Il circolo sanguigno è stato da sempre ritenuto un sistema chiuso e sterile; gli occasionali batteri derivavano da contaminazioni traumatiche e si risolvevano con la loro eliminazione da parte delle cellule immunitarie competenti. La sterilità come concetto viene intesa come l’assenza di batteri coltivabili, anche se il sangue può comportarsi da validissimo terreno di coltura. Ma questa visione pare sia cambiata per sempre. Negli anni Settanta è stato evidenziato un nuovo sistema batteriologico dentro i globuli rossi, in almeno il 70% dei campioni ematici prelevati pazienti ammalati e nel 7% da adulti apparentemente sani (Domingue e Schlegel, 1977). Strutture simili ai corinebatteri sono state dimostrate nei globuli rossi, dopo la cui coltivazione si sono riprodotte (Tedeschi GG et al. 1978). All’inizio del Ventunesimo secolo, anche in assenza di batteri visibili è stato provato che campioni di sangue ottenuti da persone ritenute sane, possiedono del DNA ribosomiale di origine batterica (NIkkari S et al. 2001). Queste strutture corineformi sono state chiamate forme-L o dormienti, non hanno una reale parete cellulare ma sono in grado di moltiplicarsi se messe in appositi terreni di coltura (Casadesu J. 2007).
Mentre in passato non si aveva la minima idea di come dei batteri potessero passare in circolo in assenza di lesioni cutanee, adesso con le nuove scoperte legate al microbiota intestinale tutto sembra più chiaro. La presenza di microorganismo intestinali nel sangue è stata correlata sia a malattie infettive che non-. Per esempio, l’Helicobacter, che tutti conoscono per la sua azione patogena sullo stomaco, può passare anche nel sangue come da chiare prove scientifiche, e sembra che gli stessi globuli bianchi possano fungere da “cavallo di Troia” per la loro veicolazione nel circolo sanguigno (Huang Y et al. 2006; Thwaites G et al. 2011). A causa di questo meccanismo, è stato ipotizzato che la presenza di Helicobacter nel sangue potesse contribuire allo sviluppo del morbo di Parkinson (Nielsen HH et al., 2012). Altre prove sono venute in seguito che hanno correlato la presenza di batteri del microbiota intestinale con patologie come cardiovasculopatie (Amar J et al. 2011; 2013) e diabete farmaco-dipendente o tipo 2 (Sato J et al. 2014). Anche le patologie del cavo orale (parodontopatie) sembrano costituire un fattore di rischio per malattie cardiovascolari, es. le endocarditi e loro sequele come l’ictus cerebrale e l’infarto cardiaco (Koren O et al. 2014; Seringec N et al. 2014)
Ma come fanno i batteri ad entrare nel sangue, anche in apparenti situazioni di buona salute? Gli esperti del campo sono concordi nell’affermare che possono essere tre le modalità per cui ciò possa verificarsi. La prima è attraverso le mucose intestinali (barriera epiteliale) danneggiate da un’infiammazione (flogosi) cronica; la seconda attraverso una tipologia di cellule immunitarie chiamate cellule dendritiche; e infine attraverso le cellule M, che sono cellule specializzate del tessuto linfoide intestinale, che costituisce le cosiddette “placche di Peyer” dell’anatomia intestinale. Se il microbiota intestinale va incontro a squilibri di composizione si parla di disbiosi. Quando invece avviene la traslocazione dei batteri nel sangue si parla di atopobiòsi, termine coniato molto recentemente per descrivere tecnicamente la comparsa di batteri in località in cui non dovrebbero esserci (Potgieter M et al. 2015). A causa di questa traslocazione, gli scienziati sono riusciti a provare una correlazione con malattie non trasmissibili divenute comuni nel panorama dei disturbi odierni. Fra queste spiccano l’insufficienza renale cronica, le iper-lipidemie su base non genetica, la sindrome metabolica, l’artrite reumatoide, la malattia epatica non-alcolica, l’obesità, le pancreatiti e molte forme di allergia, incluse delle varianti di asma. C’è inoltre da sottolineare che a parte la presenza degli stessi batteri nel sangue come causa di malattia, è provato che anche loro costituenti della parete (LPS) possno essere all’origine di problemi come insulino-resistenza e ipercolesterolemia su base non alimentare.
Ma allora, cosa si può fare per evitare che ci si ritrovi con batteri fuori posto e quindi con problematiche alla mano? Semplice, curare un elemento si cui si cerca di fare prevenzione in ogni modo, e che molti continuano a prendere sotto-braccio: l’alimentazione. Tutta la tipologia di dieta occidentale è riconosciuta dannosa e comincia ad effettuare i primi danni proprio a livello dell’intestino, sia sulle mucose che condizionando la composizione del microbiota. Se l mucose restano infiammate per troppo tempo, è possibile che si verifichino uno dei tre meccanismi descritti sopra, con cui i batteri hanno maggiore possibilità di entrare nel sangue. Non solo, anche molecole di scarto che normalmente restano nell’intestino per essere espulse, penetrano nel sangue provocando disturbi nel tempo. E’ con quest’ultimo meccanismo che i ricercatori hanno capito come le tossine intestinali causino steatosi (grassi nel fegato), peggioramento dell’insufficienza renale cronica e predisposizione alla malattia coronarica (Nowiński A, Ufnal M., 2018).
Alla fine, i consigli ormai sono alla portata di tutti; si passa la palla al buon senso per vederne le conseguenze.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Letteratura selezionata
Domingue G, Schlegel J (1977) Infect Immun. 15:621-27.
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