Parlando di malattie della tiroide, la carenza di iodio è sempre il fattore che viene messo al centro dell’attenzione. Chi non conosce qualche amico, parente o conoscente occasionale, al quale è stato diagnosticato un problema alla tiroide da correggere con farmaci? Nella buona parte dei casi si tratta di maggiore o ridotta funzione, più o meno associate alla presenza di noduli, ma questo non è in tutti i casi. In una altra fetta percentuale di casi, viene diagnosticata una situazione di autoimmunità, con presenza di auto-anticorpi. Le analisi del sangue al riguardo dichiarano valori alterati di anticorpi contro i tre maggiori antigeni tiroidei: TSH, TGL e TPO. Non è neppure infrequente riscontrare auto-anticorpi ma con valori ormonali (T3 e T4) perfettamente nei limiti. Vi sono, infine, i casi in cui vi è una dichiarata condizione autoimmune, che è evidente anche dai sintomi e segni clinici associati al disturbo. Le malattie autoimmuni della tiroide comprendono un gruppo di disturbi caratterizzati dal sistema immunitario che produce anticorpi che attaccano questa ghiandola. La malattia di Graves e la tiroidite di Hashimoto sono quelle più note. Sono molto più comune nelle donne rispetto agli uomini, nella fascia 40-60 anni. La diagnosi di questi disturbi è confermata dalla presenza di autoanticorpi tiroidei nel siero. Anche se l’autoimmunità tiroidea è responsabile di molti casi di ipotiroidismo, una proporzione di pazienti possono essere iper- o normo-tiroidei.
I disordini autoimmuni della tiroide in genere sono associati a quelli di altri organi o apparati Una tireopatia e la carenza di vitamina B-12 è probabilmente correlata alla presenza di gastrite atrofica e/o anemia perniciosa; entrambe, infatti, compromettono l’assorbimento di questa vitamina. E’ stato rilevato in studi separati che la gastrite atrofica è prevalente nel 35-40% di pazienti con autoimmunità tiroidea. L’ipotiroidismo è relativamente comune ma prevale di più nelle donne anziane. Mentre la carenza di iodio è un importante causa dell’ipotiroidismo in tutto il mondo, la più comune causa negli Stati Uniti, dove la fortificazione alimentare con iodio è diffusa, è proprio l’AITD. Altre cause includono malattie congenite della tiroide, precedente chirurgia tiroidea e farmaci (amiodarone e litio). Sono state pubblicate ricerche sull’associazione fra la prevalenza di difetto tiroideo e deficienza di vitamina B12: molti di questi studi hanno riportato che spesso i pazienti affetti da ipotiroidismo e carenza di B-12 hanno sintomi comuni. Così, l’ipotiroidismo può potenzialmente mascherare la carenza questa vitamina. I sintomi, che includono debolezza, difficoltà di memoria, sonnolenza e intorpidimento/formicolio periferico, non scompaiono con la terapia ormonale. Inoltre, manifestazioni neurologiche o psichiatriche di carenza, come il difficoltà motorie, facile irritabilità e perdita di memoria, possono essere scambiati per normali sintomi di invecchiamento.
Un altro fattore sottostimato ma dimostrato essere parziale causa di difetti tiroidei, è la carenza di vitamina D. I risultati di alcune ricerche hanno dimostrato che i pazienti con malattia di Graves avevano livelli inferiori di vitamina D, o una maggiore prevalenza di sua carenza. Altri studi non hanno trovato che la carenza di questa vitamina ha aumentato il rischio della malattia. Per quanto possa suonare strano che la vitamina D abbia a che fare con la tiroide, non c’è nulla di anomalo in una probabile connessione fra di esse. La vitamina D regola praticamente ogni organo sin dallo stato embrionale, condizionando sistema nervoso, immunitario, emopoietico, renale, cardiaco e, ovviamente, quello osseo. Ampie correlazioni cellulari e genomiche fra recettore della vitamina D e quello degli ormoni tiroidei derivano dall’appartenere alla vasta famiglia dei recettori steroidei. Solo dopo aver legato i corrispettivi ormoni, questi recettori traslocano nel nucleo ed innescano una risposta genetica specifica per ognuno di essi. Si aggiunga, inoltre, che la vitamina D è un potente regolatore del sistema immunitario e che, sperimentalmente, è risultata efficace nel correggere disturbi autoimmuni come la sclerosi multipla e l’artrite reumatoide. Un solo studio ha posto il quesito se la vitamina D potrebbe essere un valido ausilio per la terapia della tiroidite di Hashimoto. Gli Autori hanno trovato una correlazione inversa fra livelli di vitamina D plasmatici e prevalenza di anticorpi anti-TPO, in tutti i 218 pazienti coinvolti. Nell’80% di questi pazienti, le somministrazioni di vitamina D per 4 mesi ha riportato i livelli di anticorpi anti-TPO quasi alla norma.
Invece della carenza di iodio (impossibile presso le regioni costiere, nonostante la presenza di disturbi tiroidei in queste), è spesso ignorata la possibilità che in un deficit tiroideo si nasconda la carenza di un altro elemento: il selenio. Il fabbisogno giornaliero di selenio nell’uomo è di circa 70 microgrammi, ma che sono necessari al funzionamento di alcuni importantissimi enzimi cellulari. L’organo umano con la più alta concentrazione di selenio è il fegato, ma a parità di dimensione subito dopo c’è la tiroide perché il selenio è il cofattore enzimatico proprio della tireoperossidasi, l’enzima che innesca la sintesi dell’ormone T3. Diversi studi hanno associato la prevalenza di basso tenore di selenio nel suolo ed alimentazioni povera di selenio (specie ortaggi e frutta), senza contare il contributo dell’acqua. Esistono, infatti, regioni dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe il cui suolo è molto povero di selenio. Non meraviglia perciò che certi gruppi di popolazioni anche consistenti, possano sviluppare carenza di selenio e disturbi tiroidei con una prevalenza spesso elevata. Si consideri, inoltre, che anche le falde acquifere dei terreni poveri di selenio hanno un livello scarsissimo di questo minerale. Considerato che la carenza di selenio non ha caratteri clinici contraddistinti da moltissimi disturbi, è facile intuire come una sua carenza possa manifestarsi sotto forma di patologie non apparentemente connesse ad esso, incluse autoimmunità tiroidee.
Esiste, infine, la possibilità che un altro fattore esogeno possa contribuire alla comparsa di disturbi tiroidei, almeno nei soggetti predisposti: il glutine. Fa sicuramente sorpresa associare il glutine ai disturbi della tiroide, considerato che esso è solitamente ritenuto causa di celiachia, intolleranze, allergie e dermatite erpetiforme. Meta-analisi molto recenti (Sun X et al., 2016; Sharma R et al., 2016), invece, hanno trovato un’aumentata incidenza di malattie autoimmuni tiroidee in pazienti celiaci e, viceversa, comparsa di intolleranze al glutine in pazienti già affetti da autoimmunità tiroidee. Come il glutine possa interferire con le funzioni tiroidee, o se stimoli il sistema immunitario ad aggredire la tiroide, è ancora un mistero. Si può solo rendere noto che il glutine è un complesso proteico fortemente antigenico. Secondo alcuni gruppi di ricerca, una permeabilizzazione dell’intestino causata dall’infiammazione subdola indotta dal glutine (leaky gut), permetterebbe il passaggio nel sangue di frammenti proteici del glutine stesso non completamente digerito. A secondo del terreno genetico dell’ospite, questo potrebbe dirigere una risposta autoimmunitaria preferenziale verso le cellule della tiroide. Il fenomeno sarebbe facilitato dalla concomitante disbiosi intestinale, ovvero un’alterazione della composizione batterica (microbiota) intestinale indotta da cattivo stile di vita o alimentazione, stress quotidiano, traumi, ecc.
Alla luce di queste rivelazioni, è consigliabile ai pazienti affetti da disturbi della loro tiroide di approfondire certi profili diagnostici, al fine di individuare correttamente cosa stia realmente sotto il loro problema.
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- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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