Senza dubbio, il suo caffè è una bevanda dal contenuto culturale unico e molti considerano la pausa caffè come un piacevole rituale di condivisione, ricarica o di compagnia. Ma dietro a questa serie di fenomeni, ancora una volta, è la chimica la reale padrona che impartisce gli ordini. E’ noto a chiunque che le proprietà stimolanti del caffè dipendono principalmente dalla caffeina, un alcaloide con un’ampia gamma di effetti a livello organico, più di quelli che le persone conoscono correntemente. La caffeina è uno stimolante generale delle funzioni cerebrali. Essa aumenta il senso di vigilanza e, alle basse dosi, può aumentare la concentrazione e la resa cognitiva. Grazie alla sua interazione con i sistemi purinergico e dopaminergico neuronali, oltre all’attenzione può anche migliorare il tono dell’umore. In aggiunta, una miscela di più di 700 composti volatili conferiscono il classico aroma del caffè tostato; alcuni di questi evocano nel cervello sensazioni di gradimento e gratificazione. Interagendo con i recettori olfattivi, essi innescano dei segnali che favoriscono la produzione nel cervello di serotonina, nota sostanza regolatrice del tono dell’umore.
Il caffè stimola direttamente la secrezione acida dello stomaco, ragion per cui non è assolutamente consigliabile assumere caffè a stomaco vuoto, contravvenendo così al classico “caffè e sigaretta” con cui molti italiani intendono la loro colazione. L’’acido cloridrico prodotto dall’assunzione di caffè, trovando lo stomaco vuoto da cibo da digerire, non trova da solo la sua strada d’uscita. Esso attende i fenomeni riflessi di svuotamento gastrico, ma nel frattempo esercita la sua azione corrosiva sulle mucose, indebolendo nel tempo la tonicità gastrica e rendendosi difficile la digestione. Alle basse dosi la caffeina è anche un tonico del cuore. Essa coinvolge un secondo messaggero chiamato AMP ciclico, che mobilita le scorte di ioni calcio dentro le cellule cardiache, tonificando le pulsazioni e la contrattilità delle fibre del miocardio. L’abuso di caffè, invece, causa tachicardia che in alcuni soggetti si manifesta come cardiopalmo, meglio noto come palpitazione.
Anche il fegato subisce gli effetti della caffeina, che ne stimolala mobilitazione delle riserve energetiche. Effetto maggiore è mobilitare il glicogeno del fegato, degradandolo a unità di glucosio pronte per la produzione di energia cellulare. Sebbene con minore intensità, anche i trigliceridi epatici vengono mobilizzati. Un effetto biologico della caffeina sul pancreas e sulla secrezione insulinica è stato dimostrato. Sono diversi gli studi pubblicati che correlano positivamente l’assunzione di caffè ed una migliore risposta glicemica in soggetti con diabete (Agardh EE et al. 2004; Loopstra-Masters RC et al. 2011; Mellbye FB et al. 2015; Dawar e Heuberger R, 2017). La caffeina, sebbene in minor misura della teofillina, ha anche effetto broncodilatatore. Questo spiega il razionale medico del passato che consigliava dosi intermedie di caffè a chi soffriva di ritenzione di liquidi o di asma bronchiale. Un effetto del caffè lo si può riscontrare anche a livello renale. La caffeina ha un potere diuretico inferiore alla teofillina del thè, ma comunque biologicamente significativo. Inoltre, il consumo di caffè è stato recensito l’anno scorso e la comunità scientifica ha concluso che il suo consumo moderato può aiutare a prevenire le maggiori malattie a carico dei reni, come i calcoli e l’insufficienza renale cronica.
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Il consumo di caffè sembra anche legato allo sviluppo o alla prevenzione di patologie molto comuni come i tumori. Il consumo di caffè è stato associato ad una riduzione dell’incidenza di alcuni tumori fra cui quello alla prostata e al colon-retto. La Harvard School of Public Health ha condotto una ricerca su uomini che bevevano più di 6 tazze al giorno di caffè. Ci si riferisce, ovviamente, allo stile di caffè americano e non al consumo di espresso, che per motivi culturali è meno diffuso negli Stati Uniti. Il risultato riferito è una riduzione del rischio del cancro alla prostata di quasi il 60%. Uno studio analogo è stato appena pubblicato l’anno scorso da un gruppo che ha sondato lo stesso rischio nell’Italia insulare (Russo GI et al. 2017). Uno studio dello scorso Novembre ha pubblicato risultati sul consumo di caffè e rischio di tumore uterino: è risultata una ridotta incidenza di tumore del 20% prima della menopausa e del 25% dopo la menopausa. Infine, uno studio di metanalisi della Mayo Clinic in Minnesota, ha reso pubblico che il consumo di caffè può essere proporzionato ad un minore rischio di carcinoma renale, maggiore per gli uomini che per le donne (Wijarnpreecha K et al. 2017). Invece, pare non ci sia essere alcuna associazione fra consumo di caffè e tumore alla tiroide, al polmone, alle vie biliari o al sangue (leucemie).
Per valutare le associazioni tra consumo di caffeina e vari effetti sulla salute, un team di ricerca dell’Università di Messina ha eseguito una enorme revisione generale delle evidenze dalle meta-analisi di studi osservazionali e studi caso-controllo (Grosso. G et al. 2017). Dei 59 risultati esclusivi esaminati nelle selezionate 112 meta-analisi degli studi osservazionali, il caffè era associato a un probabile rischio ridotto di tumori del seno, del colon-retto, del colon, dell’endometrio e della prostata; malattie cardiovascolari, malattia di Parkinson e diabete di tipo 2. Dei 14 risultati esclusivi esaminati nelle 20 meta-analisi selezionate di studi osservazionali, la caffeina era associata a un probabile rischio ridotto di malattia di Parkinson e diabete di tipo 2 e un aumento del rischio di perdita della gravidanza. Dei 12 esclusivi risultati acuti esaminati nelle 9 meta-analisi selezionate di caso-controllo, il caffè è stato associato ad un aumento dei lipidi sanguigni, ma questo risultato è stato influenzato da una significativa eterogeneità e la caffeina è stata associata ad un aumento della pressione sanguigna. Dato lo spettro delle condizioni studiate e la mole dei dati ottenuti, questi risultati indicano che il moderato consumo di caffè può essere parte di una dieta salutare.
La letteratura sugli effetti clinici positivi e negativi del caffè sulla salute umana è estesissima. Sono dimostrati effetti sul tono dell’umore, sui fenomeni depressivi, sul sistema cardiovascolare, sui ritmi sonno-veglia, sulla regolazione della secrezione di insulina e tanto altro ancora. Il fattore comune principale in quasi tutti gli studi è la dose assunta. Si ricorda che il caffè è definito dai ricercatori di neuroscienze una “drug of addiction”, una sostanza che conferisce dipendenza come varie altre droghe, sebbene con forza minore a queste ultime, proprio per il suo meccanismo di coinvolgimento dei circuiti cerebrali della dopamina. Nonostante il caffè rappresenti un mezzo di rilassamento, di comunicazione, di relazione personale, in linea di principio e come regola valida in tutte le circostanze, l’importante è non abusarne. Il privarsene successivamente quando si va incontro a condizioni a rischio, es. gastrite cronica, tachicardia parossistica o cardiopatia ipertensiva, rappresenta un ostacolo psicologico cui molti soggetti non sanno rinunciare col rischio di aggravare le condizioni di cui sono affetti.
Godersi il proprio caffè va bene. Ma ancora una volta la saggezza del passato ha ragione: in medio virtus.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica e del Dr. Danilo Ciciulla, Tecnologo Alimentare ed Auditor.
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