Introduzione
Demenza è un termine generico per un gruppo di sintomi che colpiscono la memoria, il pensiero e le capacità sociali in modo abbastanza grave da interferire con la vita quotidiana. Il morbo di Alzheimer si base vascolare (cerebrovasculopatia cronica) è la causa più comune di demenza senile. In assenza di una cura definitiva, le strategie di prevenzione sono essenziali. Di recente, è cresciuto l’interesse scientifico per il potenziale delle scelte di vita quotidiane, come bere caffè o thè, per ridurre il rischio di demenza. Caffè e thè contengono vari composti bioattivi che possono influenzare la salute del cervello, tra cui caffeina, antiossidanti e polifenoli. Ma berli può davvero ridurre il rischio di demenza?
Caffè, thè e salute del cervello
Sia il caffè che il thè contengono composti bioattivi come caffeina e antiossidanti di natura polifenolica, che hanno dimostrato di avere proprietà neuroprotettive. La caffeina, il principale stimolante presente nel caffè e nel tè, può migliorare la funzione cognitiva e proteggere i neuroni dalla degenerazione. I polifenoli, presenti in entrambe le bevande ma più abbondantemente nel thè (verde o nero), sono noti per combattere lo stress ossidativo e l’infiammazione, due importanti fattori che contribuiscono alle malattie neurodegenerative come la demenza (Vauzour et al., 2008). Ci sono ancora delle discordanze fra gli esperti, poichè spesso i polifenoli non si sono dimostrati efficienti in vivo (negli animali da esperimento) per attraversare la barriera ematoencefalica. I polifenoli più idrofili, infatti, come la quercetina o la luteolina potrebbero avere questa limitazione. Quelli considerati più idrofobi (es. fisetina, apigenina, acido caffeico ed epicatechina), invece potrebbero non risentire di questo fenomeno.
Consumo di caffè e rischio di demenza
Diversi studi hanno esplorato la relazione tra consumo di caffè e salute cognitiva. Una meta-analisi pubblicata nel 2020 ha suggerito che un consumo moderato di caffè (3-5 tazze al giorno) era associato a un rischio ridotto di declino cognitivo e demenza (Li et al., 2020). Gli effetti protettivi del caffè sono spesso attribuiti ai suoi alti livelli di antiossidanti, in particolare acidi clorogenici, che possono ridurre la neuroinfiammazione e prevenire l’accumulo di placche amiloidi, un segno distintivo del morbo di Alzheimer (Eskelinen & Kivipelto, 2010). Tuttavia, la relazione tra caffè e demenza non è del tutto lineare. Un consumo eccessivo di caffè (più di 6 tazze al giorno) può avere effetti neutri o addirittura negativi sulla funzione cognitiva, potenzialmente dovuti ad aumento dell’ansia, disturbi del sonno o impatto a lungo termine sulla salute cardiovascolare, che può influire indirettamente sulla salute del cervello (Panza et al., 2015).
Consumo di thè e rischio di demenza
Il thè, in particolare il thè verde, è stato studiato anche per il suo potenziale di riduzione del rischio di demenza. Il thè verde è ricco di catechine e teanina, composti che hanno dimostrato di migliorare la funzione cognitiva e ridurre il rischio di malattie neurodegenerative in studi su animali e umani (Kuriyama et al., 2006). Uno studio su larga scala condotto in Giappone ha scoperto che gli individui che bevevano 1-2 tazze di thè verde al giorno avevano un rischio inferiore di sviluppare deterioramento cognitivo rispetto ai non bevitori (Kuriyama et al., 2006). Anche il thè nero, che è più ampiamente consumato nei paesi occidentali, sembra offrire effetti protettivi, sebbene le prove siano meno conclusive rispetto al thè verde. Si pensa che la combinazione di caffeina e L-teanina nel thè migliori l’attenzione e la prontezza mentale, il che può aiutare a mantenere la funzione cognitiva nel tempo (Einöther & Giesbrecht, 2013).
Meccanismi alla base degli effetti neuroprotettivi
- Riduzione della neuroinfiammazione: sia il caffè che il tè sono ricchi di antiossidanti che aiutano a ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione nel cervello, che sono i principali fattori che contribuiscono alla neurodegenerazione (Vauzour et al., 2008).
- Stimolazione cognitiva: è stato dimostrato che la caffeina aumenta l’attività cerebrale bloccando i recettori dell’adenosina, il che promuove l’attenzione e migliora le prestazioni cognitive a breve termine. A lungo termine, la caffeina può proteggere dal declino cognitivo promuovendo una migliore circolazione e prevenendo i danni neuronali (Chen e Chetkovich, 2007).
- Prevenzione della formazione di placche amiloidi: alcuni studi hanno suggerito che la caffeina e i polifenoli possono aiutare a ridurre la formazione di placche amiloidi, che sono collegate al morbo di Alzheimer (Cao et al., 2012).
- Miglioramento della salute vascolare: caffè e thè possono migliorare la salute cardiovascolare abbassando la pressione sanguigna e i livelli di colesterolo. Poiché la salute vascolare è strettamente collegata alla salute del cervello, ciò potrebbe ridurre il rischio di demenza vascolare (Van Dongen et al., 2010).
Limitazioni e conclusioni
Sebbene un consumo moderato di caffè e thè sembri avere effetti neuroprotettivi, le risposte individuali possono variare. Fattori genetici, scelte di stile di vita e condizioni di salute esistenti possono tutti influenzare il modo in cui queste bevande influenzano la salute cognitiva. Inoltre, un consumo eccessivo di caffeina può portare a effetti collaterali negativi come ansia, insonnia e aumento della frequenza cardiaca, che possono contrastare i potenziali benefici (Panza et al., 2015). Le proprietà neuroprotettive della caffeina, degli antiossidanti e dei polifenoli in queste bevande contribuiscono probabilmente ai loro potenziali benefici. Tuttavia, la moderazione è fondamentale, poiché un consumo eccessivo può portare a effetti negativi. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio gli impatti a lungo termine del consumo di caffè e thè sul rischio di demenza e sulla salute cognitiva.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Cao C, Cirrito JR et al. (2012). J Alzheim Dis, 25(2), 241-261.
Chen JF, Chetkovich DM. (2007). Trends Neurosci, 30(7), 363.
Einöther SJ et al. (2013). Psychopharmacol, 225(2), 251-274.
Kuriyama S et al. (2006). Amer J Clin Nutr, 83(2), 355-361.
Li J, Seang S et al. (2020). Eur J Epidemiol, 35(9), 893-902.
Panza F et al. (2015). J Nutrition Health Aging, 19(3), 313-328.