sabato, Aprile 19, 2025

Noradrenalina: da neurotrasmettitore ad antinfiammatorio per l’Alzheimer

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Una nuova ricerca presso l’University of Rochester Medical Center suggerisce che calmare le cellule immunitarie del cervello potrebbe prevenire o attenuare l’infiammazione dannosa osservata nella malattia di Alzheimer. Lo studio sottolinea il ruolo chiave dell’ormone e neurotrasmettitore noradrenalina, e questa nuova comprensione potrebbe aprire la strada a trattamenti più mirati, che iniziano prima e sono personalizzati in base alle esigenze di ogni persona. La ricerca, condotta su topi combinando programmi di ricerca che studiano il complesso ruolo del sistema immunitario cerebrale e il ruolo dell’infiammazione nella malattia di Alzheimer, si è concentrata sulla noradrenalina (NAL), un neurochimico presente nel cervello che aiuta a controllare l’infiammazione.

La noradrenalina modula le funzioni cognitive, l’eccitazione, l’attenzione e le risposte alla novità e allo stress, e regola anche la neuroinfiammazione. Nel nostro cervello, le cellule immunitarie chiamate microglia solitamente contribuiscono a mantenere l’equilibrio. La microglia esprime un recettore chiamato beta-2 adrenergico (β2-AR) che dopo aver legato la noradrenalina agisce come un interruttore e indirizza le cellule a calmare l’infiammazione. Questo avviene attraverso il segnale della proteina G stimolatoria che si stacca dal recettore attivato e stimola l’enzima adenilatociclasi a produrre AMP ciclico. Questo secondo messaggero attiva la sua specifica proteina chinasi PKA, che a sua volta fosforila molti enzimi e proteine cellulari modificandone la funzione.

Una di queste è il fattore di trascrizione NF-kB, che serve all’espressione di molte citochine infiammatorie. Dopo fosforilazione da parte della PKA, l’NF-kB riduce la sua attività e non riesce ad entrare bene nel nucleo per svolgere la sua funzione. Nella demenza di Alzheimer e con l’invecchiamento, questo interruttore diventa meno attivo, soprattutto nelle aree del cervello dove si accumulano aggregati proteici dannosi chiamati placche amiloidi. Con la formazione di queste placche, la microglia vicina perde una maggiore quantità di recettori β2-AR, rendendo più difficile combattere l’infiammazione. Quando gli scienziati hanno rimosso o bloccato il recettore, il danno cerebrale è peggiorato: più placche, maggiore infiammazione e maggiori danni alle cellule cerebrali.

D’altra parte, quando hanno stimolato o “aumentato” il recettore, gli effetti dannosi si sono ridotti. È interessante notare che i risultati sembravano dipendere da fattori come il sesso dell’animale e la precocità dell’inizio del trattamento. Tradizionalmente, l’Alzheimer è stato visto come un problema di cellule cerebrali danneggiate a causa dell’accumulo di placche. Questo studio dimostra che la perdita dell’effetto calmante della noradrenalina sulla microglia potrebbe essere un fattore chiave che peggiora la malattia, anche prima che si verifichino danni significativi alle cellule nervose. I risultati suggeriscono inoltre che i problemi con il recettore β2-AR potrebbero manifestarsi in una fase molto precoce della malattia, il che significa che i trattamenti futuri potrebbero essere più efficaci se iniziati prima piuttosto che dopo.

Poiché l’attivazione del recettore β2-AR nella microglia ha ridotto l’accumulo di placca e l’infiammazione, i farmaci futuri potrebbero essere progettati per colpire questo specifico recettore. I farmaci agonisti per il β2-AR esistono già: li conoscono bene gli asmatici per aiutarli negli attacchi acuti e nella gestione della malattia nel tempo. Nomi come formoterolo, vilanterolo, salbutamolo, sono ben noti ai farmacologi come attivatori del recettore β2-AR, ma non distinguono fra recettori cerebrali e quelli presenti in altri distretti corporei. Il loro uso, quindi, porterebbe alla comparsa di effetti collaterali ancora prima di poter vedere dele variazioni sulla cognitività. Inoltre, queste molecole non sono progettate per attraversare la barriera ematoencefalica, che funge da filtro selettivo contro l’entrata di molecole indesiderate o poco solubili nei grassi.

Aiutando la microglia a mantenere una risposta antinfiammatoria, agonisti progettati per legarsi selettivamente ai β2-AR cerebrali potrebbero rallentare o modificare il decorso della malattia. La ricerca suggerisce inoltre che tali trattamenti potrebbero dover essere personalizzati per ciascun paziente: questo perché gli effetti possono variare in base a fattori come il sesso biologico e lo stadio della malattia.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche 

Le LHD et al. Brain Behav Immun. 2025 Apr 15.

Evans AK et al. J Neuroinflamm. 2024; 21(1):322.

Wee IC et al. Molecules. 2024 Mar; 29(7):1470.

Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la Clinica Basile di catania (dal 2013) Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania (del 2020) Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna dal 2024. Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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