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Perchè troppa vitamina A fa male alle ossa? Finalmente le indagini ci danno la risposta

La vitamina A, un micronutriente solubile nei grassi consumato con la dieta, è l’unico composto conosciuto in grado di indurre fratture spontanee nelle ossa lunghe degli animali. La vitamina A alimentare si ottiene sottoforma di esteri o come beta-carotenoidi. Ancora più importante, l’aumento di assunzione di retinolo) negli esseri umani è stato associato alla diminuzione della densità minerale e ad un aumento della fragilità ossea. Livelli elevati di retinolo sierico sono stai anche collegati ad un maggio rischio di frattura dell’anca; tuttavia, non tutte le indagini sono state in grado di riprodurre tutte queste associazioni. In alcuni studi, inoltre, non è stata osservata alcuna associazione tra l’assunzione di vitamina A o i livelli sierici di retinolo e la densità ossea o un aumentato rischio di fratture.

Nelle cellule bersaglio, il retinolo viene ossidato nel metabolita attivo acido all-trans retinoico (ATRA), che viene si lega ai recettori specifici retinoidi (RAR-alfa), che trasloca così nel nucleo. I cambiamenti cellulari indotti da ATRA si verificano tramite etero-dimerizzazione dei RAR con i recettori retinoidi orfani RXR, che attivano gli elementi di risposta dell’acido retinoico nelle regioni promoter dei geni bersaglio, regolando quindi l’espressione genica. L’induzione di ipervitaminosi A nei roditori per brevi periodi (circa 7 giorni) ha dimostrato che dosi tossiche di vitamina A aumentano il numero di osteoclasti che riassorbono l’osso sulle superfici ossee (periostio), mentre diminuiscono il numero di quelle endocorticali, con conseguente riduzione ella resistenza ossea.

Più recentemente è stato dimostrato che la vitamina A per una durata più lunga (4-10 settimane) a dosi clinicamente rilevanti, è anche in grado di ridurre la massa ossea corticale. Queste osservazioni, assieme ai dati sull’uomo che collegano livelli elevati di vitamina A ad un aumentato rischio di fratture, illustrano gli effetti negativi del suo eccesso nel metabolismo osseo. Le cellule progenitrici degli osteoclasti provengono da cellule staminali emopoietiche nel midollo e sono strettamente collegate ai macrofagi del sistema immunitario. Importante per la formazione degli osteoclasti maturi è l’induzione di geni coinvolti nell’attività degli osteoclasti come la TRAP (fosfatasi acida tartarato-resistente), la catepsina K ed il recettore per la calcitonina.

Oltre agli studi sull’uomo e sugli animali, in vivo, colture di tessuto osseo ex-vivo di calvaria di topo e tibia di ratto, hanno dimostrato che la vitamina A effettivamente possiede la capacità di aumentare la formazione di osteoclasti e il riassorbimento osseo a causa di una maggiore espressione del ligando RANKL. Ciò fornisce un’ulteriore prova che la vitamina A aumenta la formazione degli osteoclasti ed il riassorbimento osseo, e che un suo eccesso può essere un fattore di rischio per l’osteoporosi secondaria. Contrariamente agli esperimenti in vivo ed ex-vivo, studi in vitro von progenitori ossei isolati dal midollo umano e murino hanno provato che la vitamina A inibisce la genesi di osteoclasti.

Sembra che l’ATRA inibisca l’osteoclastogenesi indotta fisiologicamente (es. con ormone PTH e vitamina D3) e dall’infiammazione (endotossina batterica e TNF-alfa) in colture umane di monociti CD14+. Questa inibizione è stata attribuita all’attivazione dei recettori RAR-alfa e RAR-gamma. Le osservazioni in vitro che riportano effetti inibitori della vitamina A sulla formazione di osteoclasti possono essere conciliate con i risultati in vivo di una diminuzione degli osteoclasti endocorticali, poiché le cellule utilizzate per questi esperimenti sono spesso isolate dalla parte interna del midollo osseo. La contraddittoria risposta di genesi osteoclastica alla vitamina A in vitro ed ex-vivo, così come le risposte sito-specifiche in vivo, evidenzia l’eterogeneità del processo di osteoclastogenesi.

Finora non esisteva alcuna spiegazione sul perché la vitamina A abbia questi effetti opposti. Uno studio pubblicato qualche mese fa, ha dimostrato che l’acido retinoico da solo non stimola la formazione di osteoclasti nelle colture di cellule ossee periostali. E la formazione di osteoclasti potenziata dall’ATRA non è mediata di citochine come M-CSF o IL-34. Poiché l’M-CSF è un noto stimolatore dei macrofagi midollari, gli scienziati hanno studiato se esso aumentasse il numero dei macrofagi/progenitori nelle colture cellulari periostali attraverso un aumento della presenza di M-CSF. L’espressione del fattore staminale CSF-1 non è alterata dal trattamento con acido retinoico, ma il livello del M-CSF nelle cellule periostali e nei terreni coltura invece si; la stessa cosa è successa con i livelli di interleuchina-34.

I ricercatori ritengono che l’effetto inibitorio dell’ATRA sul differenziamento degli osteoclasti e dei loro progenitori midollari spieghi perché il trattamento con vitamina A diminuisce il numero degli osteoclasti endocorticali in vivo. La vitamina A è un potente fattore di crescita per gli epiteli (pelle, mucose, midollo), ma è anche un efficace induttore della maturazione/differenziazione cellulare. E’ possibile, dunque, che le sue dosi sopra-fisiologiche risultino tossiche per le cellule ossee perché ne promuovano il riassorbimento, attraverso un coinvolgimento specifico di certe popolazioni cellulari e non di altre. Gli scienziati, infatti, hanno potuto dimostrare che l’ipervitaminosi A aumenta l’espressione dei geni osteoclastici (RANK, CSF1R, ITGAM e CD68) nel periostio della tibia degli animali da esperimento.

Il che indica che la vitamina A attiva può aumentare il numero di cellule progenitrici macrofagi/osteoclasti anche nelle ossa lunghe in vivo. E come succede negli animali succede pure nell’uomo. Resta da chiarire, tuttavia, in che misura l’aumento della proliferazione e/o diminuzione della quota di ricambio cellulare contribuiscono all’effetto dell’acido retinoico. Resta inoltre da chiarire se il suo effetto stimolatorio sia mediato da recettori espressi nei macrofagi o se l’effetti sia indiretto a causa della stimolazione degli osteoblasti che rilasciano fattori che poi agiscono sui macrofagi.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Henning P et al. J Biol Chem 2024; 300(6):107308.

De Souza PPC et al. Int J Mol Sci, 2022; 23(6):3287.

Lionikaite V et al. J Leukocyte Biol 2018; 104(6):1133.

Green AC et al. J Ster Biochem Mol Biol 2015; 150:46.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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