Tra le poche opzioni terapeutiche disponibili per il trattamento della malattia di Huntington (HD), la tetrabenazina è stata un farmaco approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per ridurre al minimo i sintomi clinici dei movimenti involontari. Altre strategie di trattamento per l’HD comprendono la somministrazione di farmaci antipsicotici e antidepressivi. I farmaci antipsicotici come aloperidolo, flufenazina, clonazepam, amantadina e levetiracetam possono aiutare a controllare gli attacchi di panico, aggressività e movimenti coreici, mentre gli antidepressivi come fluoxetina, sertralina, nortriptilina e litio sono usati per stabilizzare la depressione, ansietà associata a sbalzi d’umore e pensieri negativi. Inoltre, riluzolo è spesso usato come farmaco neuroprotettivo per controllare la neurotrasmissione glutamatergica nella HD. La stimolazione cerebrale profonda (DBS) è stata proposta come tecnica per gestire la corea e altri sintomi motori come la distonia e i deficit cognitivi della malattia
Non è nuovo il concetto di impiegare sostanze antiossidanti nella terapia della malattia di Huntington. Già nel 1978 vi sono pubblicazioni o notizie su prove effettuate con vitamina E (Caro AJ, Caro AS, 1978a/b), ma il primo trial clinico ufficiale è stato pubblicato a metà degli anni Novanta (Peyser et al., 1995), che ha dimostrato una lieve efficacia sui sintomi neurologici. Sono seguiti trials clinici con idebenone, un derivato del coenzima Q, cui sono seguite recensioni sull’efficacia del coenzima Q stesso nella progressione della malattia (vedere bibliografia). Un trial clinico è stato condotto per l’associazione coenzima Q e remacemide. Quest’ultimo composto è un farmaco che condiziona il recettore NMDA, coinvolto nella cognitività e nell’elaborazione delle emozioni. I risultati sono stati incoraggianti, ma necessitano di coorti più ampie di pazienti per provare l’efficacia della combinazione.
Anche l’acido lipoico (acido tioctico), un fattore vitamino-simile prodotto dalle nostre cellule per fungere da cofattore enzimatico, ha una potente aziona antiossidante. E’ idrofobo e ha la capacità di passare la barriera ematoencefalica molto velocemente. Per questa ragione è impiegato nel trattamento delle sequele post-ictus e nelle neuropatie diabetiche o tossiche (es. da metalli pesanti). Dati riguardanti la sua efficacia in modelli di laboratorio di HD sono pubblicati (Andreassen et al. 2001; Sancheti et al. 2014; Mehrotra A, Sandhir R. 2014a; 2014b). Ma non è pubblicato alcuno studio clinico ufficiale sulla sua reale efficacia. Dato che esso può condizionare i mitocondri, le centrali energetiche cellulari, coinvolti anch’essi in parte nella HD, si suppone che esso possa risultare utile a rallentare la progressione della patologia.
Anche se non vi sono trials clinici convincenti che validino l’uso di antiossidanti nella cura della HD, la loro integrazione alimentare non è scoraggiata. Essa contrasta lo stress ossidativo presente a livello cellulare nella malattia, ragion per cui può risultare utile nel complesso e non si ha rischio di sviluppare fenomeni secondari al loro uso.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Bibliografia scientifica
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