La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una grave patologia respiratoria che colpisce 65 milioni di persone nel mondo. E il dato è in crescita: l’OMS stima che nel 2030 sarà la terza principale causa di morte dopo ictus e infarti. Per curarla esistono diversi farmaci, ma ciascuno di questi agisce solo su un particolare fattore della malattia, e non può trattarla in modo completo. La modalità migliore di prevenirla, invece, è quella della soppressione del vizio tabagico. Il fumo di sigaretta, infatti, non è unicamente responsabile della comparsa di tumori al polmone o in altri distretti. L’infiammazione cronica che esso innesca può causare una lenta e progressiva distruzione del tessuto elastico polmonare, che può anche mai degenerare in senso neoplastico. La terapia cardine è stata da sempre incentrata sugli steroidi, che sono volti a sopprimere sia l’infiammazione cronica che l’indurimento del parenchima polmonare (fibrosi).
Prednisone, beclometasone, desametasone e budesonide sono alcuni dei farmaci steroide correntemente più prescritti. L’uso di beta-agonisti è utile al bisogno, per contrastare gli episodi asmatiformi e migliorare la percezione soggettiva del respiro. La terapia mucolitica (ambroxolo, carbocisteina) è utile per eliminare l’eccesso di muco che viene prodotto in eccesso a causa della stessa infiammazione cronica. Alcuni dati preliminari stanno incentrandosi sia sull’utilizzo, sia sullo sviluppo di composti antiossidanti. La componente infiammatoria della malattia, infatti, è composta circa per il 50% da radicali liberi ossidanti (ROS) che causano stress ossidativo del tessuto polmonare. Come si vede, la terapia è strettamente sintomatica e non ha la possibilità, al momento, di accedere alla radice della patologia, ossia il danno cellulare prodotto in cronico dal fumo di tabacco.
Da poco però è stata realizzata dalla Chiesi Farmaceutici una nuova combinazione farmacologica che, in un unico erogatore, combina l’efficacia di 3 molecole diverse, consentendo al paziente di gestire al meglio la patologia respiratoria e migliorare la sua qualità di vita. L’azienda ha chiesto all’Agenzia Europea del Farmaco l’autorizzazione per l’immissione in commercio, e si stima che possa raggiungere i pazienti europei entro i prossimi 12 mesi. Una volta approvata, questa opzione terapeutica sarà un progresso, perché ridurrà l’impatto della patologia sia sulla salute sia sulla qualità della vita delle persone. Allo stesso tempo l’impatto clinico potrà contribuire a ridurre tutti i costi diretti e indiretti associati all’ospedalizzazione dei pazienti.
L’associazione Trimbow* ha ricevuto di recente l’autorizzazione all’immissione in commercio dalla Commissione Europea a seguito del parere positivo del CHMP (Committee for Human Medicinal Products). Trimbow* contiene tre principi attivi: il beclometasone dipropionato, uno steroide anti-infiammatorio (Ics), il formoterolo fumarato, un beta-2 agonista a lunga durata (Laba) e il Glicopirronio, un antimuscarinico a lunga durata (Lama) in formulazione extrafine. Lo studio Tribute del 2015 ha dimostrato per la prima volta la superiorità di una tripla associazione fissa Ics/Laba/Lama sulle esacerbazioni, se paragonata a un’associazione fissa Laba/Lama, fornendo la prova mancante che dimostra il beneficio della tripla terapia su un’associazione fissa di due broncodilatatori.
Secondo gli esperti, solo il 40-60% di chi soffre di BPCO segue la terapia che gli viene prescritta (molti la abbandonano perché complicata), Da qui l’idea di Chiesi di realizzare una formulazione che unisca le tre molecole in un unico erogatore. Al suo interno i farmaci sono ‘frammentati’ in particelle ultra-fini, in modo che possano raggiungere i polmoni ancora più in profondità. Come supporto, due studi clinici (Trinity e Trilogy) hanno testato questa nuova formulazione su 8000 pazienti per 12 mesi. Negli studi si è visto che l’inalatore unico riduce le ricadute di oltre il 20%, diminuendo i sintomi della difficoltà respiratoria e migliorando la compliance polmonare, assieme ad un buon profilo di sicurezza.
Dopo la BPCO, la seconda patologia respiratoria di grande impatto clinico per i polmoni è la fibrosi polmonare idiopatica (IPF; vedere sul sito l’articolo “Fibrosi polmonare idiopatica: due nuove speranze”). Sebbene meno diffusa della precedente (colpisce circa 30 casi ogni 100.000 abitanti), la sua gravità è decisamente maggiore, poiché conduce inevitabilmente ad un bivio: il trapianto polmonare o l’exitus. Per la fibrosi polmonare non vi è cura radicale e le terapie oggi disponibili, inclusi i due farmaci più recenti, possono solo rallentarne la progressione e alleviarne i sintomi. Ogni lesione nell’organo cerca di guarire sintetizzando troppo collagene e provocando la fibrosi; la conseguenza è una insufficienza d’organo.
E’ ispirato a un anticorpo presente negli squali e ha avuto il via libera per la sperimentazione sull’uomo. Si tratta dell’AD-114, un nuovo farmaco destinato alla cura della fibrosi polmonare. La Trobe University di Melbourne ha sviluppato la nuova molecola insieme alla società di biotecnologie AdAlta. Basato su una proteina umana costruita sul modello di un anticorpo isolato dallo squalo wobbegong del Melbourne Aquarium, AD-114 è riuscito a uccidere i fibroblasti polmonari che causano la fibrosi ed impedire la deposizione di connettivo cicatriziale. Il farmaco ha mostrato svariati vantaggi. Innanzitutto un uovo meccanismo d’azione, sebbene ancora non chiarito nei dettagli, ed è più efficace degli ultimi ritrovati farmacologici (nintedanib e pirfenidone). Inoltre, ha effetto su molteplici modelli animali di laboratorio e colpisce solo il tessuto biologico umano.
Iniettato direttamente in un essere umano, però, il corpo lo respingerebbe come tale. Il trucco dei ricercatori è stato quello di creare una molecola che assomigli a quella dello squalo ma compatibile col corpo umano. La FDA ha designato AD-114 come “farmaco orfano” per la cura della IFP. Tuttavia sarà testato anche su pazienti che soffrono di altre forme di fibrosi come quelle a rene, occhi, fegato e cuore. Effettivamente, qualche dato preliminare esiste già sull’efficacia del farmaco verso la degenerazione maculare senile (DMS). Dunque, gli sforzi della ricerca non si fermano. E non possono, considerato che le stime sull’andamento della patologia respiratoria per il futuro non depongono in positivo.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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