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Le “sostanze eterne” nella dieta e da altre fonti: i rischi per la salute pubblica

Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), note anche come “sostanze chimiche eterne” a causa della loro persistenza nell’ambiente e nell’organismo umano, sono un gruppo di composti chimici ampiamente utilizzati in vari prodotti industriali e di consumo. I PFAS comprendono una vasta gamma di composti chimici, tra cui i più comuni sono il perfluorottano sulfonato (PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (PFOA). Sono presenti in rivestimenti antiaderenti, schiume antincendio, imballaggi alimentari, tessuti resistenti all’acqua e ai grassi, e molti altri oggetti di uso quotidiano. Queste sostanze sono idrofobe e lipofobe, rendendole resistenti all’acqua e agli oli. Sebbene siano utili in molte applicazioni industriali e di consumo, i PFAS sono estremamente resistenti alla degradazione, accumulandosi nell’ambiente e nel corpo umano per anni. La crescente preoccupazione deriva dal fatto che i PFAS possono accumularsi nel corpo e nell’ambiente, con potenziali conseguenze per la salute umana.

Le PFAS possono essere assorbite dal corpo umano attraverso diverse vie. In prima battuta attraverso alimenti contaminati, come pesce, carne, acqua e prodotti alimentari imballati con materiali trattati con PFAS. In alcune aree, l’acqua potabile è una delle principali fonti di esposizione alle PFAS. Gli impianti industriali che utilizzano PFAS possono contaminare le riserve d’acqua locali, portando a un’assunzione regolare attraverso il consumo di acqua contaminata (Post et al., 2012). Gli alimenti possono essere contaminati dai PFAS attraverso il suolo e l’acqua, così come durante i processi di confezionamento. Fra gli alimenti, il pesce è particolarmente suscettibile alla contaminazione da PFAS a causa del bioaccumulo, ossia la capacità delle sostanze chimiche di accumularsi negli organismi viventi lungo la catena alimentare. Il pesce proveniente da acque contaminate è spesso una delle principali fonti dietetiche di PFAS per l’uomo (Bhavsar et al., 2014).

Anche gli animali che consumano acqua o foraggio contaminati possono accumulare PFAS nei loro tessuti, che poi entrano nella catena alimentare umana attraverso il consumo di carne, latte e uova. Alcuni imballaggi alimentari, come sacchetti per popcorn per microonde, contenitori per fast food e carte oleate per avvolgere il cibo, possono essere trattati con PFAS per renderli resistenti al grasso e all’umidità. Questi composti possono migrare negli alimenti, contribuendo all’esposizione alimentare (Schaider et al., 2017). Il problema è che pur essendo delle sostanze “eterne” nel senso più tecnico del termine, non sono affatto inerti. Un’esposizione prolungata ai PFAS è stata collegata a una serie di effetti negativi sulla salute umana. Sebbene gli studi sull’uomo siano ancora in corso, le prove attuali suggeriscono che i PFAS possano influenzare diversi sistemi corporei. Alcuni studi hanno collegato l’esposizione ai PFAS all’aumento del rischio di obesità e diabete di tipo 2.

Questo potrebbe essere dovuto al fatto che le PFAS interferiscono con la regolazione degli ormoni e con i meccanismi che controllano il metabolismo (Cardenas et al., 2019). Invero, la comunità scientifica ha inserito le PFAS fra le sostanze chiamate disregolatori endocrini esterni (Endocrine Disrupting Chemicals; EDCs), che hanno il potere di condizionare i recettori per gli ormoni quali testosterone, estrogeni ed ormoni tiroidei. L’esposizione ai PFAS è stata associata a una riduzione della fertilità sia negli uomini che nelle donne, nonché a complicazioni durante la gravidanza, come preeclampsia e basso peso alla nascita (Fei et al., 2007). Possono poi compromettere la funzione del sistema immunitario, riducendo la capacità del corpo di combattere infezioni e rispondere adeguatamente alle vaccinazioni (Grandjean et al., 2012). Indirettamente questo potrebbe influenzare la comparsa di tumori: gli studi sugli animali e alcune ricerche epidemiologiche suggeriscono che i PFAS potrebbero aumentare il rischio di alcuni tipi di cancro, tra cui ai reni e al fegato (Barry et al., 2013).

Essere consapevoli sulle fonti di queste sostanze può permettere di evitarle, in un certo senso. Oltre alla dieta, le persone possono essere esposte ai PFAS attraverso l’aria o nella polvere di ambienti interni, soprattutto nelle case con tappeti, mobili o vestiti trattati con questi composti. Gli articoli resistenti all’acqua e al grasso, come abbigliamento outdoor, tappeti e pentole antiaderenti, possono rilasciare PFAS nell’aria e nel corpo umano attraverso il contatto con la pelle o la polvere domestica. Le schiume utilizzate in situazioni di emergenza o in esercitazioni di addestramento contengono PFAS e sono una fonte significativa di contaminazione ambientale; ma questo è valido specialmente nei pressi di aeroporti e basi militari. Sebbene i PFAS siano onnipresenti, ci sono passi pratici che è possibile intraprendere per ridurre l’esposizione. Per esempio, se si vive in una zona con acqua potabile potenzialmente contaminata, l’uso di filtri ad osmosi inversa o filtri specifici per PFAS può ridurre significativamente la concentrazione di queste sostanze nell’acqua.

Per l’alimentazione, consumare pesce proveniente da fonti non inquinate e preferire alimenti freschi e non confezionati può aiutare a limitare l’assunzione di PFAS. Evitare cibi in confezioni trattate con rivestimenti a base di PFAS è un’altra strategia utile. Si dovrebbero, inoltre, preferire pentole in acciaio inossidabile o ghisa invece di quelle con rivestimenti antiaderenti che potrebbero contenere PFAS. In casa e per gli arredamenti, evitare tappeti e tessuti resistenti alle macchie o trattati con rivestimenti chimici è una scelta possibile. Prestare attenzione ai prodotti resistenti all’acqua o al grasso e optare per alternative naturali o non trattate, infine, è possibile e dipendente dalle scelte personali. Per concludere, le PFAS rappresentano una preoccupazione crescente per la salute pubblica a causa della loro persistenza nell’ambiente e del loro potenziale impatto sulla salute umana. La dieta, in particolare attraverso il consumo di acqua contaminata, pesce e cibi confezionati, rappresenta una via significativa di esposizione. Tuttavia, ci sono misure pratiche che possono essere adottate per ridurre l’esposizione a queste sostanze chimiche tossiche. Con una maggiore consapevolezza e regolamentazioni più rigorose, si spera di ridurre l’impatto dei PFAS sulla salute e sull’ambiente.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Cardenas A et al. (2019). JAMA Network Open, 2(3), e191932.

Schaider LA et al. (2017). Environ Sci Technol Letters, 4(3), 105.

Barry V et al. (2013). Environ Health Perspect, 121(11-12), 1313.

Grandjean P, Andersen EW et al. (2012). JAMA, 307(4), 391-97.

Post GB et al. (2012). Environmental Research, 116, 93-117.

Bhavsar SP et al.  (2014). Environmental Pollution, 189, 60-69.

Fei C, McLaughlin JK et al. (2007). Human Reprod, 24(5), 1200.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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