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Gli effetti duraturi del COVID-19 sul cuore: come l’infezione da SARS-CoV-2 influenza il sistema cardiovascolare

Introduzione: Il cuore sotto attacco

L’infezione da SARS-CoV2, il virus responsabile della pandemia di COVID-19, ha avuto un impatto globale devastante, causando milioni di decessi e modificando profondamente il funzionamento delle società. Sebbene le manifestazioni respiratorie siano state inizialmente il focus principale nella gestione della malattia, la ricerca scientifica ha progressivamente evidenziato che gli effetti del virus non si limitano ai polmoni. Un crescente corpo di studi suggerisce che l’infezione da coronavirus ha conseguenze rilevanti sul sistema cardiovascolare, con danni che possono persistere a lungo termine anche dopo la guarigione dalla malattia acuta. Questo articolo esplora i principali meccanismi con cui il COVID-19 influisce sul cuore e sui vasi sanguigni, e discute le implicazioni cliniche di questi effetti per la gestione dei pazienti.

Fin dai primi mesi della pandemia, è stato chiaro che il COVID-19 può avere un impatto significativo su diversi organi e sistemi, compreso quello cardiovascolare. Numerosi pazienti con infezione da SARS-CoV-2 hanno riportato sintomi come dolore toracico, palpitazioni, affaticamento e difficoltà respiratorie, che spesso si sono protratti anche dopo il superamento della fase acuta della malattia. Studi clinici hanno documentato un aumento del rischio di sviluppare complicanze cardiache, come miocardite, aritmie, insufficienza cardiaca e tromboembolia. Questi problemi sembrano manifestarsi non solo nei pazienti con forme gravi di COVID-19, ma anche in coloro che hanno avuto sintomi lievi o moderati, suggerendo che l’infezione può avere un impatto cardiovascolare insidioso e diffuso.

Meccanismi di danno cardiovascolare

Il SARS-CoV-2, come altri virus respiratori, può influenzare direttamente il cuore e i vasi sanguigni, ma l’estensione dei danni osservati nei pazienti COVID-19 è straordinaria. Le modalità attraverso cui il virus provoca danni al sistema cardiovascolare sono diverse. Il coronavirus può infettare direttamente le cellule del cuore, in particolare attraverso il legame con il recettore ACE2, che è ampiamente espresso nelle cellule endoteliali e nei cardiomiociti. Questo può portare a danni cellulari diretti e infiammazione, con conseguente miocardite. Uno dei tratti distintivi del COVID-19 è la cosiddetta “tempesta citochinica”, una risposta infiammatoria esagerata che può causare danni ai tessuti, inclusi il cuore e i vasi sanguigni. Questa infiammazione diffusa può portare a disfunzioni endoteliali, aumentando il rischio di trombosi.

Il COVID-19 è stato associato a un aumento del rischio di eventi tromboembolici, tra cui trombosi venosa profonda, embolia polmonare e infarti cardiaci. Questo sembra essere legato non solo alla disfunzione endoteliale, ma anche all’attivazione piastrinica e all’aumento della coagulazione del sangue in risposta all’infezione virale. I pazienti con COVID-19 grave possono sperimentare ipossia (bassi livelli di ossigeno nel sangue) a causa di gravi polmoniti virali, il che mette ulteriore stress sul cuore. La riduzione dell’ossigenazione può peggiorare condizioni preesistenti come la malattia coronarica, portando a infarti o insufficienza cardiaca acuta.

Miocardite e pericardite post-COVID

Uno degli effetti più preoccupanti del COVID-19 è l’insorgenza di miocardite, un’infiammazione del muscolo cardiaco che può portare a disfunzione cardiaca e, nei casi più gravi, a insufficienza cardiaca. Studi autoptici su pazienti deceduti a causa del COVID-19 hanno rilevato segni di infiammazione cardiaca, con infiltrati di cellule immunitarie nel tessuto muscolare del cuore. La miocardite è stata osservata non solo durante la fase acuta dell’infezione, ma anche settimane o mesi dopo il recupero, contribuendo alla cosiddetta “sindrome post-COVID” o “long COVID”. La pericardite, un’infiammazione del sacco che circonda il cuore, è un’altra complicanza comune che può causare dolore toracico persistente e difficoltà respiratorie.

COVID-19 e aritmie

Le aritmie, o anomalie del ritmo cardiaco, sono state ampiamente riportate nei pazienti con COVID-19. L’infiammazione del tessuto cardiaco e la disfunzione elettrolitica causata dalla malattia acuta possono destabilizzare l’attività elettrica del cuore, causando battiti irregolari. Le aritmie gravi, come la fibrillazione atriale e la tachicardia ventricolare, sono state osservate in alcuni pazienti e possono richiedere trattamenti specifici o interventi medici urgenti.

Impatto a lungo termine sul cuore

Uno degli aspetti più inquietanti dell’infezione da SARS-CoV-2 è il potenziale impatto a lungo termine sul cuore, anche dopo il recupero dalla malattia acuta. Molti pazienti che hanno contratto il COVID-19 riferiscono sintomi cardiovascolari persistenti, come palpitazioni, dolore toracico e stanchezza cronica, che possono durare mesi. Questo fenomeno, associato alla sindrome post-COVID, ha sollevato preoccupazioni circa il potenziale sviluppo di patologie cardiovascolari croniche in chi ha avuto l’infezione. Uno studio pubblicato su Nature Medicine ha mostrato che anche i pazienti che hanno avuto una forma lieve di COVID-19 possono avere un rischio aumentato di sviluppare malattie cardiache nei mesi successivi all’infezione, rispetto a chi non ha mai contratto il virus. Il rischio di infarto, ictus e insufficienza cardiaca sembra essere più alto nei primi sei mesi post-infezione.

Implicazioni cliniche: monitoraggio e trattamento

Le evidenze crescenti sugli effetti del COVID-19 sul cuore hanno importanti implicazioni per la gestione clinica dei pazienti. Gli specialisti raccomandano che i pazienti, soprattutto quelli che hanno sperimentato una forma grave di COVID-19 o che hanno sintomi cardiovascolari persistenti, siano sottoposti a un monitoraggio cardiologico a lungo termine. Questo include esami come l’elettrocardiogramma (ECG), ecocardiogrammi, test di funzionalità cardiaca e risonanza magnetica cardiaca per valutare eventuali danni strutturali o funzionali al cuore. Inoltre, il trattamento delle complicanze cardiovascolari post-COVID deve essere personalizzato, considerando la storia medica del paziente e la gravità dei sintomi. La gestione della miocardite, delle aritmie o dell’insufficienza cardiaca richiede un approccio multidisciplinare, che coinvolga cardiologi, pneumologi e specialisti in malattie infettive.

Considerazioni per il futuro

Sebbene molto sia stato appreso finora sull’impatto del COVID-19 sul sistema cardiovascolare, numerose domande rimangono senza risposta. La durata esatta dei danni cardiaci indotti dal virus è ancora poco chiara, così come il rischio di sviluppare malattie cardiache a lungo termine per i sopravvissuti al COVID-19. Questa non è una semplice malattia respiratoria: i suoi effetti sul cuore e sul sistema cardiovascolare sono significativi e possono persistere anche dopo la risoluzione dell’infezione acuta. I pazienti affetti da COVID-19, specialmente quelli che sviluppano complicanze cardiache, devono essere attentamente monitorati per prevenire e trattare le potenziali conseguenze a lungo termine. Con l’accumularsi di nuove conoscenze, sarà essenziale adottare un approccio multidisciplinare per gestire efficacemente le sfide sanitarie poste dagli effetti cardiovascolari del COVID-19. La ricerca futura dovrà concentrarsi su studi a lungo termine per monitorare i pazienti e sviluppare strategie preventive per minimizzare gli effetti a lungo termine sul cuore.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Xie Y, Xu E, Al-Aly Z. (2022). Nature Medicine, 28(3), 583-590.

Bhatia A, Bhatia R. (2021). J Cardiovasc Dev Disease, 8(9), 118.

Puntmann VO, Carerj ML et al. (2020). JAMA Cardiol. 5(11), 1265.

Guo T, Fan Y, Chen M et al. (2020). JAMA Cardiol. 5(7), 811-818.

Nishiga M, Wang DW et al. (2020). Nature Rev Cardiol. 17(9), 543.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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