La sclerosi laterale amiotrofica, nota più comunemente con l’acronimo SLA, è una rara malattia neurodegenerativa che colpisce i motonenuroni del sistema nervoso. I malati di SLA perdono gradualmente il controllo di diverse funzioni vitali, come parlare, camminare, inghiottire ed infine respirare; il decorso è praticamente sempre fatale. Annualmente, si ammalano di sclerosi laterale amiotrofica 1-2 persone ogni 100.000, senza distinzione in tutte le popolazioni del globo: i soggetti colpiti sono, di solito, individui di sesso maschile, nella fascia di età compresa tra i 40 e i 60 anni. La fisiopatologia della SLA, che sia di forma familiare o sporadica, resta poco chiara e sono poche le terapie efficaci disponibili. Nella maggior parte dei casi la malattia insorge in modo sporadico, senza cioè che siano coinvolti altri membri della famiglia. Circa il 10% dei casi, invece, c’è ereditario: di questi, il 20% è legato a mutazione del gene SOD1, circa il 10% per il gene TARDBP e circa il 5% per il del gene TLS. Recentemente, infine, è stato scoperto che un’espansione interna del gene C9ORF72 sul cromosoma 9, è la causa di circa il 40% dei casi familiari di SLA e un’altra grave malattia cerebrale, la demenza frontotemporale (FTD).
Uno studio guidato da Ruth Chia del National Institute on Aging di Bethesda (NIA/NIH), nel Maryland, ha individuato nuovi sette geni che sarebbero collegati allo sviluppo della Sclerosi Laterale Amiotrofica. Le nuove evidenze sono state pubblicate su Lancet Neurology. Le mutazioni dei 22 geni precedentemente individuati come responsabili della SLA riguardano circa i due terzi dei casi familiari e solo circa il 10% dei casi di SLA sporadica. I nuovi geni evidenziati da Chia e colleghi, ognuno è implicato in una determinata funzione, sarebbero coinvolti invece proprio nella comparsa delle forme sporadiche. CCNF, che sarebbe responsabile della degradazione delle proteine “invecchiate” attraverso il proteasoma; CHCHD10, importante per la bioenergetica cellulare; NEK1 e C21ORF2, che interagiscono tra loro e sarebbero coinvolti nell’assemblaggio dei microtubuli, nella risposta e riparazione al danno del DNA e dei mitocondri; MATR3, che pare regolare l’espressione genica; TUBA4A, che contribuisce all’integrità dello scheletro cellulare; ed infine TBK1, che regola alcune proteine bersaglio coinvolte in alcuni processi cellulari chiave della SLA.
Ma nell’articolo vengono citati tutti i geni associati alla SLA individuati tra il 1993 e il 2016, di cui il più importante, secondo Chia è C9ORF72, poiché sarebbe la più comune causa alla base della malattia, familiare o sporadica, responsabile di un caso su 10 di SLA, e di un numero simile di casi di demenza fronto-temporale. Gran parte di ciò che si conosce sulla SLA ha origine genetica e la genetica è importante per capire cosa causi la malattia, soprattutto per elaborare terapie efficaci. Tuttavia, i meccanismi precisi della malattia associati a questi geni non sono chiari, e bisognerà approfondirli con studi funzionali in vivo e in vitro, e questo prenderà un tempo ragionevole di almeno due decenni. Il gruppo di ricerca conclude dicendo: “Poiché la SLA è una malattia geneticamente eterogenea e complessa, “sta emergendo un approccio da medicina personalizzata, in base al quale il trattamento è adattato alla specifica mutazione che causa la malattia in un singolo paziente. Per questo, lo screening genetico per le varianti o le mutazioni note sarà parte integrante della diagnosi, del trattamento e della prevenzione della malattia”.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, Medico specialista in Biochimica Clinica.
Letteratura scientifica
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