Il cancro e il sistema emostatico sono strettamente interconnessi e uno squilibrio emostatico è frequentemente osservato nei pazienti con cancro. Le manifestazioni cliniche di questa interazione possono verificarsi sia come complicanze trombotiche che emorragiche. Le ricerche precedenti si sono concentrate prevalentemente su problemi trombotici associati al cancro, come il tromboembolismo venoso (TEV) e gli eventi tromboembolici arteriosi, producendo una conoscenza approfondita delle loro incidenze, fattori di rischio e biomarcatori predittivi. Al contrario, il rischio emorragico e i fattori di rischio associati hanno ricevuto meno attenzione e non sono stati studiati in dettaglio. Tuttavia, il loro significato clinico è sempre più riconosciuto. Vari fattori e sfide durante il percorso dei pazienti oncologici influenzano l’equilibrio emostatico.
I pazienti con cancro hanno spesso bisogno di anticoagulazione a lungo termine per indicazioni come il trattamento del TEV o la prevenzione dell’ictus nella fibrillazione atriale (FA) o sono persino candidati per la tromboprofilassi primaria come raccomandato dalle linee guida di pratica clinica. Per l’inizio dell’anticoagulazione, è essenziale una valutazione accurata del rischio emorragico. Di conseguenza, vi è un’urgente necessità clinica di una migliore comprensione delle complicanze emorragiche e di una valutazione del loro rischio, sia il rischio basale senza anticoagulazione sia il rischio di sanguinamento associato ad anticoagulazione. Il rischio basale di sanguinamento e il fenotipo di sanguinamento nei pazienti con cancro non sono attualmente ben caratterizzati, poiché studi e dati dedicati sul rischio di sanguinamento nei pazienti con cancro che non ricevono anticoagulazione sono scarsi.
Le migliori informazioni disponibili possono essere dedotte dai gruppi placebo degli RCT che indagano l’efficacia degli anticoagulanti per la tromboprofilassi primaria e dagli studi che hanno esplorato l’effetto delle eparine sul miglioramento della prognosi del cancro. L’incidenza di sanguinamento maggiore nei gruppi placebo (vale a dire, senza anticoagulazione) degli RCT di eparine a basso peso molecolare per la tromboprofilassi primaria è stata dell’1,1-3,3%, di sanguinamento non maggiore clinicamente rilevante del 2-2,2% e di sanguinamento minore del 2,7-7,9%. Ora i ricercatori della MedUni di Vienna dimostrano che le emorragie sono più frequenti nei pazienti oncologici di quanto si pensasse in precedenza e sono associate a una prognosi sfavorevole.
I risultati sottolineano la necessità di dedicare maggiore attenzione a questa grave complicazione nella pratica clinica e nella ricerca in futuro. Per ottenere nuove informazioni, sono stati osservati 791 pazienti con vari tipi di cancro per un periodo di 19 mesi. Il team di ricerca guidato da Cihan Ay (Dipartimento di Medicina I, Divisione di Ematologia ed Emostasiologia) in collaborazione con Matthias Preusser e Anna Berghoff (Divisione di Oncologia) ha riscontrato un rischio sorprendentemente elevato di sanguinamento nei pazienti oncologici. A causa della stretta interazione tra cancro e sistema di coagulazione del sangue, i disturbi della coagulazione del sangue si verificano frequentemente nelle persone affette da cancro. Poiché i tumori possono secernere sostanze che attivano la coagulazione, il rischio di trombosi aumenta.
Tuttavia, grazie all’intensa ricerca degli ultimi anni, questo può ora essere valutato bene e ridotto al minimo tramite anticoagulazione. Al contrario, la conoscenza sul rischio di sanguinamento nei pazienti oncologici è ancora carente. Come dimostra lo studio, le emorragie nei pazienti oncologici non solo si verificano più frequentemente di quanto si pensasse in precedenza, ma anche più frequentemente come sanguinamenti maggiori. Il rischio è stato dimostrato anche nei pazienti che non hanno ricevuto anticoagulazione. In questo gruppo, bassi livelli di albumina ed emoglobina, due parametri di laboratorio misurati di routine, sono stati associati a un rischio aumentato di sanguinamento. Gli scienziati sono stati anche in grado di identificare uno specifico tipo di emorragia che non era stato precedentemente preso in considerazione nella ricerca clinica, sebbene rappresenti una quota significativa, quasi un terzo.
L’hanno chiamata emorragia tumorale perché ha origine dal tumore stesso. È stato anche scoperto che i pazienti con tumori nella zona della testa e del collo avevano un rischio particolarmente elevato di emorragia. Lo studio ha anche rivelato che gli eventi emorragici nei pazienti con cancro sono associati a una prognosi sfavorevole e a un rischio aumentato di morte. Un altro fattore modificante significativo per il rischio di emorragia è il tipo di terapia antitumorale. Le prove suggeriscono che gli agenti inibitori del fattore di crescita epiteliale vascolare sono associati a un rischio aumentato di emorragia, in particolare bevacizumab, ramucirumab, sunitinib, sorafenib e nintedanib. Questo rischio aumentato sembra essere ancora maggiore quando i pazienti ricevono inibitori del fattore Xa (ad es. DOAC o LMWH).
Infine, è stato scoperto che i tassi di emorragia differiscono tra i tipi di anticoagulanti con il rischio di emorragia più elevato nei pazienti trattati con dicumarolo o coumadin e DOAC (dabigatran, apixaban e gli altri) rispetto a LMWH. Per il team di ricerca, questi risultati sottolineano l’importanza del sanguinamento come grave complicanza nei pazienti oncologici, a cui in futuro si dovrebbe dedicare maggiore attenzione e ulteriori ricerche.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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