I polmoni sono organi vulnerabili ad una varietà di disturbi. Alcuni, come l’asma, la bronchite, o addirittura alcuni tipi di cancro, possono essere curati. Tuttavia, quando si tratta di fibrosi polmonare idiopatica (IPF), l’eventuale morte è una certezza a meno che i polmoni vengano sostituiti tramite trapianto. La fibrosi polmonare idiopatica è una malattia progressiva confinata al polmone che provoca cicatrici, ispessimento, e danni al tessuto intorno e tra i piccoli alveoli. Queste lesioni cicatriziali rendono estremamente difficile per l’ossigeno di passare nel sangue e raggiungere il cervello e gli altri organi. La mancanza di respiro, in particolare durante l’attività fisica, è comune nell’IPF, come anche l’estrema stanchezza. La causa di questa malattia polmonare cronica non è nota, ed è per questo che si chiama idiopatica.
Alcuni pazienti ereditano il danno, mentre per altri può essere causato da esposizione professionale a polveri di silice, di amianto, o il fumo di sigaretta. Alcune persone sviluppano IPF dopo aver ricevuto radioterapia per il cancro del polmone o della mammella, mentre altri sviluppano il danno polmonare cronica dopo una chemioterapia, farmaci anti-aritmici o dopo l’assunzione di alcuni antibiotici. Secondo due studi pubblicati qualche mese fa, alla base di certe forme della patologia vi sarebbero mutazioni a carico del gene della telomerasi, un enzima che controlla la longevità cellulare attraverso la protezione dei cromosomi. Il meccanismo come la mutazione di questa proteina possa causare la malattia è del tutto ignoto.
L’età della diagnosi di fibrosi polmonare idiopatica è di solito tra 40 e 70, ma circa due terzi dei pazienti sono di età superiore ai 60. Attualmente più di 80.000 americani adulti hanno fibrosi polmonare idiopatica, e più di 30.000 nuovi casi sono diagnosticati ogni anno. Questo disturbo invalidante non ha alcun trattamento in grado di rimuovere le cicatrici fibrotiche all’interno dei polmoni, rallentare il processo di malattia, o di curarla. L’aspettativa di vita dopo la diagnosi è compresa fra 3-5 anni, con i pazienti che vanno progressivamente peggiorando, il più delle volte a causa di insufficienza respiratoria. Il trattamento della malattia sinora è stato esclusivamente sintomatico; qualche antiflogistico (tipo cortisonici) e mucolitici come l’acetil-cisteina, l’erdosteina o la carbocisteina. Un piccolo trial clinico ha anche provato che la mono-somministrazione mensile di immunoglobuline endovena (IVIG), è ben tollerata e può risultare utile.
Vi è ora una nuova speranza per i pazienti con IPF.
Nel contesto di grandi studi internazionali, due nuovi farmaci si sono dimostrati efficaci nel rallentare in modo significativo il progresso della IPF. Il primo farmaco orale, il pirfenidone, ha rallentato il progresso della malattia dopo appena 13 settimane di trattamento nello studio di un anno rispetto alla terapia con placebo. Il farmaco ha migliorato anche la funzione polmonare in modo significativo, e migliorato la distanza che un paziente poteva percorre camminando prima di stancarsi. Nel complesso, il farmaco ha ridotto il rischio di mortalità del 48% rispetto al placebo. Il farmaco sembra avere proprietà anti-infiammatorie e inibisce anche le azioni cellulari di una proteina fattore di crescita per lo sviluppo della fibrosi (PDGF). Il farmaco è già approvato per l’uso in Europa, Giappone e Canada, e la FDA ha appena approvato il suo uso negli Stati Uniti. Del pirfenidone ne esiste anche un derivato migliorato, il fluorofenidone, che è ancora studiato in laboratorio.
In due studi di fase III su più di 1.000 pazienti, il secondo farmaco, nintedanib, ha ridotto il tasso annuo dei pazienti con funzione polmonare ridotta 55%, rispetto al 5% per coloro che prendono farmaci placebo. Il nintedanib agisce bloccando l’azione del recettore per il PDGF, quindi potrebbe agire di concerto con il pirfenidone. Grazie alla designazione di una terapia innovativa della FDA che garantisce revisione prioritaria veloce, questo farmaco è stato recentemente approvato per l’uso negli Stati Uniti. Sono in carso, tuttavia, ulteriori trials clinici sparsi in vari paesi, per testarne l’ulteriore efficacia e sicurezza, nonché l’associazione con i farmaci correntemente impiegati nella IFP, come il prednisone, l’interferone gamma e l’acetil-cisteina.
Due farmaci nuovi in un anno per chi ha i polmoni in gabbia. E’ proprio una bella boccata d’aria…..
a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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