che misuravano i livelli di biomarkers infiammatori e testavano un intervento sull’umore (ad esempio, interventi per ridurre la depressione, l’ansia, lo stress e il disagio, o migliorare le emozioni/benessere). Hanno esaminato e analizzato i dati di 28 studi randomizzati e controllati che hanno coinvolto oltre 1.700 partecipanti. I ricercatori hanno scoperto che le terapie psicologiche, tra cui la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), la terapia di accettazione e impegno (ACT) e la riduzione dello stress basata sulla consapevolezza, hanno avuto i migliori risultati sull’infiammazione, rispetto agli antidepressivi e agli interventi di esercizio fisico. Gli interventi che hanno avuto un effetto positivo maggiore sull’umore hanno avuto un effetto maggiore sulla riduzione dei markers infiammatori.

Questi risultati suggeriscono che il meccanismo alla base dell’effetto degli interventi psicologici e sociali sull’infiammazione nelle IBD potrebbe essere il miglioramento dell’umore. Analisi individuali sui marcatori infiammatori specifici dell’IBD hanno rivelato una piccola riduzione della PCR e della calprotectina fecale in seguito all’intervento sull’umore. Ciò suggerisce che i trattamenti che migliorano l’umore hanno effetti benefici sull’infiammazione generica. Molti farmaci per l’IBD hanno effetti collaterali negativi e spesso sono molto costosi, come ad esempio i biologici. Lo studio suggerisce che gli interventi che mirano a migliorare l’umore, in particolare le terapie psicologiche, potrebbero ridurre l’infiammazione nelle IBD e potenzialmente fornire un trattamento alternativo. Una modalità aggiuntiva di intervento è quella sulla qualità del sonno, la cui scarsezza influenza notevolmente le prestazioni del giorno dopo e quindi, di riflesso, umore e stato di concentrazione.

La qualità del sonno è di crescente interesse nelle IBD. In alcuni studi, il sonno anormale è stato associato a diversi redditi scadenti, tra cui malattie cardiovascolari e mortalità per tutte le cause. L’insonnia è probabilmente il disturbo del sonno più comune nella popolazione IBD con studi che suggeriscono una prevalenza fino al 58%. Le meta-analisi hanno suggerito che il sonno scarso è prevalente nei soggetti con IBD e più comune in quelli con IBD clinicamente attiva, peggiore rispetto ai controlli e associato a condizioni di salute mentale e una peggiore qualità della vita. Studi longitudinali hanno suggerito che i disturbi del sonno sono associati ad affaticamento, attività della malattia e, nella malattia di Crohn, al rischio di ospedalizzazione. Questo meccanismo, assieme ad altri collegati alla malattia, può essere sotto il controllo del GBA attraverso il dialogo neuorchimico fra cervello, immunità e microbiota intestinale.

Quest’ultimo è stato riconosciuto dalla scienza intervenire nei fenomeni autoimmuni: nella maggior parte delle autoimmunità conosciute, infatti, esiste quasi sempre una disbiosi intestinale. A sua volta, lo stress mentale è causa di riacutizzazioni (flaring-up) in stati autoimmunitari come artrite rteumatoide, sclerosi multipla e lo stesso morbo di Crohn. Ciò vuol dire che se lo stress mentale sbilancia il dialogo neurochimico di cui sopra (del GBA), le terapie psicologiche dedicate possono “alleggerire il carico” mentale ed “allentare la morsa” a livello immunitario. Anche lo stress si scarica sull’intestino e sul microbiota: tutto dipende se la produzione di cataboliti batterici “buoni” è sufficiente a tenera a bada le reazioni immunitarie locali. Gli acidi grassi a catena corta (es. butirrato), sono fra questi e da soli possono avere effetti sia sulle cellule immunitarie, lo stato energetico della mucosa intestinale e le reazioni neurochimiche cerebrali.

Riassumendo: le terapie farmacologiche per la IBD possono attenuare infiammazione e sintomatologia clinica; la dieta può nutrire il microbiota nel modo più corretto possibile; ma stress, frustrazioni e cattiva qualità del sonno sono le “scintille” esterne per la progressione della malattia. Il benessere mentale non deve passare in secondo o terzo piano in questi frangenti: la salute mentale può condizionare quella fisica, se è vero che il vecchio proverbio recita “mens sana in corpore sano”.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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