Si ritiene che lo sviluppo della SLA sia multifattoriale, coinvolgendo fattori genetici e non genetici, possibilmente attraverso un processo a più fasi. Si sa molto sui geni associati alla SLA. Meno si sa sui fattori non genetici, ma studi epidemiologici ritengono che i fattori dietetici, i metalli pesanti e l’esposizione ai pesticidi siano possibili fattori di rischio per la SLA. Il microbiota intestinale è ormai riconosciuto come importante per la salute umana. La disregolazione del microbiota intestinale è un’altra potenziale fonte di fattori non genetici che potrebbero influenzare lo sviluppo della SLA. Nei pazienti affetti da SLA si manifesta un’ampia gamma di sintomi gastrointestinali. Ad esempio, in un recente studio che ha coinvolto una coorte di 43 pazienti affetti dalla malattia, costipazione (60,5%), tenesmo rettale (57,5%), feci dure (55%) e borborigmo (42,5%) sono stati i sintomi gastrointestinali più frequenti nei soggetti affetti dalla malattia.
La SLA moderata-avanzata era correlata anche a costipazione, rigurgito acido, eruttazione, tenesmo rettale e disfagia. Altri hanno precedentemente riportato disfunzioni motorie gastrointestinali nella SLA, con marcati ritardi nei tempi di transito del colon, ritardato svuotamento gastrico e anomalie dello sfintere anale. Sembra ora che i pazienti affetti da SLA manifestino sintomi gastrointestinali nelle prime fasi della malattia, forse anche prima della diagnosi. Alcune possibili cause includono una dieta alterata, la mancanza di esercizio fisico, un apporto inadeguato di fibre dovuto a disfagia e gli effetti dei farmaci anticolinergici. Un’altra possibile causa dei sintomi intestinali nella SLA potrebbe essere il coinvolgimento diretto del tratto gastrointestinale nella patologia della SLA. Sono stati segnalati casi di disbiosi intestinale nella SLA; tuttavia, gli studi condotti per caratterizzare le alterazioni del microbiota intestinale hanno dato risultati contrastanti.
Un ampio studio ha utilizzato un approccio di randomizzazione mendeliana a due campioni per esaminare il legame tra microbiota intestinale e SLA in 20.806 pazienti e 59.804 controlli. Questo metodo viene utilizzato negli studi epidemiologici per valutare se esiste un nesso causale tra un fattore di rischio e la malattia. Questo studio ha rilevato che gli OTU (unità tassonomiche) a livello di specie di Enterobacteriaceae non classificati OTU10032 e le Acidaminococcaceae non classificate erano associati a un rischio più elevato di SLA. Sono stati condotti anche studi sulla disbiosi intestinale in modelli animali di SLA. In uno studio, i cambiamenti precoci in 11 distinti phylae del microbiota intestinale erano correlati con una progressione più aggressiva nei topi SLA; inoltre, l’integrazione con Akkermansia muciniphila ha migliorato i sintomi e prolungato la sopravvivenza.
Gli effetti benefici dell’integrazione di A. muciniphila erano probabilmente dovuti alla sua capacità di aumentare le concentrazioni di nicotinamide nel sistema nervoso centrale dei topi SLA. La nicotinamide è un precursore del NAD+, un importante cofattore redox vitaminico che è anche neuroprotettivo. Ma dalla sua conversione deriva l’acido nicotinico, che possiede un recettore cellulare chiamato GPR109 che media buona parte dei suoi effetti nel cervello. Non è conosciuto quale dei due meccanismi possa partecipare all’effetti protettivo di questo intervento probiotico. Inoltre, è stato riscontrato che una maggiore abbondanza degli ordini OTU4607_Sutterella e Lactobacillales è correlata a una maggiore suscettibilità alla SLA. È stato scoperto che queste specie batteriche sono correlate ai livelli di metaboliti correlati al gamma-glutamile, suggerendo che un meccanismo glutamatergico potrebbe essere coinvolto nella patogenesi della SLA.
Effettivamente, questo è vero: i ricercatori hanno già le prove che la degenerazione dei motoneuroni spinali nella malattia ha una forte componente eccitotossica mediata dai recettori del glutammato di tipo NMDA. E di questo si ha conferma anche nei casi umani di SLA chimica indotta da tossine vegetali come la cicasina o la BMAA (isolata da microalghe contaminanti) e che agiscono come potenziatori dei recettori NMDA a livello dei neuroni midollari. Da qui il tentativo, purtroppo non riuscito, di utilizzare il riluzolo nella cura della malattia. Anche se il farmaco, fra i suoi meccanismi d’azione, enovera l’antagonismo verso l’eccitotossicità del glutammato, non è in grado tuttavia di rigenerare i motoneuroni perduti a causa del danno biologico. Inoltre, sebbene ancora usato, il riluzolo non ha una specificità assoluta nella gestione dei sintomi della malattia e resta un puro palliativo. Un altro fattore di rischio sotto sospetto per la comparsa di SLA è la disbiosi intestinale provocata da antibiotici.
Uno studio caso-controllo che ha coinvolto 2.484 pazienti affetti da SLA e 12.420 controlli abbinati per età e sesso, ha dimostrato che l’uso ripetuto di antibiotici era associato ad un aumento del rischio di SLA. Inoltre, i topi affetti da SLA che sono stati ripetutamente esposti agli antibiotici sviluppano fenotipi più gravi e una maggiore perdita di motoneuroni. Questo vuol dire che la disbiosi indotta dagli antibiotici determina l’espansione di ceppi batterici in grado di produrre tossine, che possono agire potenzialmente come neurotossici per i neuroni del midollo spinale. Ma il quadro non è tutto qui: è possibile che tali effetti compaiano nei pazienti che hanno già una mutazione importante geneticamente determinata che rende i loro motoneuroni vulnerabili. Nonostante la disbiosi intestinale sia un fenomeno diffuso, non tutti coloro che ne sono affetti si ammaleranno di SLA. E’ ovvio che è necessaria una combinazione di fattori ambientali e dello stile di vita.
Gli scienziati speculano che svariati prodotti di scarto batterico nell’intestino possano esercitare effetti tossici a livello del sistema nervoso periferico, oltre che centrale. Uno di questi è la D-serina, un aminoacido convertito dalla regolare L-serina per via enzimatica. Per la D-serina, c’è evidenza che sia neurotossica, è aumentata nel cervello e nel midollo spinale delle persone con SLA e nei modelli animali di SLA e potrebbe essere prodotta dal microbiota intestinale. In alcuni pazienti affetti da SLA ci sono effettivamente livelli elevati di D-serina. Pertanto, esiste il potenziale per un ruolo dei D-aminoacidi prodotti dal microbiota intestinale nell’inizio e nella progressione della SLA. I D-amminoacidi sono stati a lungo considerati irrilevanti nella biologia dei mammiferi, ma i dati accumulati da un decennio a questa parte ora mostrano che in realtà svolgono un ruolo importante anche nella fisiopatologia umana.
Sebbene sia prodotta a livello endogeno negli esseri umani, la D-serina viene assorbita anche dai batteri intestinali insieme al D-glutammato. Il microbiota intestinale possiede degli enzimi chiamati AA-racemasi, che convertono gli aminoacidi dalle forme L a quelle D. Quindi sorge la domanda se la qualità dl alimenti che noi quotidianamente mangiamo possa in certi contesti incentivare la flora batterica intestinale a convertire gli aminoacidi derivati dai nostri alimenti dalle forme L a quelle D. Con questa speculazione ne viene fuori un’altra: quella del glutammato alimentare usato come insaporitore negli alimenti conservati (sodio glutammato; E621). Tutti si ricorderanno della “sindrome del ristorante cinese”, dovuta all’abuso di questo conservante e che causava malesseri che includevano quelli gastrointestinali, formicolio al volto ed alla parte superiore della schiena e delle braccia, cefalea e una specie di sindrome ansiosa.
C’è chi ammette o dichiara che era tutto un mito e che il glutammato non fosse responsabile. L’eccitotossicità biologica del glutammato, tuttavia, resta con tanto di letteratura scientifica. Inoltre, continua ad essere usato diffusamente come insaporitore negli alimenti conservati. Servono più dati per dimostrare che il glutammato sodico esogeno (forma L) venga convertito dal microbiota intestinale in D-glutammato, che possa poi diventare più neurotossico e contribuire alla degenerazione dei motoneuroni spinali. La comunità scientifica avverte che l’eccessivo consumo di alimenti ultra-elaborati e trasformati può aumentare il rischio di cardiovasculopatie, diabete mellito, sindrome metabolica, alcune forme di tumore ed altri disturbi. Sarebbe da appurare, in nome della salute pubblica, se l’uso di questo insaporitore alimentare possa essere substrato del microbiota, per poter diventare una potenziale tossina i cui effetti sono stati realmente sottovalutati nel lungo raggio.
- A cura del Dr, Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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