Il cortisone è in realtà naturalmente presente nel corpo come cortisolo, un ormone dello stress. L’organismo rilascia cortisolo per migliorare le risposte del corpo allo stress. Il cortisolo interviene nel metabolismo degli zuccheri e dei grassi e influenza altri parametri, tra cui la pressione sanguigna e la frequenza respiratoria e cardiaca. A dosaggi più elevati inibisce anche l’attività del sistema immunitario, il che lo rende utile per scopi medici: per la loro eccellente efficacia, i glucocorticoidi sintetici che inibiscono l’infiammazione, ancor più cortisolo nell’organismo, vengono utilizzati per trattare una vasta gamma di malattie infiammatorie e autoimmuni. Sono tra i farmaci più utilizzati in assoluto, essendo estremamente efficaci nel frenare le reazioni immunitarie eccessive. Ma in precedenza, sorprendentemente, si sapeva poco su come lo facessero esattamente. Gli scienziati sanno da molto tempo ormai che possono regolare l’espressione genica tramite recettori che legano il DNA.
Con questo meccanismo sopprimono la produzione di citochine infiammatorie, mentre stimolano la produzione di quelle antinfiammatorie. Ma non è tutto: controllano anche l’espressione di proteine ed enzimi che controllano il metabolismo dei carboidrati e dei grassi, aggiungendo in parte anche quelli del metabolismo azotato. Questo paradigma è stato sempre studiato e considerato nell’ambito di tessuti come il muscolo, i reni, il fegato, il cervello ed il tessuto adiposo, ovvero i maggiori regolatori dell’omeostasi energetica. Ricercatori della Charité – Universitätsmedizin Berlin, Uniklinikum Erlangen e dell’Università di Ulm hanno ora esplorato il meccanismo d’azione molecolare in modo più dettagliato. Come riferiscono i ricercatori, i glucocorticoidi riprogrammano il metabolismo anche nelle cellule immunitarie, attivando i “freni” naturali del corpo contro l’infiammazione. Questi risultati gettano le basi per lo sviluppo di agenti antinfiammatori con effetti collaterali minori e meno gravi.
Per lo studio, il gruppo di ricerca si è concentrato sui macrofagi, cellule immunitarie responsabili dell’eliminazione di intrusi come virus e batteri, che potrebbero anche svolgere un ruolo nell’insorgenza di malattie infiammatorie immunomediate. I ricercatori hanno studiato come queste cellule immunitarie hanno risposto agli stimoli infiammatori in un ambiente di laboratorio e quali effetti ha avuto la somministrazione aggiuntiva di un glJucocorticoide. I ricercatori hanno osservato che oltre al loro effetto sull’espressione genetica, i glucocorticoidi hanno avuto un effetto importante nell’invertire i cambiamenti nel metabolismo cellulare che erano stati avviati dagli stimoli infiammatori. I dati mostrano che le proprietà antinfiammatorie dei glucocorticoidi comportano la riprogrammazione del metabolismo mitocondriale dei macrofagi, con conseguente produzione aumentata e sostenuta del metabolita itaconato, che inibisce la risposta infiammatoria.
Il recettore dei glucocorticoidi interagisce con parti del complesso della piruvato deidrogenasi (PDH) per cui i glucocorticoidi provocano un aumento dell’attività e consentono un flusso accelerato e paradosso del ciclo dell’acido tricarbossilico (TCA) in macrofagi altrimenti proinfiammatori. Questo ricablaggio del metabolismo mitocondriale mediato dai glucocorticoidi potenzia la produzione di itaconato dipendente dal ciclo TCA durante tutta la risposta infiammatoria, interferendo così con la produzione di citochine infiammatorie. Al contrario, il blocco artificiale del ciclo TCA o il deficit genetico dell’aconitato decarbossilasi 1, l’enzima limitante la sintesi dell’itaconato, interferisce con gli effetti antinfiammatori dei glucocorticoidi. Utilizzando modelli animali per l’asma e l’artrite reumatoide, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare quanto l’effetto antinfiammatorio dei glucocorticoidi dipenda dall’itaconato.
Ma allora, se gli effetti antinfiammatori dei glucocorticoidi dipendono sostanzialmente da questo metabolita, perché non usarlo al posto dei farmaci stessi? Il problema è che l’itaconato è un metabolita intermedio del ciclo TCA, ha un’emivita cellulare di qualche minuto e questo non rende possibile usarlo come farmaco. La sua reattività chimica, inoltre, lo rende proprio inadatto a poter essere somministrato direttamente e potrebbe provocare effetti collaterali molto seri. Esiste già, però, la possibilità di produrre il suo derivato estere dimetil-itaconato, che è risuJltato efficace come antinfiammatorio al pari del dimetil-fumarato, un farmaco commercializzato come Tecfidera ed impiegato nel trattamento della sclerosi multipla. Uno studio parallelo pubblicato in questi giorni ha dimostrato che è efficace nei modelli sperimentali di uveite autoimmune, agendo a livello dei fattori di trascrizione Nrf2 e STAT3.
Su quest’ultimo, che regola la produzione di citochine infiammatorie, la molecola risulta inibitoria, mentre sul primo (che regola la produzione di enzimi antiossidanti) riesce ad attivarlo. Inoltre, a livello delle cellule immunitarie, disattiva la proteina chinasi c-Syk che serve ai recettori immunitari ad arrivare alla via JAK2-STAT3 e quindi alla sintesi di citochine.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Auger JP et al. Nature 2024 Apr 10; in press.
Yang W et al. Cell Mol Biol Lett. 2023; 28(1):100.
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